Il primo rapporto Ance-Cresme sulla manutenzione del territorio italiano

La mancata prevenzione del rischio idrogeologico causa un buco di 3,5 miliardi l'anno

  • Novembre 22, 2013
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  • Fig. 1 Popolazione residente nelle principali città italiane
    Fig. 1 Popolazione residente nelle principali città italiane

L'interessante rapporto Ance (Associazione nazionale costruttori edili)-Cresme (Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato) sullo stato del territorio italiano non porta purtroppo novità positive ma ribadisce i gravosi ritardi del nostro Paese in tema di difesa del suolo.

 

Ammonterebbe infatti a 3,5 miliardi all'anno il costo derivato dalla mancata manutenzione e prevenzione del rischio idrogeologico, un costo che, se si tiene conto di tutti danni provocati da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, raggiunge la cifra complessiva di 242,5 miliardi di euro.

 

In particolare, dal 1991 al 2011, risultano finanziati interventi per circa 10 miliardi di euro, meno di 500 milioni all'anno, per l'80% gestiti dal ministero dell'Ambiente. In 10 anni (2002-2012) i bandi di gara per lavori di sistemazione e prevenzione del dissesto idrogeologico rappresentano, rispetto all'intero mercato delle opere pubbliche, solo il 5% per numero di interventi e il 2% per importi di gara. Questi numeri sono eloquenti e accompagnati a quelli del rischio alle calamità cosiddette naturali, a cui è sottoposto il nostro territorio, fotografano il quadro della situazione.

 

Le aree a elevato rischio sismico risultano essere infatti circa il 44% della superficie nazionale (131 mila kmq) e interessano il 36% dei comuni (2.893). Le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie italiana (29.500 kmq) e riguardano l'89% dei comuni (6.631). Nelle aree a elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36% della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali.

 

Il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del meridione. Al primo posto c'è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. E sempre in queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni). Per quanto riguarda la superficie italiana a elevata criticità idrogeologica è per il 58% soggetta a fenomeni di frana (17.200 kmq) e per il 42% a rischio alluvione (12.300 kmq).

 

Giova ricordare che il rischio è dato anche dallo sfruttamento del suolo e da uno sviluppo urbanistico spesso dissennato, di cui talvolta gli stessi costruttori edili hanno beneficiato. In tal senso, oltre ad un Piano nazionale per la manutenzione e la messa in sicurezza del territorio dai rischi idrogeologici e sismici, richiesta avanzata da Ance e Cresme, ci vuole anche una condivisione sul modello di sviluppo territoriale a cui approdare che non può certo essere incentrato su una cementificazione diffusa.

 

I dati demografici delle principali città italiane mostrano, grazie alle rilevazioni dell'ultimo Censimento riguardante il decennio 2001-2010, come la popolazione residente nel complesso dei comuni capoluogo sia rimasta sostanzialmente invariata, segnando un modestissimo 0,5% di incremento, ed evidenziando in tutte le province meridionali dinamiche addirittura negative. Dove la crescita demografica ha fatto segnare significativi passi in avanti è invece nei comuni dell'hinterland metropolitrano: qui, complessivamente, si registra un 8,1% di incremento, con punte del 21,5% a Roma, del 15% a Verona, del 12,6% a Bologna e del 10% a Venezia. Il quadro globale relativo agli ultimi anni, dunque, vede una sostanziale riconfigurazione dei pesi insediativi e delle funzioni strutturanti, valorizzando gran parte del patrimonio edilizio di molti dei comuni di seconda e terza cintura delle principali aree metropolitane e, soprattutto, alimentando un enorme consumo di suolo.

