Il metodo TWI come esperienza formativa

L’utilizzo di questa strategia di training in Magna Powertrain e il suo riconoscimento come Best Practice

  • Novembre 11, 2019
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  • Il reparto produzione di Magna
    Il reparto produzione di Magna
  • L’area training
    L’area training
  • Un esempio di JES, la schematizzazione documentale del lavoro standardizzato
    Un esempio di JES, la schematizzazione documentale del lavoro standardizzato

«Ehi Francesco, sei in viva voce. Come ti accennavo per e-mail, vorremmo che ci sintetizzassi in breve in cosa consiste il TWI, il Gruppo ci suggerisce di intraprendere questo percorso per supportare l’implementazione del nuovo Prodotto e vorremmo capire in cosa ci stiamo avventurando.»

E qui giù una “call”, tutt’altro che breve, al termine della quale sentivamo messa a dura prova la nostra comprovata capacità di adattamento al cambiamento.

Dovevamo affrontare una sfida importante: ci stavamo preparando a lanciare un nuovo innovativo prodotto e di lì a pochi mesi avremmo dovuto formare tutti gli operatori di produzione (circa 250 risorse) su delicatissime attività di quick change over e di auto-manutenzione.

Confidavamo che una volta messa giù la cornetta ci fosse fatta promessa di ricevere uno strumento innovativo e funzionale alle ristrette tempistiche a disposizione. Invece scoprivamo che ci era chiesto di sostituire il nostro personalissimo e, fino ad allora, efficientissimo (ma anche empirico e variopinto) metodo di trasferimento del know-how, con uno nuovo che però in realtà tanto nuovo non era perché sviluppato durante la seconda guerra mondiale: sogni i raggi repulsori di Ironman e invece ti rifilano lo scudo di Captain America…

A noi, che già volavamo sulle ali della realtà virtuale e delle piattaforme di e-learning, sembrava che quella richiesta di cambiamento ci re-catapultasse agli albori della prima storia industriale: ci sentivamo come quando al gioco dell’oca sbagli casella e sei costretto a tornare indietro e ricominciare daccapo per raggiungere quella d’arrivo.

E quindi? Significava che qualcosa ci era sfuggito? Abbiamo provato a capirlo mettendoci in discussione e lasciando che il gioco, attraverso l’attenta lettura del contenuto di ogni singola casella, ci guidasse sino a quella di arrivo:

Casella JR: «Il formatore è un tecnico specializzato, ma non ha competenze relazionali, stai fermo due turni e insegnagli l’importanza di creare una relazione».

Lavorando da anni nelle Risorse Umane, eravamo già consapevoli dell’importanza di quelle che nel gergo chiamiamo “Soft Skill”: abbiamo sviluppato piani di training di ogni tipo sul tema, coinvolgendo nella maggior parte dei casi tutte quelle figure aziendali che, ai diversi livelli dell’organizzazione, gestivano persone: saper comunicare o governare un conflitto per un Manager o per un Team Leader sono abilità fondamentali, insite del ruolo.

Adesso il TWI ci mormorava che anche per i nostri operatori esperti, quelli a cui normalmente deputiamo le attività di formazione, era indispensabile possedere competenze relazionali: per un buon tecnico saper smontare e rimontare pezzo per pezzo un tornio non è condizione sufficiente per essere anche un buon formatore.

Il modulo JR (Job Relation) del TWI infatti rimarca il peso che hanno le Soft Skill nel processo di training; proviamo a farne una sintesi:

  • capisci chi hai di fronte e adegua il tuo stile comunicativo al contesto;
  • crea empatia con il tuo interlocutore: ascoltalo (in maniera attiva) e cerca di comprendere quali sono i suoi bisogni, le sue aspettative e prova a soddisfarle;
  • lavora sulla motivazione (intesa proprio come “motiva-l’azione”): spiega perché è richiesto di compiere quei precisi movimenti, perché deve effettuare quel particolare controllo o qual è il vantaggio di utilizzare quello standard;
  • dai sempre il tuo feedback (in maniera assertiva!) sia per condividere eventuali possibili aree di miglioramento che anche solo (e non è poco!) come momento di mera gratificazione personale.

 

Casella JI: «Non hai una istruzione di lavoro standard, torna alla casella di partenza e sviluppa le JES».

Allora, è giusto ripartire dall’inizio: cos’è una JES? È l’acronimo di Job Element Sheet e rappresenta l’istruzione di lavoro per eccellenza; al suo interno sono riportati i passi principali, i punti chiave, il perché, i riferimenti visivi e le indicazioni dei DPI da utilizzare.

In contesti come il nostro, nei quali gli operatori si avvicendano su turni diversi e nei quali c’è un’alta job-rotation, è indispensabile che tutti effettuino il ciclo di lavoro allo stesso modo: se assicuri che il tuo lavoro standardizzato sia ripetibile, allora la qualità del tuo prodotto sarà allo stesso modo ripetibile!

