Non passa ormai anno senza che si ripeta ciclicamente per l'Italia il consueto dramma dell'alluvione. L'ultimo caso che ha coinvolto pesantemente la Sardegna rappresenta nient'altro che l'ennesimo campanello d'allarme che ci ricorda l'estrema fragilità del nostro territorio. L'errore reiterato è quello di ricordare sempre e solo di fronte alla catastrofe dati noti da tempo, ma che sembrano non impressionare più: quasi a nulla sembra servire che sono ben oltre 6600, cioè circa l'82% del totale, i comuni italiani situati in aree ad elevato rischio idrogeologico, cioè un territorio equivalente al 10% della superficie della penisola.
Tradotto ulteriormente, il dato indica che ben 5,8 milioni di italiani vivono in una situazione di potenziale pericolo. L'analisi è contenuta in un recente rapporto del Corpo forestale dello Stato, e sottolineato anche dall'ultimo studio di Legambiente, realizzato insieme alla Protezione civile. Nell'analisi dettagliata sul recente dissesto in Sardegna si sottolinea l'esistenza di un 81% dei Comuni (306 amministrazioni) a rischio, per 614 chilometri quadrati soggetti a frane ed esondazioni. Inoltre, sempre con riferimento all'emergenza alluvione nell'isola, è riemerso nuovamente il tema della prevenzione e della difesa del suolo.
Secondo Legambiente, in appena dieci anni in Italia è addirittura raddoppiata l'area dei territori colpiti da alluvioni e frane, passando da una media di quattro a otto regioni all'anno. "Sono aumentate in modo esponenziale le concentrazioni di piogge brevi e intense, le cosiddette 'bombe d'acqua'. Eppure, negli ultimi dieci anni abbiamo speso per la prevenzione due miliardi di euro".
Stessa cifra è stata spesa negli ultimi tre anni per far fronte alle emergenze principali causate dal dissesto idrogeologico. Come se non bastasse, aggiunge Legambiente, nelle aree a rischio spesso si trovano anche abitazioni (85%), industrie (56%), hotel e negozi (26%), scuole e ospedali (20%).
La Forestale fa notare come in dieci anni sia aumentato esponenzialmente il numero dei Comuni ad elevato rischio idrogeologico, in particolare per quelli piccoli e del meridione.
Nella classifica delle regioni a maggior rischio idrogeologico, con il 100% dei comuni esposti, la Calabria, il Molise, la Basilicata, l'Umbria, la Valle d'Aosta, oltre alla provincia di Trento. Poi Marche, Liguria al 99%; Lazio, Toscana al 98%; Abruzzo (96%), Emilia-Romagna (95%), Campania e Friuli Venezia Giulia al 92%, Piemonte (87%), Sardegna (81%), Puglia (78%), Sicilia (71%), Lombardia (60%), provincia di Bolzano (59%), Veneto (56%).
"Sostenere che queste sciagure accadono anche perché non ci sono le risorse finanziarie disponibili per la tutela e la manutenzione del nostro territorio risulta difficile", dice in proposito il segretario della Cgia Bertolussi "soprattutto a fronte dei 43,88 miliardi di euro che vengono incassati ogni anno dallo Stato e dagli Enti locali dall'applicazione delle imposte ambientali, di cui il 99% finisce invece a coprire altre voci di spesa. I soldi ci sono, peccato che ormai da quasi un ventennio vengano utilizzati per fare altre cose".
La Cgia di Mestre sottolinea inoltre, secondo una recente elaborazione, come solo l'1% delle imposte ambientali pagate dai cittadini e dalle imprese italiane all'Erario e agli Enti locali è destinato effettivamente alla protezione dell'ambiente. Il restante 99%, purtroppo, va a coprire altre voci di spesa. A fronte di 43,88 miliardi di euro di gettito incassati nel 2011 (ultimo dato disponibile) dall'applicazione delle cosiddette imposte "ecologiche" sull' energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, solo 448 milioni di euro vanno a finanziare le spese per la protezione ambientale.
Fonte: Legambiente - Cgia di Mestre