Alea acta est, così probabilmente disse Caio Giulio Cesare la notte del 10 gennaio del 49 a. c. quando si trovò a varcare il fiume Rubicone alla testa del suo esercito. “La decisione è stata presa” e da li Cesare varcò i confini dell’Italia dando inizio alla seconda guerra civile.
Ora, oggi, tocca a noi prendere una decisione divenuta ormai irrevocabile: non possiamo permetterci a lungo di sprecare milioni di metri cubi al giorno di acqua potabile, nelle reti dei nostri acquedotti. Agli sprechi delle perdite si aggiungono poi altri sprechi che l’Economia Circolare, ci ha insegnato ad individuare e correggere.
Si fa un uso improprio dell’acqua potabile usandola molto più spesso di quanto si creda, per abbeverare il bestiame, per lavare le automobili, per irrigare i campi, e per molti altri usi che un’acqua non potabile ma pura, ossia esente da inquinanti chimici, potrebbe ugualmente soddisfare.
La gran parte delle abitazioni, contrariamente ad un numero crescente di aziende stimolate da una legislazione ad hoc, non sono attrezzate per avere un doppio circuito di acqua potabile e non potabile, e nemmeno per un recupero delle acque chiare, quelle che scaricano le docce e i lavandini, assieme ad un recupero delle acque piovane. Il recupero svilupperebbe circuiti virtuosi che limitano il fabbisogno di acqua potabile attivando dei closed loop fra acque chiare e piovane, evitando che vadano ad aumentare i volumi degli scarichi fognari e/o i mille rivoli che portano l’acqua ai fiumi.
Gli utilizzi impropri e la mancanza di una regimentazione delle acque nelle abitazioni, aumenta in modo considerevole il fabbisogno di acqua che supera in media i 300 litri per abitante giorno e che alla fonte, considerando le perdite, diventano 500-600 litri. Una quantità che potrebbe con pochi accorgimenti essere dimezzata, riducendo così il fabbisogno di invasi e accumuli di vario tipo, con conseguente risparmi di investimenti, e mettendoci in grado di far fronte a fenomeni siccitosi sempre più frequenti con maggiore efficacia.
Investimenti che potrebbero essere indirizzati verso la riparazione e la costruzione di nuovi acquedotti con grandi benefici per la comunità e la creazione di numerosi posti di lavoro nella manutenzione. I nostri antenati romani non ci hanno lasciato solo numerosi aforismi, erano maestri nella regimentazione delle acque e pri ma di loro i greci. L’antica Roma era servita da 11 acquedotti con una portata complessiva di 13 metri cubi al secondo, ossia oltre un miliardo di litri al giorno (Paola Guidi, Dall’arte di costruire all’arte di governare, 2009).
Sono molti anni che si dibatte l’argomento sulle perdite degli acquedotti. Negli anni ’80 argomenti come ecologia, riduzione dei consumi energetici, lotta agli sprechi, animarono il mondo della manutenzione al punto che alla fine del 1987, si attivò una collaborazione fra Aiman e Censis, che nel novembre dello stesso anno, a Roma, portò alla organizzazione di un convegno dal titolo emblematico, Manutenzione: Produrre non basta! (Maurizio Cattaneo, Manutenzione, una speranza per il futuro del mondo, 2012).
In quella occasione l’argomento della manutenzione e delle perdite degli acquedotti fu al centro dell’attenzione per l’enormità dello spreco: a fronte di una quantità distribuita di 1.453.000 metri cubi l’anno (1980) le perdite sfioravano il 50%, con minori perdite al nord e maggiori al sud. Al convegno intervenne l’on. Renato Brunetta (che allora si occupava di manutenzione ed economia dei beni collettivi, presso l’Università di Venezia) il quale riferì che lo stato italiano spendeva 100 miliardi di lire l’anno per la manutenzione delle opere idrauliche.
Oggi, trent’anni dopo, la situazione non è molto cambiata. Utilitalia, la federazione delle imprese di acqua, aria e ambiente, calcola che per riparare le condotte e per la manutenzione ordinaria servano oltre 5 miliardi di euro l’anno, contro i 100 miliardi di lire riferiti da Brunetta (pari a circa 250 milioni di euro di oggi) spesi per la manutenzione delle opere idrauliche. La cifra quindi a valori attuali è praticamente aumentata di 25 volte e ancora non basta per far fronte alle ingenti perdite degli acquedotti. Di questi 5 miliardi, ne vengono spesi circa un terzo ogni anno. Una quantità ampiamente insufficiente per far fronte al problema.
Secondo Giovanni Valotti, presidente di Utilitalia, le perdite superano il 35-40%. In pratica ogni 100 litri se ne perdono in media poco meno di 40, con forti differenze rispetto all’area geografica. Le perdite d’acqua sono inferiori al 30% nelle regioni del nord, ma superano il 60% in Lazio e Calabria. Guida la classifica regionale la Valle d’Aosta con il 20% di perdite. Fra i comuni capoluogo è Milano la più virtuosa con il 16% di perdite.
Se non si interverrà a breve, il costo per recuperare le perdite e per arrivare ad un livello ottimale di manutenzione è destinato a salire ulteriormente negli anni futuri. Considerando che in Italia spendiamo oggi per la straordinaria e gli investimenti solo 34 euro per abitante all’anno, con un media europea che viaggia invece fra 80 e 130 euro per abitante per anno (fonte Utilitalia).
La tecnologia però ci viene incontro. All’Università di Milano della Bicocca hanno messo a punto un software che è in grado di indirizzare la manutenzione verso le perdite e ridurre i costi di mantenimento in efficienza della rete del 30%, con la conseguente riduzione degli sprechi di acqua.
Cerchiamo di vedere con ottimismo il futuro, ma senza una volontà politica orientata ad indirizzare la giusta dose di investimenti nella manutenzione delle reti idriche, le dispersioni degli acquedotti sono destinate a crescere, in un futuro che si prevede sia sempre più siccitoso.
Investire nella manutenzione paga sempre, ma purtroppo i risultati si vedono dopo anni, in un arco temporale che, per una classe politica sempre più legata ai risultati di breve termine, sembra impossibile da sostenere.
Maurizio Cattaneo, Coordinatore Regionale Emilia- Romagna e Umbria A.I.MAN.