A partire dall’introduzione del Decreto Legislativo 81/2008 nell’aprile del 2008, abbiamo assistito allo sviluppo di una serie di strumenti volti al raggiungimento dell’unico scopo davvero misurabile e incontestabile: la diminuzione degli infortuni dei lavoratori e delle patologie connesse ai luoghi di lavoro.
All’interno di questo panorama possiamo andare dai Modelli Organizzativi (ex DLgs 231/01), al sistema UNI INAIL, alle certificazioni OHSAS 18001 e ora UNI ISO 45001.
Tutti questi approcci si basano su uno zoccolo duro di principi riassumibili nel ciclo di Deming, o PDCA (Plan, Do, Check, Act). Senza dilungarci sullo sviluppo storico del ciclo o sul significato astratto delle singole azioni che lo compongono, questo articolo cercherà di focalizzare in maniera sistematica le varie sorgenti che devono necessariamente alimentare il flusso di informazioni, per generare quel processo di miglioramento continuo alla base del ciclo stesso e richiamato più volte nel D.Lgs 81/08 come pietra angolare al pari del DVR.
Definizione degli obiettivi
Per stabilire quindi gli obiettivi (PLAN), in un ambito riccamente normato come la salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, non si potrà prescindere da una scrupolosa analisi della legislazione vigente e della conseguente aderenza degli standard aziendali alla normativa vigente: un passaggio chiave e diabolicamente complesso.
Consideriamo ad esempio la direttiva macchine e le norme tecniche relative: solo affidandosi a persone estremamente preparate sui singoli settori (elettrico, idraulico, meccanico) si potrà verificare l’effettiva rispondenza dei macchinari (prodotti, utilizzati, rivenduti, modificati, appaltati, le casistiche sono numerose) e la conseguente sicurezza nell’utilizzo. Per chi gira le aziende come consulente o tecnico della prevenzione risulta evidente l’altissima percentuale di lavorazioni a rischio per mancata manutenzione o diretta manomissione dei dispositivi di sicurezza delle attrezzature di lavoro impiegate. Ma qui si entra nel tema della “cultura” della sicurezza che svolgeremo più avanti, al punto DO.
Le difformità dalle norme rappresentano quindi un canale importante di alimentazione della nostra colonna PLAN (immaginando di costruire una tabella Excel divisa in 4 macrocolonne), ma non l’unico: la maggior parte delle norme vanno interpretate e adattate ai singoli processi produttivi sfruttando appieno le due matrici, del comando (datore di lavoro, dirigenti e preposti) e del sapere (RSPP; medico competente, RLS) per ottenere le informazioni e le segnalazioni indispensabili per costruire un sistema efficace.
Se consideriamo un processo semplice come l’accettazione e la spedizione delle merci, le variabili che entrano in gioco sono moltissime e difficilmente si costruirà una procedura efficace e sicura senza una sinergia tra caporeparto/capoturno e RSPP per pianificare correttamente la sequenza di azioni: le sorgenti per ottenere queste informazioni vanno dalla riunione periodica all’aggiornamento delle valutazione dei rischi specifici, dalle segnalazioni dei RLS alle check list periodiche dei preposti, dalle “riunioni del lunedì mattina” con i propri lavoratori/collaboratori ai controlli esterni affidati ad un consulente. Insieme con la cogenza normativa, questi sono gli strumenti del sistema che alimenteranno la sezione PLAN per ottenere una completa raccolta degli obiettivi attraverso i canali appena descritti, una sorta di pietra angolare per edificare le azioni di miglioramento, il conseguente monitoraggio e il riesame finale.
Tornando quindi al nostro esempio sulla logistica delle merci in approvvigionamento o spedizione, la corretta identificazione degli obiettivi si svolgerà attraverso l’analisi complessiva della movimentazione e non si limiterà al vecchio modus operandi “se il carico massimo è di 25 q.li usiamo un muletto da 26”, ma saranno affrontate tutte le sfaccettature coinvolte: la regolarità e la pendenza della pavimentazione (l’azione richiesta sarà in questo caso tecnica), l’inesperienza o la troppa confidenza dell’operatore (aggiornamento della formazione), il baricentro del peso sulle forche (un intervento con il fornitore per decidere come distribuire i pesi sulle casse/bancali o su come caricarli sul camion in maniera da poterli scaricare dal lato lungo), la visibilità dei mezzi (gli ultimi modelli di carrello elevatore frontale prediligono il pistone centrale tra i montanti, riducendo sensibilmente la già scarsa visibilità del guidatore), l’utilizzo corretto dei DPI (cinture di sicurezza colorate in maniera che il preposto abbia l’immediata percezione dell’utilizzo o meno), la gestione del traffico tra carrelli e pedoni, la periodicità della manutenzione dei mezzi, l’idoneità sanitaria dei carrellisti (troppo spesso le analisi alcool/droga sono considerate sufficienti a rendere idoneo un carrellista, ma ci sono altri aspetti da valutare che possono emergere solo attraverso la collaborazione tra medico e preposto: casi di epilessia, spostamento di cardiopatici nel turno notturno, deficit uditivi sono esempi di criticità già registrate in alcune aziende con conseguenze spiacevoli).
L’analisi di mancato infortunio dovuto al rovesciamento di una cassa, per essere efficace, dovrà quindi affidarsi all’esame dello scenario completo in cui l’azione si è svolta, con la partecipazione di più voci che contribuiscano a PLAN in maniera tecnica, organizzativa e comportamentale per centrare l’obiettivo in maniera precisa e non generica.
Cambiando scenario, il criterio non differisce. Prendiamo ad esempio un caso di manutenzione in quota di un ventilatore di estrazione, magari in una cabina di verniciatura; in questo caso la sicurezza ha duplici correlazioni poiché possiamo parlare di sicurezza per il manutentore , il quale deve salire in quota e magari proprio sopra l’area di lavoro in cui sono presenti dei colleghi verniciatori.
Conclusioni
Abbiamo dunque un moltiplicarsi di fattori di pericolo che possono essere fronteggiati solo attraverso l’analisi delle diverse opzioni disponibili: da un lato il PLAN prenderà come obiettivo la condizione del manutentore e un esame scrupoloso della normativa vigente farà emergere le necessità relative alle lavorazioni in quota con le diverse opzioni tecniche, organizzative e comportamentali a disposizione (ad esempio l’utilizzo della PLE comporterà una formazione specifica), la verifica del controllo annuale della PLE, l’utilizzo dei dispositivi di trattenuta a bordo e la vigilanza sull’utilizzo degli stessi e non ultima l’idoneità fisica del manutentore comprovata dalla sorveglianza sanitaria obbligatoria nonché il fatto che non soffra di vertigini; d’altra parte la struttura sotto manutenzione potrebbe essere dotata di ganci specifici per il fissaggio dei cordini anticaduta legati all’imbragatura e in questo caso si ricade oltre che nei lavori in quota nella norma sui DPI di terza categoria con formazione specifica, verifiche periodiche, idoneità sanitaria, ecc).
Dall’altro lato un’operazione di manutenzione del genere presenta rischi da interferenze simili a quelli riscontrabili in un’area di cantiere e ancora una volta sfruttando l’art. 26 dell’81 gli spunti che ci vengono dati mostrano come si parta dall’idoneità del manutentore alle lavorazioni in corso per finire con la gestione dell’area (con possibili segregazioni attraverso transenne o nastri estensibili, o con manutenzioni in periodi di fermo produzione e conseguente programmazione della manutenzione almeno semestrale).
Andrea Maroso, Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione; Consulente sicurezza nelle aziende