La fabbrica automatica negli anni ’80 (in Italia esemplare fu lo stabilimento FIAT di Cassino), spostò l’accento dal piano prettamente organizzativo del TPM, verso piuttosto l’applicazione delle 5S (dal giapponese Selezione, Ordine, Pulizia, Standardizzare, Diffondere) e l’attuazione della manutenzione autonoma, operata anche dai cd manutentori professionali.
Già in questa fase l’operatore di macchina, preso dalla complessità dell’automazione, poteva intervenire con minore efficacia rispetto al manutentore professionale, nello svolgimento dei compiti routinari di manutenzione, contrariamente a quanto avveniva vent’anni prima durante la messa a punto del cd metodo Toyota, presso l’omonima azienda automobilistica.
Come poi raccontò Sejiki Nakajima, il guru del TPM (nonché a quel tempo direttore tecnico della Toyota), nel Giappone sconfitto dalla guerra, si dovettero obtorto collo utilizzare impianti e macchine antiquate e poco automatizzate, rispetto ai potenti impianti istallati in Europa e negli USA. I giapponesi, quindi, si dedicarono più agli aspetti organizzativi e manageriali, i quali, pur con un parco macchine obsoleto, permisero di ottenere quei risultati di qualità di prodotto e processo che trasformarono le industrie giapponesi da cenerentole a leader, nello scenario mondiale del manifatturiero e della produzione di massa.
Fra gli anni ’90 e la prima decade del XXI secolo, progressivamente, non solo aumentò e si diffuse il livello di automazione, ma entrarono nel campo industriale prepotentemente le tecnologie informatiche, le reti, l’intelligenza artificiale, e altre diavolerie impensabili nel secolo precedente, che oggi hanno dato vita alla cd industria 4.0.
Va precisato che l’industria 4.0 non è una opzione, ma è la tappa di un percorso di ristrutturazione del manifatturiero che ha stravolto l’organizzazione e le tecnologie aziendali, e che in futuro darà vita a nuovi modi di essere dell’industria e nuovi lavori verso quello che, parafrasando Aldo Bonomi, abbiamo definito viaggio verso il non ancora (cfr, fra i tanti scritti di Bonomi, Il vento di Adriano. La comunità concreta di Olivetti tra non più e non ancora, 2015).
Ma se il TPM non è più lui, come è diventato?
La trasformazione del TPM va osservata, a mio parere, oltre che attraverso la lente della industria 4.0, attraverso la lente della nuova normativa ISO 9000:2015, entrata definitivamente in vigore lo scorso settembre.
Il miglioramento continuo, uno dei pilastri del TPM, non basta più per raggiungere gli obiettivi fissati dal mantra zero fermate, zero difetti, zero infortuni, zero scorte, vecchiotto ma sempre attuale, ci vuole una attività sistematica di miglioramenti scaturiti dall’esigenza, in primis, di azzerare le fermate. Nell’Automotive, la manifatturiera per eccellenza, questa attività è in atto da tempo sotto la cappella del WCM (World Class Manufacturing, non riguarda esclusivamente la manutenzione, ma molto altro) e, raccogliendo la sollecitazione verso il Risk Management delle ISO 9000, si sta diffondendo a tutte le imprese manifatturiere non solo a quelle soggette alle normative dello IATF (International Automotive Task Force).
Un ragionamento analogo vale per il trasferimento di competenze manutentive agli operatori di macchina. Un tempo questa azione fu la più rivoluzionaria del TPM. Il trasferimento di competenze permise di migliorare in modo significativo la qualità del prodotto e del processo, senza gravare sui costi per un maggiore impegno delle maestranze verso la manutenzione.
Oggi il conduttore di macchina, come lo si intendeva in passato, è un mestiere sul viale del tramonto, sostituito da ingegneri di processo che sorvegliano e mettono a punto il parco macchine produttivo, coinvolti più che dal processo di fabbricazione in sé (alimentazione e scarico della macchina, posizionamento, eccetera), dal governo dei sistemi.
Un ruolo che, col tempo, è diventato centrale, invece, e sempre più indispensabile, è quello che veniva definito manutentore posizionato, o elettromeccanico. Una figura professionale che è in grado di fare rapidi interventi di ripristino, controlli giornalieri, e piccole manutenzioni di routine, o di collaborare con le officine di manutenzione per lo svolgimento di interventi più impegnativi. E, aggiungo, di rilevare i transitori delle fermate e suggerire ai tecnici di officina azioni migliorative per eliminare alla radice le cause che le hanno prodotte.
L’eliminazione delle fermate è un po’ il cuore del WCM. Con il diffondersi della robotica e dell’automazione, già verso la fine degli anni ’80 si osservò come la figura del manutentore posizionato era centrale negli stabilimenti dove più spinta era l’innovazione tecnologica (Maurizio Cattaneo, Luciano Furlanetto, Manutenzione a Costo Zero. Gli strumenti operativi del responsabile manutenzione: una figura strategica dell’innovazione tecnologica, 1984).
Quanto alla diagnostica tecnica precoce e alla prevenzione che ne è la diretta conseguenza, direi che oggi continuano ad avere un ruolo anche se ridimensionato rispetto al passato causa dello sviluppo esponenziale della sensoristica, che in molti sistemi è andata oltre alle capacità umane di interpretare i dati.
Se un tempo la diagnostica permetteva di attuare modelli di prevenzione basati ad esempio sul controllo vibrazioni, sulla termografia, sui controlli non distruttivi e altre pratiche a disposizione del manutentore per intuire una futura deriva verso i guasti, oggi la storia viene trattata in modo diverso.
Le pratiche diagnostiche e le conseguenti ispezioni facevano parte della manutenzione secondo condizione che ora qualcuno chiama erroneamente manutenzione predittiva (la quale invece di basa sulla analisi di trend di misure che permettono di fare predizioni sul momento in cui avverrà la rottura).
Mentre oggi con l’escalation della sensoristica ci sono sistemi sempre più assistiti dalla AI (Artificial Intelligence), o comunque supervisionati da computer che estendono le funzioni originarie della diagnostica segnalando con grande anticipo situazioni di deriva e di pericolo. In un certo senso la diagnostica assistita ingloba sia la manutenzione secondo condizione sia la predittiva, sostituendo l’ispezione e la supervisione umana, con la supervisione basata su computer.
Continueremo il viaggio nel prossimo numero di Manutenzione T&M, con gli strumenti operativi e il sistema informativo a supporto di questa “versione 4.0” del TPM.
Maurizio Cattaneo,
Amministratore di Global Service & Maintenance