Lo scorso novembre, dedicammo la nostra rubrica all’evolversi di strumenti utili per rivoluzionare i processi manutentivi, come i droni, sempre più utilizzati nelle ispezioni, e le stampanti 3D, candidate ad alimentare e costruire a casa del manutentore, l’ampio mercato dei ricambi specifici e a disegno. È solo questione di pochi anni, si disse.
Oggi invece, affrontiamo l’ingegneria di manutenzione sotto il profilo squisitamente organizzativo.
Siamo consapevoli che da diverso tempo si sta diffondendo una automazione sempre più articolata e complessa, in impianti altrettanto complessi. La conseguenza sarà l’ingegnerizzazione del ruolo del Manutentore.
Ma se andiamo a vedere, questa è solo una piccola parte della realtà. Ci attendono trasformazioni organizzative ben più profonde e destinate a lasciare attoniti i numerosi colleghi che nelle loro fabbriche si arrabattano a convincere l’alta direzione sul valore e sull’importanza delle strategie manutentive (come non manca di osservare da anni, Joel Levitt).
Il ruolo di ingegnere di manutenzione, il manager di manutenzione e qualsiasi altro ruolo intermedio saranno soppiantati dal Manutentore-Ingegnere.
In questo periodo leggiamo sui giornali che un autocarro negli USA ha percorso 160 chilometri senza autista scorrazzando per strade e autostrade.
Oltre a Google, che è forse la più nota, poi, ci sono almeno una ventina di società, che si fanno concorrenza sull’automobile senza conducente, a guida autonoma.
Il mondo del Management poteva rimanere immune a queste prepotenti tecnologie?
La prestigiosa Sloan School of Management del MIT è convinta di no. Sul piano dell’evoluzione organizzativa ci aspettano novità clamorose, specie nel campo della manutenzione.
In Italia negli anni ’80 solo il 5% dei manutentori era laureato e il 15% diplomato, contro, rispettivamente il 25% e 75% in Giappone, con un impegno nella formazione di 8 ore/uomo/anno in Italia, rispetto alle 40 ore/uomo/anno del Giappone. Un abisso che poteva allora giustificare la diversa competitività fra le imprese dei due paesi.
Oggi in manutenzione la situazione è diversa, se da un lato in Italia l’operaio con la terza media degli anni ’90 ha già lasciato il passo al diplomato o al laureato, con alterne fortune, soprattutto riguardo al ricambio fra gli anziani esperti sulla strada del pensionamento, con i rincalzi più giovani, più formati, ma con molta meno esperienza (vedi Maintenance Crisis di Joel Leonard).
Da un altro lato il Manutentore-Ingegnere, segnerà un enorme punto di discontinuità.
Il Manutentore Ingegnere, con il supporto di BigData, IoT e relativo armamentario di App, diventerà molto più autonomo di oggi. Autonomo non solo sul piano organizzativo per effetto dell’empowerment, ma anche sul piano informativo perché le informazioni di cui avrà bisogno convergeranno senza fatica su dispositivi a lui dedicati, permettendogli di concentrarsi sull’intero processo manutentivo, che sia inerente il ciclo di guasto oppure un ciclo di miglioramento. Questo segna la morte definitiva degli staff di Manutenzione, ma non solo.
Il Manutentore-Ingegnere sarà la figura professionale del futuro sia nella Fabbrica 4.0, sia nel Facility/Asset Management dello Smart Building-Smart-City-Smart-Home, mentre il management, il coordinamento, il supporto ingegneristico sarà fornito da automi ossia dall’intelligenza artificiale.
D’altro canto ci si aspettano trasformazioni analoghe nel mondo degli avvocati, commercialisti, agenti, manager, formatori, solo per citarne alcuni, una sorta di leadership artificiale, che lascia all’uomo ciò che conta veramente: contenuti, strategie, idee e innovazioni.
Per quale motivo la manutenzione, nonostante sia un settore costituzionalmente conservatore, dovrebbe essere immune a questo tipo di innovazione tecnologica?
Sono almeno quindici anni che la Manutenzione resiste, anche nelle diverse forme associative, continuando a ripetere gli stessi schemi perpetuando i medesimi rituali, assistendo impotente alla riduzione di tutto quello che la circonda.
Una importante società convegnistica, vedendo ridurre anno dopo anno il numero di persone partecipanti, da 120-150 persone per evento a poco più di una decina, ha deciso di chiudere con i convegni sulla manutenzione. Ma perché ciò è accaduto? La stringente crisi economica avrà anche influito, ma non in modo decisivo, è che sono venuti meno i tradizionali partecipanti che animavano questo genere di incontri.
Gli staff di manutenzione si sono ridotti al lumicino nella media come nella grande azienda, e questo trend è iniziato durante gli anni ’90 e oggi finalmente ci rendiamo conto di cosa ha significato per il mondo della manutenzione.
Ma parallelamente, si dice, “quando una porta si chiude, si apre un portone” ed è così che è avvenuto, si tratta solo di prenderne atto e introdurre le necessarie trasformazioni agli scopi, alle mission, agli obiettivi, alla nostra stessa visione che abbiamo del futuro.
Il Manutentore-Ingegnere, capo di sé stesso, è frutto di una visione che, alla luce dell’oggi, può sembrare uno scenario “antropocalittico”, comunque
diverso dal futuro distopico disegnato da una certa fantascienza, ma siamo costretti a prenderne atto se vogliamo disegnare un futuro possibile.
L’integrazione, evoluzione e potenziamento del ruolo del manutentore, è anche la risposta ad un impellente bisogno, perché la cura dimagrante imposta ai costi di manutenzione e quindi agli staff, visti dalla dirigenza come “costi comprimibili”, non ha permesso di mantenere gli standard elevati di manutenzione richiesti dalla complessità del sistema produttivo odierno.
Così una parte delle aziende vivacchia, altre che hanno saputo investire, diventano leader, ma una soluzione che aumenti drammaticamente la produttività della manutenzione va pure trovata.
Il Manutentore Ingegnere è una prima risposta. L’ingegnere per sua natura ha una formazione scolastica multidisciplinare, come sostenevo recentemente in un seminario organizzato dall’Ordine, quindi mi pare la persona più adatta per questo ruolo complesso qual è il Manutentore-Ingegnere. Aldo Bonomi, uno dei più brillanti sociologhi italiani sostiene riguardo al lavoro che siamo in una terra di mezzo fra ciò che non c’è più, e ciò che non c’è ancora, riguardo al futuro è ottimista, ma sarebbe utile capire cosa non c’è ancora in manutenzione, ma ci sarà. Un’altra strada consiste nell’abbandonarsi alle suggestioni di Jeremy Rifkin e della sua società a costo marginale zero. A mio parere una cosa sarà indispensabile per la sopravvivenza delle aziende: seguire la strada già segnata da FCA e dalla maggioranza dei suoi fornitori dell’indotto, nella direzione del World Class Manufacturing e quindi dei mantra: zero fermate, zero difetti, zero infortuni. Con quale organizzazione lo vedremo in un futuro molto prossimo.
Maurizio Cattaneo, Amministratore Unico Global Service & Maintenance Srl