1959-2019, sessant’anni di Manutenzione

Il lungo percorso della manutenzione nei secoli ha portato, nel nostro tempo, alla fondazione di A.I.MAN., come presidio culturale in Italia e polo di aggregazione fra gli esperti di manutenzione

  • Febbraio 8, 2019
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  • Carlo Enrico Oliva (al centro), uno dei fondatori e primo Presidente di A.I.MAN. 10 Novembre 1959, Terrazza Martini
    Carlo Enrico Oliva (al centro), uno dei fondatori e primo Presidente di A.I.MAN. 10 Novembre 1959, Terrazza Martini

Il 20 ottobre del 1959, nacque a Milano l’Associazione Italiana di Manutenzione, nel 1966 il primo congresso a Trieste e poi, nel 1972, il primo congresso europeo a Wie­sbaden, quello della “curva a vasca da ba­gno”, che ha scaldato il cuore di molti ma­nutentori negli anni a venire.

Naturalmente la manutenzione esisteva da molto più tempo, volendo andare molto in là, come non ricordare gli acquedotti dei Sumeri, fra il Tigri e l’Eufrate, il primo esempio di manutenzione au­tonoma. Era all’incirca il 2600 a.C. e dall’efficien­za di questi canali dipendeva la sopravvivenza della popolazione. Nell’antico Egitto il Faraone in persona si occupava del progetto dei canali di irrigazione ed affidava la supervisione della ma­nutenzione ai suoi collaboratori più fidati.

I Greci e i Romani non furono da meno. I primi facevano manutenzione delle città, dallo spaz­zamento alla raccolta delle immondizie, alla distribuzione delle acque. Ma furono i Romani, grandi ingegneri, a costruire le maggiori ope­re: infrastrutture, ponti, città, acquedotti, strade. La rete viaria romana fu uno dei fattori chia­ve di successo dell’impero, e le strade erano progettate per richiedere minimi interventi di manutenzione e durare a lungo nel tempo. Ci riferiamo agli oltre 120.000 km di strade che permettevano di raggiungere qualsiasi punto dell’Impero in poco tempo.

Nei mille e più anni successivi, nonostante il degrado seguito alla caduta dell’Impero Roma­no d’Occidente, si mantenne la consapevolez­za che la manutenzione dovesse conservare il passato per tramandare ai posteri tradizioni e cultura, e garantire il futuro grazie alla solidi­tà dei manufatti e, in un periodo di guerre fre­quenti, perlomeno in Europa, la protezione delle città dagli assedi e l’efficienza delle macchine da guerra e da difesa.

Attraversando il Rinascimento, passando per il Risorgimento, arriviamo alla fine dell’Ottocento, nel secolo delle macchine, che ha comportato una serrata evoluzione organizzativa e tec­nologica. In Italia fra le due guerre, ci fu una imponente ristrutturazione della Marina e delle corazzate più grandi con originali soluzioni pro­gettuali, manutentive ed organizzative.

Nel secondo dopoguerra i fabbisogni di manu­tenzione crescono per quantità e complessità trainati dalla grande azienda siderurgica, chimi­ca e petrolchimica, aerospaziale e nucleare. Da questo crogiuolo di esperienze, metodi e tecno­logie, nasce A.I.MAN., come associazione ita­liana fra i tecnici di manutenzione (poi divenuta Associazione Italiana di Manutenzione, a partire dagli anni Settanta).

L’amico Renzo Davalli, collega di una vita e, nel 1959, dirigente Montedison, all’età di 27 anni fu tra i fondatori di A.I.MAN. assieme con il primo Presidente Carlo Enrico Oliva e altri pionieri, nata con l’obiettivo di diffondere la cultura manutentiva in Italia. Avevo la stessa età di Renzo, quando 33 anni più tardi, mi avvicinai ad A.I.MAN., in tempo per partecipare ed assistere, nel 1983 a Trieste, al summit sulle nuove tecnologie manutentive, e a Venezia nel 1984, al primo congresso mondiale di manutenzione. Un “Euromaintenance” cui per la prima volta parteciparono delegazioni di Bra­sile, Cina, Cile, Giappone, USA, e di alcuni paesi emergenti extraeuropei.

