Il 19 ottobre scorso cadeva la Giornata Mondiale della Riparazione, dal 2017, ogni anno, il terzo sabato di ottobre. Per festeggiare la ricorrenza ci incontrammo a Bagno di Romagna con gli studenti del locale liceo scientifico Augusto Righi. Non c’era tempo per approfondire, solo una mezz’ora, servita a stimolare la curiosità dei ragazzi e ad organizzare alcuni mesi dopo una giornata dedicata alla manutenzione e al suo impatto sulla Economia Circolare.
La riparazione è uno dei capisaldi della manutenzione, fin dai primordi. Si dovrà arrivare alla rivoluzione industriale per muovere lentamente la manutenzione dalla riparazione verso altre mete. L’ingegneria di manutenzione si sviluppò a partire dal periodo fra le due guerre fino ad oggi, e non è ancora finita.
Un bel sabato soleggiato di febbraio abbiamo rivisto gli studenti del Righi. Ci siamo organizzati in un’aula cui abbiamo tolto i banchi e i ragazzi tutti intorno a me con le sedie in cerchio e le loro domande.
Abbiamo stabilito la regola che io avrei introdotto l’argomento e i ragazzi avrebbero messo le loro domande per iscritto, in modo da darmi la possibilità, durante l’intervallo, di esaminarle metterle in ordine e poi discuterle con loro nella seconda parte dell’evento.
Non voglio annoiarvi con la mia introduzione. Semplificando: come un rifiuto può rimanere in circolo? Riparato e riciclato, valorizzato (upcycling), trasformato in materia prima seconda, trasformato in energia, oppure espulso dal ciclo rimanendo un rifiuto. Il ruolo della manutenzione (e della riparazione) è nelle prime due attività. La centralità della riparazione nel moltiplicare la longevità dei beni.
A proposito del “non ancora” è stato messo l’accento sul Capitale Umano. Sull’importanza di avere tecnici, persone che hanno acquisito le competenze per le riparazioni, altrimenti il cerchio si spezza e l’economia circolare va in frantumi.
Una ottantina di ragazzi della 3a, 4a, 5a liceo hanno risposto a queste sollecitazioni facendo delle domande che ho suddiviso in due gruppi. Il primo gruppo coglie la dimensione etica, il secondo cerca di approfondire come la manutenzione può operare. Ed ecco le domande:
- Come si può cambiare l’economia se la riparazione potrebbe essere sfavorevole per le aziende produttrici?
- Quali sono altri esempi di manutenzione che ciascuno di noi può fare nel suo piccolo?
- Sarebbe più utile limitare gli acquisti o comprare oggetti riciclati?
- Come possiamo convincere a riparare il vecchio anziché comprare cose nuove, in una società come la nostra in cui vi è una gara a chi ha l’ultimo modello di ogni cosa?
- Crede che un cambio di rotta sia possibile? Se sì, in che modalità avverrebbe secondo lei?
- Quali sono le regole per un corretto compostaggio?
- Ci farebbe qualche esempio pratico di manutenzione?
- Come possiamo smaltire i rifiuti il più possibile?
- Le funzioni e le derivate che stiamo studiando come possono servire per la manutenzione?
È stato bello vedere come i ragazzi abbiano interagito con serietà e passione, un primo passo verso la percezione di un futuro che noi più anziani, lasceremo evidentemente in buone mani.
Una domanda mi ha colpito in modo particolare, il fatto che la riparazione dei beni possa nuocere a chi produce, fabbrica e distribuisce nuovi prodotti.
È un po’ il succo della manutenzione. A cosa serve la riparazione se non a risparmiare? Se acquisire un prodotto nuovo costasse meno che ripararlo sarebbe difficile accettare un modus vivendi basato sul riciclo anziché sul consumo.
Il risparmio va visto in una dimensione globale e non nell’interesse del singolo, altrimenti il ragionamento non funziona. Ecco anche il senso del “non più” e del “non ancora”, lasciando alcuni lavori non più remunerativi e indirizzandosi verso nuovi lavori profittevoli.
Fin dai tempi più remoti, l’uomo capì che riparare una lancia rotta era meno impegnativo che ripartire da zero costruendo una lancia nuova. E la lancia era uno degli strumenti essenziali per procacciare cibo. Certo poi bisogna considerare “come” la lancia è rotta, uno squisito argomento manutentivo che ci farà valutare se la riparazione sia conveniente.
Oggi le cose si sono terribilmente complicate per via dell’obsolescenza tecnologica. Il maggiore nemico della longevità. Ma proprio per questo si ricorre sempre più spesso all’upcycling. Perché ci sono casi in cui la semplice riparazione è sufficiente a riciclare l’oggetto. Pigliamo ad esempio una sedia o dei calzini bucati. Nessuno si aspetta che la sedia abbia importanti sviluppi tecnologici e nemmeno il calzino.
In altri casi invece, solo se la riparazione aggiunge nuove funzionalità all’oggetto o se l’oggetto si arricchisce di elementi artistici, o ancora se riceve un upgrade tecnologico, ad esempio con l’aggiunta di controllori elettronici, di elementi robotici, la longevità può averla vinta. Altrimenti quella della longevità è una battaglia persa. Fra i prodotti di massa, è il caso degli smartphone. Per fare solo qualche esempio semplice.
Pensate alle complessità di impianti industriali, alle problematiche derivanti da sostituzioni “buono come nuovo”, che rendono un impianto sano e dotato quasi di vita eterna, ma che corre il rischio di rivelarsi non adeguato nelle sue funzioni. Saper aggiungere funzioni nuove è cruciale per l’economico mantenimento in efficienza di un impianto. Altrimenti sarà scartato anche se perfettamente sano. O nella migliore delle ipotesi, smontato ed inviato a qualche paese terzo.
Ancora una volta torniamo alla questione del Capitale Umano, o capitale intellettuale come lo volete chiamare.
Se non c’è un intervento potente a favore del sistema formativo, è tutto inutile. Solo i paesi che avranno costituito masse competenti di manutentori potranno reggere l’impatto sapendo fare un saggio uso della manutenzione.
Rimanendo nella vallata del Savio, dove vivo, fra i monti dell’appennino tosco-romagnolo, dal prossimo anno scolastico si aprirà a Sarsina una nuova sezione del prestigioso ITT Guglielmo Marconi di Forlì, con dei corsi di diploma in meccatronica.
Le aziende locali hanno spinto, di più, hanno desiderato, hanno corteggiato la politica perché si aprisse una scuola tecnica a Sarsina, a 50 km da Forlì. Perché anche senza raggiungere i massimi sistemi manutentivi, molto semplicemente hanno un disperato bisogno di manodopera qualificata, di tecnici che conoscano la meccanica, quella classica di base, ma con competenze di elettronica e robotica. Che siano in grado di manovrare le nuove macchine, quelle che trasformano i colletti blu in colletti bianchi.
E l’integrazione fra imprese, territorio, sistema formativo, società, quella comunità che Adriano Olivetti aveva ipotizzato prima di lasciarci prematuramente.
Aprire una scuola ci fa pensare al futuro a quel “non ancora” che noi imprigionati nella terra di mezzo agogniamo di raggiungere, quel colpo di reni che, superato l’argine della palude, ci permetterà di vedere lontano verso un futuro prospero, dove ci sarà di nuovo tanto lavoro, ma anche tanto tempo libero. Felici.
Maurizio Cattaneo