Questo editoriale vuole essere un compendio di riflessioni di fine anno, stimolate da editoriali precedentemente pubblicati, da eventi accaduti nel corso dell’anno, oltreché dai focus della rivista con gli articoli pubblicati.
Per avere un filo conduttore, e concretizzare il ragionamento, ripenserò alla storia della manutenzione e dell’asset management, facendo una sorta di volo panoramico; non sarà quindi rilevante l’attenzione al dettaglio, che servirà solamente come zoom fotografico per tracciare il processo evolutivo. Senza ombra di dubbio, la manutenzione non richiede alcuna motivazione particolare per giustificarne l’essenza, e la stessa ragione di esistere. È un’attività certamente antica, nata con i primi attrezzi e strumenti che l’uomo ha creato per il proprio benessere: affilare le lame delle proprie armi di pietra o di metallo è un’attività manutentiva, così come riparare le reti da pesca, un’imbarcazione o un mezzo di trasporto su terra. Complessivamente, lo sviluppo della manutenzione è sempre stato intrecciato con l’evoluzione stessa della civiltà, e delle logiche del costruire e del produrre a beneficio della vita dell’uomo.
In passato (vale a dire, il passato remoto) era lo stesso utilizzatore dell’attrezzo o del mezzo (di trasporto, di produzione ecc.) ad eseguire l’intervento di manutenzione, perché la complessità di attrezzi e strumenti non richiedeva specifiche abilità. Più di recente (il passato più recente, a partire dai primi decenni dello scorso secolo sino ai tempi d’oggi), l’evoluzione del modo di costruire e di produrre ha accresciuto la complessità tecnica di prodotti ed asset, portando alla necessità di una maggior specializzazione delle persone per eseguire gli interventi di riparazione e, più in generale, di approcci di manutenzione al passo coi tempi. Lo sviluppo di tecniche per la diagnostica precoce dei guasti, anche con funzioni predittive quando possibile, da un lato, la maturazione di capacità di analisi di prodotti/asset complessi per identificarne le criticità a garanzia della mission operativa dei prodotti/asset stessi, dall’altro, sono una conquista che ha progressivamente determinato le competenze ed abilità necessarie per rispondere alla complessità crescente. Così, quando oggi parliamo di analisi delle vibrazioni, analisi degli olii oppure analisi termografica (solo per citare alcune tecniche diagnostiche tra le più note), piuttosto che quando discutiamo di metodi e tecniche che ricadono sotto l’ombrello dell’approccio RCM (Reliability Centered Maintenance) o del TPM (Total Productive Maintenance), dobbiamo pensare ad un’evoluzione genetica che ha portato naturalmente la manutenzione a trasformarsi da attività di pura tecnica ad attività tecnica-ingegneristica messa a servizio della buona gestione del prodotto/asset durante la sua vita operativa.
Oggigiorno, la complessità sistemica (da intendersi come sistema di prodotti/asset), oltreché la forte mescolanza delle tecnologie, con cui prodotti/asset sono costruiti ad espressione di diverse discipline (meccanica, elettronica, informatica, …), ha portato ad innalzare ancor più l’asticella, spingendo alla necessità di essere buoni gestori dell’intera vita dei prodotti/asset, dalla concezione e il design sino al fine vita. Sta anche diventando più importante il saper gestire i prodotti/asset come dei sistemi: l’impatto di decisioni ed azioni locali è di natura sistemica, diventa, cioè, essenziale saper valutare la criticità degli asset con prospettiva sistemica, a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di un’organizzazione; in altri termini, è importante essere consapevoli che il valore per i diversi portatori di interesse è generato dal sistema (di prodotti/asset) considerato nella sua interezza, e non meramente nelle sue componenti individuali.
Così, un’infrastruttura a rete, piuttosto che una fabbrica oppure una centrale di generazione elettrica, sono costituiti da un insieme di impianti interdipendenti che portano alla qualità del servizio erogato o del prodotto realizzato: questi ultimi non sono che esempi di sistemi con un livello di complessità che richiede adeguata capacità di coordinamento di conoscenze, esperienze e metodologie di diverse funzioni aziendali, per far sì che l’asset portfolio – come insieme di sistemi di prodotti/asset – possa portare a quella che la ISO 55000 sull’asset management definisce “generazione del valore”, in linea con le aspettative dei portatori di interesse.
Non si può quindi non pensare alla storia, ben più recente, della neonata (rispetto ai tempi più lunghi della storia di manutenzione) disciplina dell’asset management; tale disciplina oggi evolve affiancandosi all’evoluzione più recente della manutenzione.
Il termine di asset management è tradizionalmente legato al mondo finanziario, mentre le prime teorie che parlano di concetti e anche del termine di asset management nel mondo industriale sono collocabili attorno agli anni ottanta. Ancor oggi, per poter distinguere l’asset management dalla percezione finanziaria consolidata, spesso si è costretti all’aggiunta di una qualifica precisa, parlando così di “physical” asset management, oppure “engineering” asset management, oppure “industrial” asset management.
