Il ciclo di vita delle opere pubbliche

I benefici dell'integrazione tra costruzione ed esercizio

  • Dicembre 15, 2015
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    Il ciclo di vita delle opere pubbliche

Il responsabile unico del procedimento (nel seguito RUP) nell'ambito dei contratti pubblici di lavori è un project manager atipico orientato, oltre che agli obiettivi consolidati di tempi, costi e qualità, anche ad obiettivi legati alla sicurezza e alla manutenzione e, quindi, in un'accezione di più ampio respiro, a obiettivi tesi a garantire la collettività circa la sostenibilità dell'opera nel tempo. In tal senso, il RUP opera all'interno di un ciclo di vita di progetto che tende a sovrapporsi, per durata, al ciclo di vita dell'opera e, quindi, assumendo un orizzonte temporale maggiore rispetto agli altri tipi di commessa edile-impiantistica.

 

In un certo senso si può considerare che il "progetto" per il RUP sia di garantire che la l'asset fisico (l'opera costruita attraverso la quale la Pubblica Amministrazione eroga dei servizi alla comunità di riferimento) svolga la sua funzione come e quanto richiesto durante il ciclo di vita previsto per l'opera.

Anche se tale indirizzo strategico era già chiaro nella legge sui lavori pubblici del '94, come si è dimostrato nel ventennio a seguire, la concretizzazione dello stesso è stata alquanto limitata, farraginosa e spesso limitata ad aspetti formali: basti a riguardo pensare alla qualità dei piani di manutenzione che, mediamente, si riscontrano a corredo dei progetti esecutivi e la cui funzione è sovente limitata al soddisfacimento del requisito di completezza dello stesso progetto rispetto le previsioni di legge.

 

Oggi con le nuove direttive comunitarie in materia di contratti pubblici, e con il diffondersi di operazioni ascrivibili alla sfera del partenariato pubblico- privato (PPP), il concetto di sostenibilità nel tempo è divenuto un dogma cui il committente pubblico non può sottrarsi. A tale riguardo basti pensare come la comunità economica europea spinga sempre con più fermezza le pubbliche amministrazioni degli stati membri, a favorire, già in sede di valutazione delle offerte, gli aspetti economici legati ai costi nel ciclo di vita dell'opera, anche a scapito dei costi legati alla fase iniziale di realizzazione.

 

Il vantaggio competitivo atteso si manifesterà con una riduzione della spesa di investimento, indotta da un ricorso più massivo ad operazioni di PPP per la realizzazione di opere pubbliche che, nel passato, sono da sempre state realizzate attraverso formule classiche di appalto di lavori e, quindi con finanziamenti pubblici in spesa di investimento.

 

La combinazione di questi fattori dovrebbe consentire agli stati membri di accrescere il proprio indice di competitività internazionale e, conseguentemente, di essere concorrenziali sui mercati globali. Rispetto a questa potenzialità è importante evidenziare due problematiche latenti, soprattutto in una logica prospettica di medio-lungo periodo, legate al cambiamento di paradigma da "opere" a "asset strumentali".

La prima, legata alle operazioni di partenariato che, laddove non condotte attraverso un pieno trasferimento del rischio di mercato in capo all'operatore privato sono, di fatto, lo strumento principale per attuare operazioni di sviluppo edilizio e infrastrutturale pubblico evitando i vincoli di bilancio nazionali e sovranazionali. Tali operazioni, virtuose solo "in facciata", attraverso l'elemento economico denominato "canone", mascherano di fatto la spesa di investimento come spesa corrente che, è bene ricordare, a differenza della prima persiste, come debito sulle casse dell'erario, per molti anni.

 

La seconda problematica, intimamente collegata alla prima, è relativa ai costi di gestione del patrimonio e all'assenza di strumenti di programmazione e controllo degli stessi.

 

A fronte dello sviluppo edilizio concretizzatosi nel ventennio compreso tra la fine degli anni 80 e l'inizio secolo, e realizzatosi in una quasi totale assenza di cultura diffusa circa le tematiche della gestione del patrimonio e delle manutenzioni, è pressoché inevitabile che le opere realizzate presentino una durabilità inferiore rispetto le attese e, conseguentemente, necessitino di interventi manutentivi e di rimpiazzo da realizzarsi con maggior frequenza e per un importo complessivo importante che, con l'andare del tempo, può divenire addirittura insostenibile.

 

E' quindi sul fronte del contenimento della spesa corrente che si giocherà la sfida più ardua per la competitività, in quanto i fattori oggetto di cambiamento e che determineranno il risultato  della sfida stessa, non risiedono nell'ambito tecnologico o di processo, bensì nell'ambito culturale, organizzativo e sociale. In una logica di efficienza e, quindi, di competitività prospettica e sostenibile, la sfida non potrà più limitarsi alle sole spese per l'energia e dovrà necessariamente riguardare le manutenzioni e l'ambiente.

 

 

 

Continua a leggere l'articolo di Giancarlo Paganin, Department of Architecture and Urban Studies (DASTU), PoliMi, e Francesco Vitola, area tecnico-edilizia, PoliMi, sul numero di Dicembre 2015 di Manutenzione T&M

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