A cura di Giuseppe Adriani, Membro del Consiglio Direttivo e coordinatore regionale A.I.MAN. Toscana
Nei numerosi articoli che sulla nostra rivista hanno affrontato il tema della capacità di analizzare i “segnali premonitori” di possibili guasti o anomalie, il target era di solito un contesto industriale, partendo dalla sua infrastruttura civile nella molteplicità di applicazioni, il team col personale dedicato, e gli impianti di contorno ai numerosi assets. A queste situazioni si rivolge la maggioranza delle proposte delle varie società di service che si confrontano tra diverse proposte tecnico/commerciali (valutando costi/benefici, sicurezza, impatto sulla produzione corrente...) per poi scegliere la strategia più adatta al contesto. Con il giusto spazio dedicato alla formazione e soddisfazione del personale in campo che porterà avanti fisicamente il progetto.
Mentre quando si ipotizza di gestire una nave in ottica di “predittiva” le sfide sono ancora più complesse; oltre a quanto già evidenziato, la Sicurezza gioca un ruolo determinante in tutte le scelte manutentive. Per convenzione e consolidata tradizione un bastimento (dal piccolo cabotaggio, fino alla maxi petroliera) seppur frutto di un accurato progetto, al momento dell’entrata in servizio deve superare numerosi controlli da parte di uno o più enti di certificazione che ne confermano la “robustezza strutturale” e l’idoneità all’uso per le rotte previste. Tali enti lo terranno sotto controllo durante il corso della sua vita utile, verificando le principali infrastrutture, scendendo nei più minimi dettagli funzionali, ad evitare possibili avarie che potrebbero scatenare disastri ambientali non trascurabili.
Le nostre metropoli sono quasi tutte cresciute in prossimità di fiumi, laghi o mari, perchè lo spostamento dei grandi carichi connessi con l’edificazione delle costruzioni avveniva con un minimo spreco di energie, grazie allo scarso attrito offerto dal trasporto sull’acqua. Una zattera trainata da buoi consentiva di trasportare decine di tonnellate di pietre o marmi pregiati, per l’edificazione di una maestosa cattedrale, con minimo dispendio di energie. La spinta dei dolci venti dell’Aliseo ha favorito per secoli scambi favorevoli tra l’Europa ed il “Nuovo mondo”, così come altre imponenti correnti e diversi “trade-winds” hanno sospinto mercanti, o migranti, attraverso rotte anche impegnative, intessendo una rete di scambi commerciali che coinvolgono l’intero globo. Una nave del passato - ante rivoluzione industriale - era pensata e costruita utilizzando legnami pregiati, selezionati, che dopo una lunga stagionatura prendevano le forme desiderate, conferendo solidità ad un insieme nato per affrontare eventi atmosferici di grande impatto; percè (appunto) la propulsione era essenzialmente a vela. Basata sul vento. Quindi più forti erano i venti (compatibilmente con la stazza del veliero in questione) più velocemente sarebbe giunto a destino il prezioso carico conservato all’interno della stiva. La manutenzione di simili meraviglie artigianali era continua, legata al logorio fisiologico dei componenti tutti “green” per necessità. Ovvero per lo più derivati dalla cellulosa vegetale; fossero canapi, oppure bozzelli ed altre manovre mobili, oppure le tavole del fasciame costruttivo. Il legname, in forme appena sbozzate era trasportato (unica ridondanza consentita) come possibile ricambio, da adeguare all’occorrenza, sagomandolo per la specifica necessità. Per oltre un millennio le tecniche di costruzione navale e di conseguenza le varie strategie manutentive sono rimaste praticamente invariate. Le sagome delle imbarcazioni da forme inizialmente “panciute” si sono sempre più affilate, mentre il numero degli alberi e le velature di conseguenza aumentavano sospingendo tali “legni” a velocità di tutto rispetto. Corvette, Fregate, Vascelli di grande stazza, con numero di ponti (e di cannoni) crescente, sono divenute le sagome più popolari nelle “marine” o nei porti (ben rappresentate nei dipinti dell’epoca) che al contempo crescevano di dimensioni per accogliere carichi sempre più importanti di merci esotiche. Ancora oggi in carriera militare esiste il Capitano di Corvetta, a cui segue il C. di Fregata per arrivare al grado di C. di Vascello come un traguardo non banale per un ufficiale di Marina. Anche i molti riferimenti amministrativi societari, ad esempio la classica “SaS” o società in accomandita semplice derivano dall’epoca dei primi scambi commerciali di imbarcazioni (caracche, caravelle, tartane...) che a vela si spingevano verso gli avamposti della civiltà europea tardo medievale. Scoprendo nuovi mercati e possibilità di scambi molto remunerativi. Da cui l’ “Accomandante” (che si imbarcava col ruolo di capitano) e l’Accomandatario, ovvero il riconoscimento dei due diversi ruoli tra chi rischiava la vita, salpando verso l’ignoto e chi il capitale (rischio d’impresa), investito in tali spedizioni che solo poche volte avevano successo. Ma con margini assai remunerativi; non solo oro, a quei tempi anche le spezie erano quotate in borsa!