L’asset management ha naturalmente dei precursori che hanno aiutato a definirne principi e concetti fondanti. Un concetto essenziale è proprio quello del cosiddetto asset life cycle / ciclo di vita dell’asset. Tale concetto è ascrivibile originariamente agli approcci di Integrated Logistic Support e Terotechnology, riconosciuti, dalla letteratura, come un primo tentativo di andare al di là di un approccio frammentario alla gestione degli asset, con focus primario la minimizzazione dei costi nella vita dell’asset. Lo sviluppo della gestione della manutenzione (maintenance management) è esso stesso un tassello fondamentale per la teoria dell’asset management, condividendone concetti come quello dell’asset life cycle. Tuttavia, sarebbe errato pensare che asset management e maintenance management rappresentino la stessa disciplina o lo stesso processo di business: l’attenzione ad un approccio olistico1, proprio dell’asset management, ha generato un crescente interesse nello sviluppo di una disciplina / un processo più ampi, che vanno oltre le prerogative delle tradizionali aree della gestione della manutenzione.
Il focus si sposta adesso sulla più grande immagine della gestione del ciclo di vita dell’asset (l’asset lifecycle management), includendo diversi elementi come una visione strategica di gestione degli asset, e la gestione del rischio, per indirizzare le decisioni sotto un approccio integrato che promuove la generazione di valore in risposta alle diverse esigenze “centrate” sull’asset. Obiettivi di profittabilità del business e di prestazione delle operations, garanzia di sicurezza e protezione ambientale e, ultimo, non meno importante, ruolo fondamentale del fattore umano per poter competere nella gestione degli asset industriali, diventano tutti ingredienti che possono essere affrontati, ponendo l’asset al “centro” della disciplina e processo di management.
Ecco perché, per seguire l’evoluzione in corso, sarà importante:
- comprendere l’asset management come disciplina con una propria essenza tecnica diversa dalla gestione della manutenzione, pur essendone legata in maniera forte e naturale;
- capire come l’asset management può divenire un processo di business all’interno di un’organizzazione per contribuire ai suoi obiettivi;
- capire come l’asset management può costituire una vision di lungo termine che guida lo sviluppo di strumenti e metodologie a supporto delle decisioni, di sistemi informativi capaci di garantire la gestione dell’informazione nel ciclo di vita dell’asset, e di nuovi profili professionali che andranno a ricoprire con specifici compiti i ruoli in un’azienda, al fine ultimo di garantire il “coordinamento per la generazione di valore dall’asset”.
L’orientamento “asset-centrico” sul quale incidono altri orientamenti dell’asset management, come l’orientamento al ciclo di vita, al sistema, e alla gestione del rischio, potrà essere un elemento chiave per consolidare un nuovo approccio gestionale, capace di andare oltre la visione funzionale, ancorata ai compiti necessari ma non sufficienti, di manutenzione, progettazione, acquisto, produzione…, a garanzia di una vita sicura, efficiente e profittevole dell’asset. Per questa ragione, esprimo un auspicio di fine anno: i) che il 2019 possa portare contributi a questa rivista capaci di evidenziare la nuova evoluzione; ii) che i prossimi anni possano portare a non registrare più altri ponti Morandi, al contrario possano portare esempi di approcci più proattivi dove la vita dell’asset è governata a garanzia della sua integrità e dei valori espressi dai diversi portatori di interesse, che siano istituzioni pubbliche, aziende, o singoli individui.
A tal fine di lungo termine, a mio parere, si dovrà gioco forza seguire un percorso evolutivo verso l’asset management che – con diverse interpretazioni di settore – servirà a conseguire una reale innovazione dei processi aziendali per saper gestire l’asset, dall’inizio al fine vita2.
Prof. Marco Macchi, Direttore Manutenzione T&M
Note
1 L’interpretazione olistica è fondata sulla “tesi secondo cui il tutto è più della somma delle parti di cui è composto” (cfr. www.treccani.it/enciclopedia/olismo/, enciclopedia on line Treccani).
2 Per approfondimenti sugli orientamenti citati come principi dell’asset management e su alcune evidenze empiriche allo stato delle pratiche, si rimanda a due referenze sulle quali questo editoriale è primariamente fondato come base di conoscenza: i) “Verso la gestione degli asset negli impianti industriali: come evolve la Manutenzione?”, ricerca 2014-15 dell’Osservatorio Tecnologie e Servizi per la Manutenzione (TeSeM) della School of Management del Politecnico di Milano (il report può essere richiesto attraverso il sito www.tesem.net); “A Framework To Embed Asset Management in Production Companies”, Irene Roda, Marco Macchi, in Proc IMechE Part O: Journal of Risk and Reliability, 2018, Vol. 232(4) 368–378.