La transizione della società da una economia consumistica basata sullo spreco ad una economia della conservazione o della manutenzione basata sulla responsabilità è un fenomeno che per gli addetti ai lavori è evidente quanto inevitabile da diversi anni (Maurizio Cattaneo, Manutenzione, una speranza per il futuro del mondo, 2012).
Il consumo delle risorse nei più avanzati paesi occidentali, infatti, non poteva continuare ad essere pari a 4,4 terre dato che come è noto del pianeta Terra, di Gaia, ce n’è una sola. Il problema è relativamente recente, dato che persino ai tempi dell’Impero Romano, ad eccezione delle grandi città, si riusciva con il riuso, il riciclo e una sapiente trasformazione dei prodotti, ad imitare il comportamento virtuoso della natura.
I grandi della terra hanno quindi escogitato un nuovo modello di business non molto distante da quella che avevamo definito Società della Manutenzione (Cattaneo, op. cit.): l’Economia Circolare (EC).
In una ideale Società della Manutenzione (o della Conservazione) l’EC comporta una drammatica riduzione del consumo di risorse.
Quello che ci aspetta però non è una “decrescita felice”, una specie di “sviluppo al contrario” finalizzato all’abbandono del consumismo tout court come qualcuno vorrebbe farci credere (Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita, 2011), bensì una serie di azioni che rendono compatibile lo sviluppo con l’abitare sul nostro pianeta dalle risorse limitate.
Una parte di queste azioni interessano più da vicino il futuro della manutenzione che svolge un ruolo importante nella EC. E precisamente: una progettazione mirata al recupero delle risorse (William McDonough, Dalla culla alla culla. Come conciliare tutela dell'ambiente, equità sociale e sviluppo, 2003), la capacità di prolungare di molto la vita dei sistemi e/o di escogitare appropriate forme di riuso (Michael Braungart, Upcycle. Oltre la sostenibilità. Progettare per l'abbondanza, 2013), la capacità di trasformare rifiuti in risorse, dalle materie prime seconde alle Miniere Urbane.
La UE, il 2 dicembre del 2015, ha adottato un piano di azione per l’EC nel quale analizza i processi della catena del valore e definisce un pacchetto di misure correlate, modifica per coerenza una serie di direttive in materia di industria e di gestione dei rifiuti, infine definisce una serie di obiettivi temporali che gli stati membri dovranno rispettare.
Nel 2017, lo scorso 9-10 marzo, la UE ha organizzato a Bruxelles una conferenza fra tutti gli enti interessati alla EC dove ha fatto il punto della situazione su: strategia della plastica, monitoraggio della EC, riuso dell’acqua, legislazioni dei rifiuti, innovazione e politiche per l’uso efficiente delle risorse, e una valutazione finanziaria complessiva. A seguito della conferenza ha stabilito, da qui al 2020, una lista di iniziative chiave per dare forza al piano di azione EC.
L’Industria 4.0 è un pilastro di questo piano, senza di essa non sarebbe possibile raggiungere gli obiettivi ambiziosi che la UE ha assegnato alla EC.
Nel piano di sviluppo della Industria 4.0 si prevede un impatto significativo sulla manutenzione (fino a -40% del costo), sulla riduzione del tempo di fuori servizio delle macchine (fino a -50%), e sulla riduzione dei difetti e relativi costi (-20 %) (McKinsey Digital, Industry 4,0: How to navigate digitization of the manufacturing sector, 2015).
Vediamo brevemente come.
L’Industria 4.0 utilizza massicciamente la robotica, le connessioni in rete fra le macchine, e l’uso diffuso di Big Data grazie agli algoritmi. Ciò comporterà inizialmente una perdita di posti di lavoro nel settore della manutenzione sia nel servizio post vendita che nella gestione degli Asset (McKinsey Digital, op. cit.) a causa di una maggiore efficienza ed efficacia ottenuta riducendo il gap fra leader e inseguitori.
L’efficienza è dovuta in massima parte alla manutenzione predittiva con Big Data, all’uso diffuso della Manutenzione in Remoto, alla disponibilità di robot ed esoscheletri che renderanno molte operazioni più semplici e meno faticose.
L’efficacia dipende da una maggiore flessibilità delle macchine, dalle possibilità di monitoraggio e controllo a distanza e relativi feed-back di guasti, in modo che ai primi segnali deboli i problemi vengono individuati e corretti, da una migliore allocazione delle risorse manutentive, e dal diffondersi di nuove tecnologie come la realtà aumentata che mette a disposizione del manutentore strumenti più potenti rispetto al passato.
A questo si deve aggiungere, sempre secondo McKinsey, la trasformazione del ruolo del manutentore da gestore delle derive e di interventi spot per mantenere la continuità del ciclo produttivo, a supervisore della manutenzione predittiva, e pianificatore/coordinatore dei lavori derivanti dalle analisi guidate su Big Data. In particolare saper elaborare questa grande mole di dati darebbe al manutentore un innegabile vantaggio competitivo.
Tutto ciò da qui al 2025. Per un approfondimento sulle nuove tecnologie a disposizione della manutenzione e sui compiti legati alla EC, vi rimandiamo alla nostra rubrica Appunti di Manutenzione (MT&M, da gennaio ad aprile 2017).
I posti di lavoro persi nell’industria 4.0 saranno recuperati dai nuovi compiti che attendono la manutenzione nella EC.
Con l’avvento della EC l’impresa dovrà trasformare parte dei suo scarti in materie prime seconde, l’attività produttiva dovrà essere in gran parte a “circuito chiuso” e non sarà così semplice disfarsi delle vecchie macchine avendo l’obiettivo di prolungarne la longevità. Ciò comporterà nuovi criteri di progettazione dei beni nella direzione della sostenibilità e del recupero a fine vita.
Tutte attività che attengono alla manutenzione la quale non solo aumenterà il numero degli effettivi ma godrà anche di buoni salari.
Le professionalità inerenti attività di manutenzione e riparazione, saranno retribuite nella EC per il 61-67% con salari medi, per il 25-34% con salari alti, mentre solo il 5-7% con salari bassi (RSA, Investigating the role of design in the circular economy, 2013).
L’Italia, qualche anno dopo la Germania che è stata l’apripista, ha messo a punto un Piano Nazionale Industria 4.0 (MISE, 2016), creando una cabina di regia a livello governativo e impostando un piano nazionale Industria 4.0, 2017-2020, il quale contiene importanti agevolazioni fiscali.
L’impatto che la EC e l’Industria 4.0 avranno sulla nostra società e le conseguenze sul mondo del lavoro con lo smantellamento di molti tradizionali lavori e la creazione di molti lavori nuovi, richiederanno un sistema formativo, scolastico ed extrascolastico, all’altezza del compito, e importanti riflessioni sulla vita di tutti noi.
Pertanto è necessario che non si segua un approccio esclusivamente ingegneristico come la natura delle nuove tecnologie lascerebbe supporre, ma un approccio multidisciplinare dove abbia un ruolo importante anche la sociologia (Aldo Bonomi, La società circolare. Fordismo, capitalismo molecolare, sharing economy, 2016) per sincronizzare l’evoluzione tecnologica con l’evoluzione sociale.