Il traffico mercantile odierno (responsabile del trasporto di circa il 90% dei beni nel mondo) si sposta grazie ad una immensa flotta di navi la cui propulsione è basata su un certo numero di motori o generatori elettrici (comprese TG aeroderivate di varie taglie), direttamente o indirettamente collegati ad uno o più assi elica (un tempo “elice”) che consentono velocità di tutto rispetto. Quello che nel passato era uno scafo “vuoto” o poco più, la stiva, da riempire di merci alla rinfusa, oggi è un concentrato di tecnologie che oltre a garantire la velocità e la rotta secondo programmi condivisi con la società armatrice, provvedono alla movimentazione del carico (container di varie taglie e fogge) in condizioni di massima Sicurezza. Le “autostrade del mare” sono invisibili per il comune mortale ma risultano assai evidenti sui monitor della plancia di comando che riportano i segnali GPS elaborati in tempo reale. A loro volta interpolati dalle varie torri di controllo (non molto dissimili da quelle del traffico aereo) localizzate in prossimità dei punti nevralgici, grazie ai “transponder” di vario tipo installati sulle unità in oggetto. Ne deriva che praticamente fin dal momento del varo lo scafo diventa un “organismo vivente” la cui energia dovrà essere prodotta in continuità da una serie di generatori alimentati da carburante diesel (più o meno depurato) per mantenere in efficienza tutte le varie funzionalità di bordo.
Anche se esistono diversi progetti pilota per ridurre l’impatto del trasporto marittimo (che seppur meno molesto – anche perchè lontano dagli sguardi della popolazione – del trasporto su gomma interferisce pur sempre con i fragili ecosistemi marini) comprese navi la cui propulsione è legata al Fotovoltaico, o addirittura a “vele ausiliarie” che vengono innalzate quando il vento spira da una direzione favorevole... tuttavia gli idrocarburi sono la base della combustione e di conseguenza della propulsione. Parliamo di serbatoi immensi, sotto la linea di galleggiamento in cui vengono stoccate centinaia di tonnellate di prodotti fossili (il carbone praticamente scomparso, sostituito da olio combustibile con tenore di zolfo variabile, fino al gasolio molto raffinato, in funzione della tipologia di impiego). I vari meccanismi per operare in Sicurezza a loro volta richiedono i lubrificanti più adatti allo scopo, secondo le specifiche dei costruttori. Anche in questo caso qualche tonnellata di prodotti, distribuiti in vari serbatoi, facilmente raggiungibili allo scopo di reintegrare la giusta quantità di lubrificante ogni volta che risulti necessario. I grandi motori navali che alla fine sono una replica “ingigantita” di quelli che utilizziamo nelle nostre vetture hanno alesaggi dell’ordine dei 1.500 mm ed anche di più, sono necessariamente molto lenti (poche centinaia di giri) ma raggiungono potenze assai elevate, anche migliaia di cavalli. Le quantità di lubrificante in gioco sono di conseguenza importanti; ed in linea di massima si parla di lubrificazione “a vita”. Di rado si pensa alla sostituzione dell’olio dato che lo stesso partecipa alla combustione (in molti casi si tratta di un vero ciclo “2 tempi”) direttamente ed indirettamente. Per cui si assiste ad un continuo reintegro della carica del lubrificante, un po’ come in uno scooter vecchio stile. I sottoprodotti della combustione di tali ingenti quantità di “fuel” in genere ad alto o medio tenore di zolfo portano all’accumulo all’interno dell’olio di radicali acidi (SO2-SO3-NOx) molto aggressivi che potrebbero in breve tempo – se non inibiti - creare danni non trascurabili a tutta la “parte calda” del sistema. Ed infatti le formulazioni per l’impiego in marina “heavy duty” prevedono l’aggiunta di pacchetti basici assai importanti. Il monitoraggio del livello di “BN” ovvero numero di base (alcalinità residua) ancora presente nel fluido ha una notevole valenza diagnostica. La misura classica si ottiene mediante titolazione in Laboratorio; ma oggi è possibile ricorrere anche a strumenti user friendly tipo Fluidscan che possono essere facilmente utilizzati anche a bordo della stessa nave, da parte di personale non specialistico. Ottenendo misure puntuali e ripetitive. Anche la quantità percentuale di carburante - fra- zioni incombuste - accumulata all’interno del lubrificante può essere un prezioso indicatore di potenziali rischi, legati alla autoaccensione dell’olio contaminato. Con conseguenti gravi incendi o esplosioni in sala macchine. In passato veniva impiegato un apparecchio che misurava il “punto di infiammabilità” creando i presupposti per l’innesco di un piccolo volume di olio, in condizioni controllate. Il famoso “Cleveland”. Che comunque rilasciava in ambiente fumi pestilenziali, purtroppo durevoli. Anche in questo caso la tecnologia è riuscita a creare un piccolo strumento “FDM-Fuel Dilution Meter” che senza creare alcun rischio o emissione per l’operatore può misurare con precisione la percentuale di incombusti presenti nell’olio. Sono solo piccoli esempi di come la tecnica è oggi in grado di venire incontro alle necessità del gestore di una flotta, che con un investimento in apparecchi, ma soprattutto con la giusta formazione del personale di bordo, può monitorare “n” parametri strategici dei propulsori principali di un mercantile, direttamente durante la navigazione, senza dovere attendere la sosta in un porto e l’inevitabile ritardo nella consegna dei report, per capire “se” esiste un possibile rischio di avaria. Più avanti, all’interno della rivista troverete una bella descrizione della manutenzione vigente presso ACTV. L’azienda i cui oltre cento iconici “vaporetti” solcano le acque della laguna di Venezia in condizioni sempre molto impegnative. Le attuali strategie di “predittiva” sono mirate proprio alla salvaguardia di tale servizio in condizioni di grande Sicurezza gestionale.