Il mondo del cargo

Differenze di approccio tra Italia e resto d'Europa e conseguenze sulla manutenzione

  • Agosto 8, 2014
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Il trasporto merci su ferrovia, mentre in Europa mostra segni di risveglio, in Italia soffre da sempre di una crisi notevole.

 

Non si vuole entrare nelle solite diatribe tra gomma e ferro. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Il caso Viareggio non ha certo contribuito ad invertire la tendenza.

 

Ma in Europa, pur tra mille difficoltà, non è così. Un esempio: un container spedito per nave e ferrovia dall'India a Milano impiega, se scaricato a Genova, 21 giorni; se scaricato a Rotterdam 16 giorni.

 

Questo diverso approccio alla modalità del trasporto su ferro tra Italia ed Europa si riflette anche sulla manutenzione.

 

Il carro è sempre stato considerato, a questo riguardo, come figlio di un dio minore, gli interventi limitati allo stretto indispensabile, anche se formalmente esistevano ed esistono fior di capitolati e piani di manutenzione eccetera.

 

Questo perché le organizzazioni manutentive che operavano ed operano sui carri sono sempre state pagate a tariffe orarie in misura inferiore ai costi, e quindi con la necessità (per sopravvivere) di mettere in atto "escamotage" per recuperare qualcosa (e allora metto due ore invece di una, qualcuno chiude un occhio?..).

 

È un argomento che non si vuole approfondire.

 

Errori, o peggio, ci sono stati sia da parte dei committenti sia da parte dei fornitori.

 

Ora la musica comincia a cambiare. L'introduzione dell'ECM (soggetto responsabile della manutenzione), i controlli che ANSF (Agenzia nazionale della Sicurezza Ferroviaria) comincia a fare stanno pian piano ricostruendo un sistema che ha nel tempo dimostrato enormi carenze, con numerosi incidenti dovuti a problemi manutentivi che non hanno avuto risonanza, almeno fino alla tragedia di Viareggio.

 

Ma anche l'introduzione dell'ECM non potrà risolvere i problemi del trasporto merci su ferrovia finché in Italia non si cambierà seriamente mentalità.

 

Ad esempio gli ostacoli a vario titolo messi sulla realizzazione di una moderna rete ferroviaria che consenta, con adeguati interporti di scambio, una maggiore velocità delle merci su ferrovia e quindi un aumento del traffico, penalizza anche la manutenzione.

 

Uno scarso traffico merci non crea risorse tali da consentire investimenti nel settore della manutenzione.

 

E investimenti a priori, in questa situazione economica, è difficile farne (al contrario di quello che prevede la Svizzera con il Centro di Bellinzona e l'obiettivo di spostare sempre più il trasporto merci dalla gomma al ferro).

 

Tutto questo penalizza gli operatori della manutenzione che da un lato sono chiamati a sostenere (giustamente) sempre più maggiori oneri di organizzazione e sicurezza nella loro attività, mentre dall'altro i committenti continuano a non riconoscere i giusti corrispettivi (in termini assoluti e con dilazioni di pagamento).

 

Una delle principali cause è rappresentata dal fatto che in Italia almeno il 90% dei carri immatricolati in Italia è gestito come ECM da un unico committente (Trenitalia).

 

Così è stata eliminata la possibilità dei vari detentori (cioè chi gestisce commercialmente i carri) a rivolgersi a privati (purché abbiano i requisiti richiesti dalle norme ANSF), aprendo quindi il mercato.

 

Al contrario Trenitalia tende a riportare sotto il suo diretto controllo operativo (all'interno delle sue strutture) la manutenzione dei carri di cui è ECM e quindi a condizionare pesantemente gli aspetti economici degli operatori di manutenzione che sono costretti a lavorare all'interno dei depositi di Trenitalia.

 

I carri stranieri che circolano in Italia non spostano almeno per ora i termini del problema: gli ECM europei si appoggiano a nostre officine in casi di necessità, ma la manutenzione pesante la fanno a casa loro. Con questo non si vuole dire che "estero" è bello, basta vedere le conclusioni dell'indagine sull'incidente del 6 giugno 2012 a Bressanone. Dove è coinvolta una azienda di manutenzione slovacca. E per fortuna che l'incidente, pur grave, non ha avuto morti.

 

L'unica soluzione che riusciamo a vedere è accelerare al massimo la certificazione delle officine di manutenzione veicoli ferroviari, non solo carri, in modo che le nostre officine più valide abbiano gli strumenti per mettersi sul mercato europeo ed uscire fuori dal ristretto recinto imposto da Trenitalia, o comunque siano messe in grado di richiedere condizioni economiche di lavoro più confacenti con la qualità che si impone del lavoro stesso.

 

Vorremmo, per chiudere, che ANSF si facesse parte diligente nell'emissione in tempi rapidi di linee guida che dettino condizioni "europee" per la certificazione delle officine.

 

Bruno Sasso

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