La JES è in definitiva proprio la schematizzazione documentale del lavoro standardizzato (lo Standardized Work).  

Ma utilizzare una JES solo come guida per l’esecuzione di attività standard, significa limitarne il potenziale: il TWI qui entra a gamba tesa e ne prescrive l’utilizzo come mezzo principale per l’erogazione del training da utilizzare in ogni fase della formazione, è la Durlindana del formatore che acquisterà ancora più potenza se a forgiarla, nella struttura e nei contenuti, sarà il formatore stesso. Noi l’abbiamo fatto: i trainer hanno sviluppato (con il supporto dell’Ingegneria) le loro JES, le hanno riviste più volte, migliorate ed infine impiegate in fase di training, in piena consapevolezza della forza del tool che avevano tra le mani.

Casella JM: «Non hai un metodo che ti garantisce che il discente abbia compreso l’istruzione, retrocedi di due caselle e adotta il metodo dei quattro step».

Quindi adesso il formatore è in possesso della sua JES; ma come fa ad assicurarsi che l’operatore ne apprenda efficacemente i contenuti? Ci pensa il TWI con l’infallibile metodo dei quattro step.

L’agiografia di Rosie Bonavitas (la rivettatrice del “We can do it” made in USA) riferisce che il metodo ha assicurato all’industria bellica americana di sopperire con manodopera senza esperienza (in prevalenza femminile) alla mancanza di quella qualificata impegnata sul fronte.

Dei quattro step vogliamo soffermarci su quello che in base alla nostra esperienza è risultato essere il risolutivo: in un gioco dei ruoli l’allievo simula di essere il trainer e viceversa. Riteniamo che questa sia la fase fondamentale, quella che abbia reale valenza strategica: infatti, a ragion veduta, la piramide dell’apprendimento ci racconta che nella nostra scatola cranica resta il 90% di quello che insegnamo agli altri e il nostro discente, nei panni del trainer, avrà di conseguenza opportunamente fissato nella sua memoria tutte le fasi descritte nella JES.

 

Casella JS: «Il trainer non ha tenuto conto dell’impatto della sicurezza sulle attività che ha insegnato, la tua pedina è rimasta monca di una gamba e salterai sempre un giro fino alla fine del gioco».

Siamo stati apposta severi con la penalità, sulla sicurezza non si fanno sconti!

In realtà è da parecchi anni che nel nostro stabilimento la sicurezza è una priorità: abbiamo intrapreso dal 2014 un percorso di formazione continua per tutti i dipendenti basato sulla BBS (Behavior Based Safety) e i risultati ottenuti sono stati davvero ottimi.

Anche qui però il TWI ha portato il suo valore aggiunto: ci ha offerto l’occasione di utilizzare i nostri operatori esperti (i trainer) come portatori sani di consapevolezza sui giusti comportamenti da adottare quando si compie un’operazione. Trattare l’argomento sicurezza durante la formazione on the job ha una doppia valenza strategica:

  1. concetti, che possono rimanere nel limbo di un’aula (seppur trattati con la dovizia richiesta dall’argomento) assumono una concretezza considerevole se riportati sulla propria postazione di lavoro.
  2. il trainer, in quanto esperto della macchina, ha una leadership tecnica alla quale gli operatori sono particolarmente sensibili e quando è lui a dirti certe cose (e non l’ASPP di turno o il Responsabile di Reparto) è come se prendesse forma davvero il rischio di potersi far male.

E quindi, come si è concluso il gioco?

Dopo tanto lavoro siamo giunti alla casella d’Arrivo: abbiamo certificato come trainer TWI un gruppo di circa 40 operatori esperti che a cascata ha formato a sua volta più di 200 colleghi. Il lancio del nuovo prodotto è stato un successo e la nostra strategia di training è stata riconosciuta dal gruppo come “best practice”.

Oggi, a distanza di un paio di anni, il numero di trainer certificati TWI si è moltiplicato (ne abbiamo più di 100 in uno stabilimento che conta circa 600 operatori) e l’utilizzo scrupoloso da parte loro del metodo è condizione imprescindibile per garantire la qualità e l’efficacia dei nostri training on the job.

In conclusione, ripercorrere quelle caselle ci ha arricchito di uno tool che in quanto ad efficacia fa concorrenza alle più avanzate tecnologie: per un’azienda come la nostra che fa dell’innovazione il proprio cavallo di battaglia, è stata una piacevole sorpresa riconoscere in un metodo di apprendimento dalla forte impronta tradizionale uno strumento che ben si concilia con le attuali esigenze di un’impresa moderna.

La lesson learned è stata: non confondere la tecnologia con il metodo, ma utilizzali entrambi in maniera sinergica. 

Francesco: «Ragazzi, allora come sta andando il viaggio con il TWI? Vi andrebbe di raccontare la vostra esperienza?»

Pasquale Di Terlizzi
Supervisor Training and Development, Transmission Systems, Magna Powertrain

Rosalba Nicastri
Lean Manufacturing Engineer, Magna Powertrain