Evoluzione della manutenzione ferroviaria

L’esperienza dell’autore sui cambiamenti degli ultimi decenni nella manutenzione ferroviaria che hanno riguardato anche le infrastrutture

  • Dicembre 14, 2018
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    Evoluzione della manutenzione ferroviaria

Ho cominciato ad occuparmi di manutenzio­ne di rotabili metro-ferro-tranviari nell’au­tunno del 1986, quando in Fiat Ferroviaria sono diventato Coadiutore del Responsabile del Servizio Post-vendita, di cui ho assunto il ruolo all’inizio del 1989 quando è andato in pensione.

Per me quest’attività – che comprendeva l’as­sistenza tecnica (in particolare le prestazioni in conto garanzia) al prodotto fornito, la preparazio­ne della manualistica per il personale di condot­ta e per quello di manutenzione, l’addestramento e la formazione del personale dei Clienti e dello stesso Servizio Post-vendita, la definizione e la commercializzazione della ricambistica e lo svol­gimento degli allora pochi servizi di manutenzione terziarizzati – era parecchio nuova poiché a quel tempo nella formazione universitaria la manuten­zione non era un argomento trattato, anche nei corsi specificamente volti alla progettazione di mezzi di trasporto, come il da me seguito corso Costruzione di materiale ferroviario dell’illustre professor Franco Di Maio: penso che allora (e ancora per almeno una decina d’anni) fosse così anche per gli analoghi corsi di progettazione di automobili o (forse meno probabilmente) di ae­rei o navi di Ingegneria Meccanica e per i corsi di Ingegneria Civile relativi alla progettazione e alla costruzioni degli impianti civili e industriali. È come dire che si era ancora nella preistoria della Ingegneria di Manutenzione…

Personalmente sono stato “aiutato” in questo per­corso sia dai miei trascorsi familiari e personali, sia dagli studi universitari, sia – soprattutto – dall’e­sperienza maturata nei miei primi anni di lavoro in Fiat Ferroviaria, dapprima (per sette anni) in pro­gettazione e poi (per quattro anni) in produzione, che mi hanno fornito un ottimo e utile “bagaglio” per muovermi nel per me piacevole e gradito am­biente dell’Ingegneria di manutenzione, che – da allora e sempre più – considero una vera e propria e irrinunciabile disciplina ingegneristica e che spe­ro sempre più diventi oggetto di studi, di lezioni e di esercitazioni universitari per i futuri ingegneri.

La svolta degli anni Ottanta

Ma proprio nella seconda metà degli Anni Ottanta del secolo scorso nel settore dei mezzi di trasporto su ferro, poco a poco s’è cominciato a parlare di LCC (Life Cycle Cost) fin dall’acquisizione dei nuo­vi rotabili. Ricordo che in quel periodo le Ferrovie Statali Svedesi (“SJ”) avevano lanciato una gara per la fornitura di treni per servizi regionali e, spe­cificamente e obbligatoriamente, richiedevano che l’offerta fosse accompagnata dall’LCC elaborato secondo un modello informatico riportato in un di­schetto da 3,25” (!) da utilizzare per l’inserimento dei dati e per l’elaborazione dell’LCC.

Mi colpì molto – anche poiché in qualche modo era una conferma delle riflessioni che personal­mente stavo maturando sulla manutenzione dei rotabili su ferro – l’affermazione dell’ingegner Ruggero Zecchi dell’allora Ente Ferrovie dello Stato durante un convegno a Firenze nell’autun­no del 1989: era una indicazione che gli Eser­centi-acquisitori stavano maturando nuovi criteri per la valutazione delle offerte e, nel contempo, una chiara sensibilizzazione per i Costruttori di mezzi ferroviari al tenere ben presente, fin dalle prime fasi della progettazione, la manutenzione necessaria per la vita dei rotabili, poiché «la fase progettuale-costruttiva (in carico alle Ditte) si conclude in qualche anno, mentre l’esercizio e la corrispondentemente necessaria manutenzione (in carico agli Esercenti) dura qualche decennio» e, quindi, gli Esercenti sarebbero stati ben con­tenti di spendere di più nell’acquisto se questo incremento dei costi fosse “compensato” da una riduzione dei costi della manutenzione per tut­ta la vita dei rotabili (del resto, indicativamente l’LCC della sola manutenzione in 25÷30 anni potrebbe essere da due a quattro volte il costo dell’acquisto…).