 

Le repentine trasformazioni di quest'ultima fase espansiva hanno determinato un notevole aggravamento delle tensioni ambientali latenti. Gran parte della crescita demografica si è così concentrata in aree già caratterizzate da elevati livelli di fragilità idrogeologica e l'aumento della pressione antropica, in assenza di efficaci interventi di tutela, ha contribuito ad un ulteriore aggravamento degli equilibri geo-ambientali. Peraltro verso, in gran parte delle aree le aree interne dell'Italia meridionale e insulare, con particolare riferimento a Molise, Campania, Sicilia e Sardegna, gli intensi fenomeni di spopolamento in molti casi hanno determinato una riduzione dell'attività di manutenzione ordinaria del territorio (tenuta dei terrazzamenti, pulizia dei canali e del reticolo idrografico minore, consolidamento e piantumazione degli versanti), con una ulteriore accelerazione dei fenomeni di degrado.

 

Valutando le dinamiche di scenario rispetto al quadro delle aree già oggi classificate ad elevato rischio idrogeologico, nel prossimo decennio è possibile stimare un ulteriore incremento della pressione insediativa, con valori che se a livello nazionale toccano il 7% di abitanti in più, con riferimento alle regioni del Nord-Est giungono addirittura al 12,3%.

 

Assume primaria importanza quindi la necessità di attivare operazioni di messa in sicurezza di contesti territoriali fragili dal punto di vista geologico ma dinamici e attrattivi dal punto di vista economico, richiamando l'attenzione sulla possibilità che questa spinta residua possa innescare dinamiche in grado di determinare un ulteriore aggravamento di una situazione già problematica.

 

L'ulteriore incremento della pressione antropica in contesti a elevato rischio, infatti, può facilmente incentivare l'utilizzo a fini insediativi di aree poco adatte, con il risultato di un netto peggioramento del quadro generale.

 

Lo scenario demografico peraltro, conferma il calo di popolazione delle regioni meridionali e insulari e in particolare nelle aree montane, evidenziando un progressivo aggravamento nel lungo termine, a cui, in assenza di adeguati investimenti mirati alla manutenzione del territorio e al recupero dei fenomeni di degrado esistenti, si assocerà un ulteriore peggioramento della situazione, come effetto della riduzione dell'attività di manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio operata quotidianamente dagli abitanti, dagli agricoltori e dagli operatori economici, come i terrazzamenti e la piantumazione lungo i pendii, la pulizia dei canali e del reticolo idrografico minore ed altro.

 

 

 

Altrettanto interessante è la valutazione delle trasformazioni della struttura insediativa in rapporto al rischio sismico. È vero infatti che si tratta di un fenomeno la cui manifestazione è indipendente dal livello di pressione insediativa, ma è anche vero che le caratteristiche della struttura urbana ed in particolare lo stato ed il profilo tecnologico e tipologico del patrimonio edilizio ed infrastrutturale possono giocare un ruolo determinate nella limitazione del danno.

 

 

 

Per raggiungere l'obiettivo della difesa del suolo e della tutela dell'ambiente, oltre a eliminare le condizioni di rischio che interessano beni e persone, è necessaria una pianificazione territoriale che programmi l'uso del suolo coerentemente con le sue reali possibilità di trasformazione. Le azioni finalizzate alla riduzione e quelle necessarie alla prevenzione dei danni provocati dal dissesto idrogeologico si devono portare avanti simultaneamente per poter garantire un assetto urbanistico conforme alle caratteristiche del territorio.

 

Il mercato dei lavori di sistemazione e prevenzione delle situazioni di dissesto idrogeologico nel periodo 2002-giugno 2012, in base ai dati sui bandi di gara pubblicati in Italia e censiti da Cresme Europa Servizi, è quantificato in 13.483 interventi per un volume d'affari complessivo, riferito a 12.432 interventi di importo noto, di 6,2 miliardi di euro.

 

Rispetto all'intero mercato delle opere pubbliche rappresenta quote del 5% per numero di interventi e solo del 2% per importi in gara.

 

I valori medi annui del periodo 2002-2011 si sono attestati su 1.302 gare per 600 milioni di euro. Le quantità medie annue sono state superate sempre nel periodo 2002-2006, mentre dal 2007 ha avuto inizio un periodo di ridimensionamento del mercato. E la fase recessiva potrebbe proseguire e aggravarsi nel 2012, stando al debole risultato dei primi sei mesi.

