In un periodo come quello odierno, costellato dalla presenza di numerosi bonus fiscali in campo energetico, gli interventi di efficientamento attraggono un numero sempre maggiore di imprenditori. I costi sostenuti si traducono in detrazioni Ires, cedibili o direttamente utilizzabili dall’impresa. Ma concretamente quali sono gli interventi in cui ha più senso investire?
Il tema dell’efficienza energetica riguarda vari ambiti di intervento, riconducibili principalmente alla sfera dell’involucro edilizio e degli impianti in esso contenuti. Lo strumento principe per individuare la migliore strategia, in termini di priorità di intervento e tempi di ritorno degli investimenti, è la diagnosi energetica dell’immobile. Quest’ultima deve essere affidata a professionisti del settore, tecnici esperti in grado di individuare le criticità di un edificio e le soglie di miglioramento. Per le aziende più grandi o per quelle cosiddette “energivore”, la diagnosi dei consumi è diventata un obbligo con l’introduzione del Decreto Legislativo 102 del 2014, aggiornato nel corso degli anni sino al recente Decreto 73 del 2020. Si tratta di normative figlie di direttive europee, che da ormai quindici anni spingono il settore industriale a tracciare i propri consumi, a ridurre l’impiego di combustibili fossili e diminuire le emissioni di anidride carbonica in atmosfera. Fino al 2020 l’obiettivo è stato quello di ridurre i consumi europei del 20%. Il prossimo traguardo è quello di raggiungere il 32,5 % di risparmio entro il 2031. Nel corso degli anni sono nati sistemi certificati di monitoraggio dei consumi, come ad esempio la ISO 50001, il cui obiettivo è creare, avviare, mantenere e migliorare il sistema di gestione dell’energia di un’impresa. Per incentivare gli interventi di efficientamento energetico sono stati introdotti in Italia a partire dal 2005 i cosiddetti certificati bianchi, ossia titoli di efficienza energetica (TEE) acquistabili e rivendibili sul mercato. Un certificato bianco equivale al risparmio di una tonnellata equivalente di petrolio (TEP), più o meno il consumo energetico annuale di una famiglia media. Le aziende più virtuose possono vendere tali certificati ad altre imprese, obbligate ad eseguire un efficientamento e quindi ad ottenere tali certificati, ma impossibilitate a realizzarlo.
Per le aziende medio – piccole l’intervento di efficientamento non è obbligatorio. E’ lasciata alla sensibilità dell’imprenditore la capacità di intuirne la valenza sia in termini di rispetto per l’ambiente, sia in termini di crescita netta di competitività. I tempi di ritorno tipici per gli interventi di efficientamento energetico si stimano nell’ordine di qualche anno. Nel rapporto ENEA relativo alle diagnosi energetiche dell’ultimo quadriennio, derivanti da D. Lgs 102 e concluse nel mese di dicembre del 2019, si legge che gli interventi con un tempo di ritorno inferiore all’anno hanno coperto circa il 19% del risparmio complessivo legato alla globalità degli interventi effettuati (circa settemila interventi, su un migliaio di aziende incluse nel programma). La percentuale passa al 10% per interventi con un tempo di ritorno tra uno e due anni; 13% per interventi con tempo di ritorno tra due e tre anni, 17% tra tre e cinque anni, 20% tra cinque e dieci anni, e 21% per interventi con tempo di ritorno oltre i dieci anni. In realtà questi tempi si accorciano drasticamente considerando l’apporto degli incentivi fiscali. Si pensi al classico eco bonus, presente in Italia ormai da quindici anni: gli interventi sull’involucro edilizio sono agevolati al 65% per quanto riguarda pareti e solai e al 50% per le finestre. Il massimale della detrazione è pari a 60 mila euro per unità immobiliare. In caso di acquisto e installazione di schermature solari la detrazione è pari al 50% fino a un massimo di 60 mila euro. Per chi sostituisca un impianto di climatizzazione invernale tradizionale con una caldaia a condensazione dotata di sistemi di termoregolazione evoluti il risparmio è del 65%, fino a un massimo di 30 mila euro. Oltre a ricevere un forte sconto sulle spese sostenute, come testimoniano questi dati, l’impresa può godere da subito di un grande risparmio sulle bollette di gas e luce. Il guadagno è doppio. Il tema è quanto mai delicato considerata la vetustà del panorama edilizio industriale della nostra penisola. La maggior parte dei fabbricati industriali italiani risalgono a prima dell’entrata in vigore della Legge 10 del 1991, la normativa che ha imposto isolamento termici minimi e l’efficienza degli impianti di climatizzazione. Si tratta quindi di edifici con un involucro privo di isolamenti termici, spesso caratterizzato da enormi perdite per ventilazione, dovute alla cattiva sigillatura dei componenti edilizi tra loro. Proprio le perdite per ventilazione giocano un ruolo fondamentale. Per comprendere il problema, è sufficiente pensare agli spifferi sotto le finestre e le porte presenti nelle vecchie abitazioni. Nel caso di un capannone industriale riscaldato avente dimensioni di diverse centinaia o migliaia di metri quadrati, spesso con altezza superiore ai 5 m, i cosiddetti spifferi, ossia i punti di dispersione per ventilazione aumentano a dismisura: portoni industriali tutt’altro che ermetici, serramenti vecchi senza guarnizioni efficaci, vecchi passaggi impiantisti non più in uso e mai sigillati, rappresentano la via preferenziale di dispersione del calore. Stime facilmente reperibili in molti siti internet riportano che nel caso di vecchi edifici le perdite per ventilazione arrivano a coprire l’80% delle perdite totali dell’involucro. In un edificio progettato secondo i dettami delle Legge 10/91 scendono al 60%. In un edificio moderno, ossia realizzato in conformità alle più recenti normative le perdite per ventilazione scendono considerevolmente fino al 30-40% del totale.
Si consideri un edificio industriale a pianta rettangolare, non isolato, avente superficie di 1.000 metri quadrati, riscaldato con vecchi generatori di calore a metano a scambio diretto. Le spese per il combustibile possono arrivare a qualche decina di migliaia di euro all’anno. La semplice sostituzione dei generatori con più efficienti caldaie a condensazione dotate di unità ventilante interne (un investimento di circa 20 mila euro di cui oltre la metà oggetto di detrazione), abbinate all’installazione di destratificatori d’aria, potrebbe comportare risparmi del 10-15% sul combustibile . Parimente ai consumi di metano scenderebbero anche i consumi elettrici. Se all’intervento si abbinasse la coibentazione della copertura, si potrebbe giungere a un decremento delle dispersioni, e quindi del metano utilizzato, pari anche al 40%.L’intervento sarebbe in buona parte incentivato. Un terzo intervento potrebbe riguardare la sostituzione dell’illuminazione tradizionale con più efficienti apparecchiature a LED. Infine, in caso di presenza di grandi superfici vetrate, ad esempio nella palazzina ufficio, si potrebbe intervenire con pellicole antisolari, per diminuire i costi di raffrescamento estivo. La spese netta ammonterebbe a poche decine di migliaia di euro, recuperabili in qualche anno, con un enorme beneficio in termini di comfort interno e con un grande aiuto all’ambiente, messo sempre più a dura prova.
Alessandro e Riccardo Baldelli, Ricam srl