In ambito ferroviario in quegli stessi anni stava sempre più maturando la consapevolezza che un (nuovo) progetto di rotabili non potesse esse­re sviluppato senza una preventiva e continua analisi dell’affidabilità e un’adeguata analisi delle cause dei possibili guasti – anche ricorrendo all’esperienza proveniente dall’esercizio di rotabili simili, cioè a quella poi detta ROE (Return Of Experience) – e senza un’accurata e “tecno-scien­tifica” definizione del piano di manutenzione preventiva e delle operazioni occorrenti per la manutenzione correttiva. Tutti questi “passi” hanno av­viato un processo di elaborazione di un’embrionale Ingegneria di Manu­tenzione, la quale poi s’è sempre più sviluppata e articolata e della cui analisi nessun progetto poteva (e può) fare a meno, tanto da essere, in Fiat Ferroviaria e poi in Alstom Transport, rispettivamente obbligatoria e bloccante/cogente per lo sviluppo della progettazione. Ora tutto ciò può sembrare ovvio, evidente, “naturale”, ma non si possono negare i “passi da gigante” fatti rispetto ai trascorsi Anni Ottanta!

Problemi infrastrutturali e non solo

Come detto, la mia attività in questo settore è iniziata nella seconda metà degli Anni Ottanta e si può dire che sia coincisa e “rafforzata” in tale periodo proprio grazie alla preparazione e all’avvio dell’esercizio degli elettrotreni ETR 450 (i “Pendolino” di serie, quelli della “prima generazione”, dopo il prototipale ETR 401 di un decennio prima): erano la prima flotta delle (allora) FS costituita da un gran numero di lunghi treni bloccati per il servizio ad alta velocità (all’epoca 250 km/h in esercizio sistematico erano rari in Europa e assenti in Italia), che quindi dal punto di vista della manutenzione era quasi considerata un “preoc­cupante”, inedito e, forse, temuto o rischioso problema.

Si cominciò (già a fine 1986) a collaborare con le FS per la definizione dei bisogni di strutture, di impianti e di attrezzature per la manutenzione della futura nuova flotta. Infatti si faceva sempre più forte la consapevolezza che i nuovi treni (i Pendolini, ma poi gli ETR 500 e così via) avevano bisogno di impianti studiati appositamente per le nuove tipologie di veicoli a composizione bloccata, lunghi fino a 300 metri.

Contemporaneamente si cominciava a mettere mano a linee dedicate al pas­saggio dei nuovi treni, affrontando problemi, sia per la realizzazione che per la manutenzione delle linee stesse mai presentati prima, legati alla velocità ed agli impatti sul territorio.

I costruttori quindi hanno dovuto pensare ad altri aspetti predisponendo corsi di formazione per i futuri macchinisti e i manutentori della flotta e degli im­pianti; infine hanno seguito per anni l’esercizio dei nuovi treni, non solo per assolvere agli obblighi di garanzia da prestare alle FS secondo il contratto di fornitura, ma per poter meglio valutare le nuove situazioni in funzione delle nuove progettazioni.

I Pendolini

Tra i tanti problemi (di maggiore o minore importanza/significanza, alcuni dei quali causarono la “richiesta di soccorso” per arresto di un ETR 450 in linea) emersi nel primo anno di esercizio, due in particolare “costrinsero” noi del Servizio Post-vendita ad “incamminarci” sul percorso di una più concreta e “robusta” Ingegneria della Manutenzione e li racconto come esempio.

Il primo problema consistette in un’abbastanza frequente automatica esclu­sione (per sicurezza) dei convertitori rotanti che alimentavano (a 380 Vca trifase) tutti i servizi dell’elettrotreno: l’esclusione di un convertitore deter­minava la riconfigurazione dei carichi sugli altri rimasti efficienti, ma se pro­gressivamente il numero dei convertitori esclusisi aumentava, raggiunto un certo numero di convertitori esclusi l’elettrotreno non poteva più continuare il viaggio, con conseguenze commerciali e operative chiaramente inaccettabili. Con l’aiuto della Direzione Progettazione e Prove di Fiat Ferroviaria, fu avviata (durante il servizio commerciale) una campagna di rilevazione delle potenze erogate dai convertitori nelle diverse condizioni di esercizio e di impiego: si trovò che in certe situazioni le potenze assorbite dai carichi potevano essere più alte del previsto – per lo sfasamento (cos ϕ < 0,8) dovuto ai carichi era presente anche una non trascurabile potenza reattiva – e che questo era il motivo del surriscaldamento e dell’intervento delle protezioni elettriche con l’arresto del convertitore. Dopo una simulazione e alcune prove di validazione della modifica studiata, fu aggiunto un adeguato rifasatore a valle di ogni con­vertitore e l’anomalia non si presentò mai più.