I favolosi anni Ottanta furono il periodo di maggio­re successo di A.I.MAN., con decine di convegni e seminari ogni anno, e altrettanto numerosi con­tatti, incontri e scambi di visite con le delegazioni dei paesi extraeuropei conosciute al congresso di Venezia. Periodo culminato con l’affiliazione di A.I.MAN. all’UNI e con la costituzione della Com­missione Manutenzione e relativi gruppi di lavoro che nel decennio successivo, prendendo spunto dalle norme AFNOR, hanno completato le princi­pali norme del settore manutentivo in Italia.

Superata la boa del millennio, con la diffusione di internet e del mutimediale, unitamente alla progressiva riduzione degli staff manutentivi nell’industria e nel terziario, il numero di con­vegni e seminari si è drasticamente ridimen­sionato a favore di nuovi criteri di diffusione e fruizione della cultura manutentiva. Il ruolo di A.I.MAN., come crocevia di scambi culturali e informativi sulla manutenzione, rimane tutt’og­gi. Un segno della vitalità della nostra associa­zione anche negli anni della Industria 4.0.

Al termine di questa lunga premessa storica, vorrei sottolineare come la manutenzione mo­derna, dagli anni Cinquanta in poi, si sia evoluta più sotto l’aspetto tecnico degli impianti e alle tecnologie sottostanti, che non sotto l’aspetto ingegneristico e organizzativo.

L’evoluzione tecnica ha seguito l’evoluzione dei materiali, l’avvento dell’elettronica, dell’infor­matica, delle telecomunicazioni, della robotica e della strumentazione avanzata, per molti versi dirompente, basta pensare alla recente Indu­stria 4.0, e la manutenzione ha seguito e si è avvantaggiata con lo sviluppo delle nuove tec­nologie soprattutto nel settore industriale, ma per ciò che riguarda algoritmi e Big Data, anche nel settore terziario.

Se un manutentore dagli anni Settanta facesse un balzo di quasi 50 anni e capitasse nella no­stra epoca, si troverebbe sicuramente disorien­tato dalle tecnologie ma non così frastornato dai metodi e dai processi ingegneristici.

Si ritroverebbe la FMECA, il TPM, la RCM, la RCA, e molte altre metodologie sviluppate a margine del settore nucleare e aerospaziale fra gli anni Quaranta e Sessanta-Settanta. Ri­troverebbe la mitica curva a vasca da bagno, processi informativi più avanzati ma pur sem­pre misurati da MTBM, MTBF e MTTR, da OEE, disponibilità e utilizzo.

Forse il WCM, nato nel corso degli anni Ottan­ta, lo troverebbe nuovo, originale ed ingegnoso, anche se figlio delle tecniche produttive giappo­nesi che lui conosce bene. Ma ciò che veramente troverebbe cambiato, anche se comprensibile, è la riduzione degli organici, gli obiettivi da raggiungere, i margini di errore ridotti al minimo, e una prevenzione diffusa nel verso della proattività, nell’antici­pazione di fermate e derive e nella insistente, costante e indefettibile ricerca della loro elimi­nazione o nella peggiore delle ipotesi, del loro controllo, tali da far apparire la manutenzione predittiva, che alla sua epoca era avanguardia, come politica scontata e minimalista. Vedrebbe applicati quei mantra, definiti nel secolo scorso, di zero difetti, zero infortuni, zero fermate, zero scorte, ora, grazie alla tecnologia, alla integra­zione dei sistemi e alla disponibilità di algoritmi e Big Data, non solo auspicabili, ma finalmente realizzabili.

Non è cambiato il corpus disciplinare della ma­nutenzione e nemmeno si è molto evoluto, sono cambiati gli obiettivi e le recenti ISO 9000:2015 sono a testimoniarlo con le richieste pressanti di gestione dei rischi.

Ma questo lo possiamo condividere con voi e persino scrivere sulla nostra rivista grazie ad A.I.MAN., a tutto il tempo, in questi primi 60 anni, che ha passato a coltivare rapporti utili alla diffusione della cultura manutentiva, come la relazione con Thomas Industrial Media (oggi TIMGlobal Media).

Grazie A.I.MAN.

Maurizio Cattaneo, Amministratore di Global Service & Maintenance