Capitale Umano fra tecnologie e organizzazione

…in viaggio verso il non ancora

  • Gennaio 10, 2020
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    Capitale Umano fra tecnologie e organizzazione

L’acronimo 4.0 è diventato sinonimo di nuove tecnologie in ogni settore industriale. Robotica, automazione, informatica, internet delle cose (IoT) sono indispensabili leve per garantire un viaggio senza troppi scossoni verso il non ancora. Ma la tecnologia per esprimere tutte le sue potenzialità deve essere supportata da una adeguata organizzazione.

Entrambe poi fanno leva su un bene immateriale e intangibile: il Capitale Umano e, in subordine, il Capitale Intellettuale.

Il Capitale Umano non è così facilmente disponibile sul mercato come la tecnologia. Va preparato, formato, plasmato in funzione degli obiettivi aziendali, diventa così molto specifico, quanto la tecnologia, invece, è sempre più generica e a disposizione di tutti.

Il vero fattore competitivo non è quindi la tecnologia in sé, ma il Capitale Umano. L’ipotesi della fabbrica a luci spente cara alle industrie più avanzate degli anni ’80, come quelle del settore Automotive, non si riesce a coniugare con le tecnologie emergenti. Oggi come allora, le persone che guidano i processi aziendali e le attività di ricerca e sviluppo sono indispensabili per competere a livello globale.

L’Organizzazione (con la O maiuscola), “… corrisponde in modo sistematico alle esigenze di funzionalità ed efficienza di una impresa collettiva …”, ma per definizione fa riferimento “ad un gruppo di persone formalmente unite per raggiungere uno o più obiettivi comuni che individualmente riuscirebbero difficilmente a raggiungere”.

Persone, ecco la parola chiave. Possiamo quindi trascurare le persone che costituiscono l’organizzazione motore della tecnologia? No. Però l’energia che dedichiamo alle persone e alla costruzione delle loro competenze è una frazione di quella dedicata allo sviluppo e all’acquisizione della tecnologia.

Perché viviamo questa contraddizione? Perché i piccoli imprenditori, cuore del capitalismo italiano, preferiscono investire in tecnologia piuttosto che in cultura, ossia in Capitale Umano?

Eppure, il percorso “verso il non ancora”, secondo la definizione di Aldo Bonomi, parente del “non più” che stiamo superando, ci permetterà di lasciare la “terra di mezzo” nella quale siamo impantanati, proprio grazie al Capitale Umano e all’innovazione che mette in gioco.

“… Valorizzare l’intelligenza artistica, artigianale, industriale, relazionale e simbolica di cui è ricca la tradizione italiana … diventa un ambito oggi praticabile” (Alberto De Toni).

D’altro canto, Federico Butera sostiene l’importanza di valorizzare i tre pilastri della quarta rivoluzione industriale: tecnologie, organizzazione e lavoro.

Le persone con il loro Capitale Umano, per Butera, saranno il “centro di gravità permanente” dell’universo tecnologico e produttivo e con esse l’organizzazione e le “risorse intangibili” dell’impresa.

Il discorso delle “risorse intangibili” non è nuovo in manutenzione, poiché negli anni Ottanta, e nei primi anni Novanta, quando imperversava il TPM (Total Productive Maintenance) di Sejiki Nakajima, si faceva riferimento alle “risorse invisibili” (o intangibili) come elemento competitivo in un settore come quello automobilistico, dove si andava affermando ovunque una crescente robotizzazione.

Competere con la conoscenza è, invece, un discorso relativamente nuovo non ancora ben padroneggiato e che molto spesso definisce quel gruppo di imprese di élite che sanno farne buon uso. Conoscenza e Capitale Umano.

Il Capitale Umano comprende conoscenza interna all’impresa (brevetti, skills, organizzazione) e conoscenza esterna, insita nella comunità dove l’impresa è insediata. Entrambi questi aspetti concorrono al buon utilizzo del Capitale Umano. È facile a questo punto legare le sorti dell’impresa alla disponibilità formativa residente nel territorio (Istituti Tecnici, Università, Fab Lab, e altri ambiti di formazione permanente) e alle capacità di “fare sistema” sollecitato e indirizzato dalla politica.

A tale proposito si pensi al valore delle esperienze olivettiane durante il nostro secondo dopoguerra (Aldo Bonomi, Il vento di Adriano, la comunità concreta di Olivetti fra il non più e il non ancora, 2015).

E qui torniamo alla riflessione iniziale: la dialettica fra tecnologia e organizzazione e il loro impatto sul Capitale Umano.

Secondo Beltrametti il dibattito sulla Industria 4.0 è stato viziato da un duplice ordine di errori, di segno opposto.

“In primo luogo, è passato, implicitamente, il messaggio che le imprese debbano compiere un salto tecnologico radicale che richiede necessariamente, da subito, investimenti molto importanti; in secondo luogo, si è fatta strada l’idea che, una volta compiuto questo cambiamento tecnologico radicale, sia sufficiente «premere il bottone» di avviamento dei nuovi impianti per entrare in una nuova dimensione economica” … “Questi messaggi impliciti sono particolarmente sbagliati e pericolosi per il sistema delle piccole e medie imprese del nostro paese” … “Occorre pertanto sviluppare una capacità di gestire il cambiamento che non è solo tecnologico ma anche culturale, organizzativo e di strategie aziendali…” (Luca Beltrametti, La fabbrica connessa. La manifattura italiana verso Industria 4.0, 2017).

De Toni e Rullani, mettono invece l’accento sul “fattore umano”. La rivoluzione digitale in atto lungi dal portare verso una società distopica, va considerata per quello che è, ossia una transizione da un paradigma ad un altro, con la creazione di un nuovo ambiente di riferimento che coinvolge tutte le sfere dell’individuo: personale, sociale, culturale, politica.

Nel frattempo, viviamo in Italia una terra di mezzo, dice Rullani, “dove il vecchio non funziona più e il nuovo non funziona ancora” … “il vecchio edificio si sgretola, i suoi materiali danno luogo ad un cantiere dove si può ricostruire un nuovo edificio”, ma solo se ne abbiamo la visione. Questa è la situazione di oggi.

Riusciremo a costruire in tempo il nuovo edificio?

I dubbi rimangono e ci chiediamo se siamo riusciti in queste poche righe a far emergere l’urgenza di non limitare gli investimenti alla tecnologia, ma di prevedere altrettanti se non superiori investimenti per assimilare e movimentare gli aspetti culturali della quarta rivoluzione industriale.

Il territorio con le sue aziende, i suoi centri di formazione formali ed informali, di prima formazione e di formazione continua, sarà il luogo nel quale l’impresa giocherà le sue carte nel mondo globalizzato della competitività.

Parafrasando Rullani, dato che per costruire nuovi edifici con i materiali dei vecchi dobbiamo avere una chiara visione, l’imperativo di questi anni sarà dedicarsi alla progettazione e alla costruzione di questa visione. In poche parole, ci si dovrà concentrare sul Capitale Umano. Certo è uno dei punti di vista non l’unico, ma toccatevi il cuore e lasciatevi andare a qualche riflessione… e poi mettete mano al portafoglio.

 

Maurizio Cattaneo