Il secondo problema fu quello dell’inspiegabile comportamento della temperatura regolata dall’impianto di climatizzazione all’interno del solo veicolo di testa dell’elettrotreno in viaggio, temperatura che fino alla par­tenza era del tutto uguale a quella degli altri veicoli in composizione: dopo la partenza, in pratica poco a poco la temperatura all’interno del primo veicolo diminuiva d’inverno e aumentava d’estate, con evidenti e inaccet­tabili ripercussioni sul confort dei viaggiatori.

Con prove pratiche (anche in servizio commerciale) rilevammo che at­traverso le prime (senso marcia) due bocchette laterali di aspirazione l’aria “fresca” per la climatizzazione non entrava bensì usciva (per la depressione sulla prima metà delle fiancate del primo veicolo dell’elettro­treno) e che quindi le relative termosonde, allocate proprio all’interno del condotto percorso dall’aria, fornivano alla centralina di regolazione se­gnali contrari alla realtà (d’estate la temperatura erroneamente segnalata era quella – fresca – dell’ambiente passeggeri pre-climatizzato prima della partenza, mentre d’inverno la temperatura erroneamente segnalata era quella – riscaldata – dell’ambiente passeggeri pre-climatizzato) con progressivo riscaldamento d’estate o raffreddamento d’inverno del com­parto passeggeri: furono quindi studiati, provati e applicati diffusori esterni sulle due coppie di bocchette d’estremità dell’elettrotreno, atti a eli­minare, con la loro dissimmetria, il problema sia per il veicolo di testa sia per quello di coda.

Indispensabilità dell’Ingegneria di Manutenzione

Con la sempre più maturata consapevolezza dell’importanza e dell’indispensabilità dell’Ingegne­ria di Manutenzione, negli anni ne è stato ampliato il “campo di applicazione”, con un approccio sem­pre più interdisciplinare, sistematico e specifica­mente inserito nei processi aziendali (per esempio, l’irrinunciabilità del processo “Design For Service­ability”): così si è passati dalla manutenzione “ri­gida” (secondo scadenze e periodicità stabilite e rigorosamente da seguire) a quella “condizionale” e a quella “predittiva” e si sono aggiornati o ride­finiti i piani di manutenzione in modo più coerente con gli obiettivi di affidabilità e di disponibilità e con i risultati realmente ottenuti in esercizio, secondo l’evoluzione dello stesso concetto di “manutenzio­ne” ormai in atto nel settore dei rotabili su ferro.

È nel frattempo anche cambiato il processo di ma­nutenzione per i “treni bloccati” (ma ora anche per i treni di locomotiva e carrozze, in particolare quelli con una carrozza semipilota) che ormai stabilisce una manutenzione eseguita “per moduli”, ossia svolgendo attività tecnicamente e operativamente omogenee in modi e in tempi distinti per ogni parte del convoglio: le scadenze manutentive non cam­biano, ma le corrispondenti attività sono eseguite in tempi diversi sulle varie sezioni del convoglio che, durante la stessa sosta per la manutenzione prevista nella turnazione di esercizio della flotta, sono manutenute in parallelo (le parti elettriche di una sezione, le parti meccaniche di un’altra, gli im­pianti di un’altra ancora e così via): così, risultando minore il tempo di immobilizzazione durante ogni sosta del convoglio in manutenzione, è possibile ottenere una maggiore disponibilità e, inoltre, otte­nere un miglior bilanciamento dei diversi “mestieri” dei manutentori (elettricisti, meccanici, elettronici, idraulici, pneumatici…).

Questa “nuova impostazione” operativa s’è svi­luppata negli Anni Novanta del secolo scorso ed è stata introdotta in modo significativo col nuovo Millennio. Anche lo studio, l’affinamento, la defi­nizione per casi specifici di service manutentivo, l’attuazione e l’esecuzione di questa modalità sono divenuti e sono tuttora un mio personale patrimo­nio di esperienza e di competenza professionali, sempre peraltro da fare crescere…

 

Marco Galfrè, Già Responsabile Manutenzione, Alstom