 

Intanto però sul Piano nazionale il governo prevede tempi lunghi. «Penso che i tempi tecnici per l'avvio del Piano nazionale per la manutenzione e la messa in sicurezza del territorio dai rischi idrogeologici e sismici possano non essere brevi, data l'esigenza di conseguire il concorso regionale», ha affermato il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Mario Ciaccia «mi sentirei quindi di suggerire uno strumento ausiliario che possa fare da scintilla per accendere subito i motori del Piano. Un tale effetto si potrebbe ottenere facendo direttamente leva sulle unità elementari del territorio chiamate a svolgere la parte operativa degli interventi, cioè i comuni, aggiungendo un ulteriore stimolo rispetto alla già molto utile riduzione dei vincoli del Patto di stabilità».

 

«Lo stimolo per il territorio», ha proseguito Ciaccia, «non può che essere l'assegnazione ai comuni di ulteriori risorse, anche non rilevanti, da reperire tra le pieghe dell'intero bilancio statale». Il viceministro, per quanto riguarda l'avvio del Piano, immagina «una sorta di cabina di regia da porsi nell'ambito del ministero dell'Ambiente e composta da rappresentanti dei vari livelli di governo interessati. La Cabina di regia potrebbe avere il compito di selezionare, sulla base di criteri predefiniti, i comuni che presenteranno i loro progetti di intervento». Questo pare passaggio fondamentale, perché al di la dell'auspicabile eliminazione dei vincoli del Patto di stabilità, è da ricordare che i comuni con le loro scelte urbanistiche prive di una lettura territoriale di area vasta, e talvolta dettate dalla ricerca di consenso nel breve periodo, sono i massimi responsabili dei disastri consumati ai danni dell'ambiente. Per il ministro Corrado Clini, la realizzazione di una cabina di regia «è una buona idea, ma prima bisogna capire come fare, altrimenti i registi senza copione fanno fatica a lavorare».

 

Prosegue il ministro: «È importante favorire investimenti privati e abbiamo attivato anche un fondo per crediti a tasso agevolato per le imprese che investono per la messa in sicurezza del territorio e assumono giovani al di sotto dei 35 anni». Conclude Clini: «Quanto al patto di stabilità abbiamo bisogno che l'Unione Europea svincoli risorse e credo che sia opportuno che lo faccia rapidamente, perchè sono già disponibili. Ci sono regioni che utilizzano al meglio le risorse che hanno e regioni che non lo fanno, purtroppo. Questo è un problema di carattere nazionale». Si tratterebbe in definitiva di spendere 40 miliardi in interventi di prevenzione per evitare di sborsarne 120 a disastro compiuto.

 

L'archivio degli eventi franosi realizzato dal Cresme aggiornando ed integrando i dati del Progetto AVI con l'analisi dei principali quotidiani nazionali e le principali pubblicazioni scientifiche tra il 2002 ed il 2012 evidenzia una tendenza all'aumento dei fenomeni disastrosi, con una maggiore concentrazione in Piemonte, Lombardia, Liguria, Sicilia, Calabria e Campania, proprio le regioni che, in positivo (crescita demografica e occupazionale) o in negativo (spopolamento delle aree interne), hanno vissuto le trasformazioni territoriali più intense. In una fase di intense trasformazioni, la crescita a volte troppo affrettata da un lato e la mancanza di una indispensabile attività di manutenzione territoriale dall'altro, ha decisamente contribuito ad aggravare lo stato di salute del territorio ed ora che la fase di crescita più intensa è terminata l'attività di controllo, monitoraggio, riduzione degli impatti e messa in sicurezza assume una importanza prioritaria, aprendo la strada verso l'economia del futuro, nella quale il paradigma dello sviluppo sostenibile dovrà necessariamente assumere un ruolo centrale.

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