Come l'Ottocento è considerato il secolo "del carbone", il Duemila è indicato come quello "del gas", mentre il Novecento si è caratterizzato per un uso del petrolio ancora ben al di là dal tramontare.
La forte spinta alle propulsioni alternative, va ricordato, più che dal mercato è dettata spesso da orientamenti politici o dalla necessità di affrancarsi da fornitori tradizionalmente presenti in aree instabili del globo; in questo senso vanno anche le indicazioni di cui alla Direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi che ha indotto nei Paesi membri e anche in Italia un forte impulso agli investimenti nel settore del gas (GPL, GNC, GNL).
Il ruolo del gasolio autotrazione è dunque esaurito? Impensabile, considerando il numero veicoli in circolazione, gli investimenti sostenuti dall'intero comparto automotive nell'applicazione dello standard, Euro6 e soprattutto le politiche di rinnovo delle flotte in atto, solo alcune delle quali, per le ragioni più svariate, orientate a un radicale cambio nei sistemi di propulsione.
Ci occupiamo qui di un tema specifico, quello dei parchi veicoli pesanti utilizzati nel servizi di pubblica utilità (trasporto pubblico locale, raccolta dei rifiuti urbani) per cercare di comprendere come gestire questo lungo e imprecisato interregno tra un passato "tutto- gasolio" e un futuro ancora da definire.
Dunque occorre un uso razionale del gasolio
Alcune realtà, va detto, hanno già definito politiche di rinnovo dei parchi ben definite e coerenti con gli obiettivi di sostenibilità, in primis economica, degli interventi: è il caso ad esempio di Tper (Bologna) che ha chiaramente tracciato futuro nel quale tutti gli investimenti saranno orientati verso sistemi a propulsione elettrica in ambito urbano e suburbano verso autobus alimentati a gas per i servizi interurbani. Ma sono casi ancora relativamente rari, non essendo ancora diffusa percezione che per le città occorre ripensare la mobilità collettiva? e considerato che per i servizi di igiene ambientale la trazione termica non appare realisticamente sostituibile nel breve.
In attesa di maturare una piena consapevolezza di quali siano le strategie di rinnovo dei parchi, una corretta manutenzione dei motori (e in particolare quelli Diesel, che equipaggiano le flotte di veicoli pesanti) e una corretta gestione del gasolio può fornire di per sé un contributo rilevante al contenimento di emissioni nocive per l'ambiente.
Ne derivano due linee di azione fra loro coerenti e integrate:
- Upgrade verso lo standard almeno Euro 5 di veicoli datati e non rimpiazzabili nel breve. Si tratta di interventi dell'ordine delle poche migliaia di Euro, non cogenti ma sempre più improcrastinabili e che se dovessero essere imposti a livello locale mediante revoca delle deroghe concesse ai servizi pubblici imporrebbero interventi troppo concentrati nel tempo per risultare sostenibili.
- Bonifica periodica di serbatoi e cisterne e decarbonizzazione dei motori.
La bonifica di serbatoi e cisterne
Flotte che operano in regioni estese e fanno rifornimento a siti di proprietà, come ad esempio quelle di autobus in servizio regionale, sono fra le prime vittime del fenomeno della proliferazione di mucillagini massive derivate da batteri e funghi le quali, immesse nel circuito di alimentazione di motori, possono produrre il blocco del motore e danni ingenti a tutto l'impianto (intasamento dei filtri, malfunzionamento di pompe ed iniettori). Inoltre i prodotti dei batteri sono a pH acido, pertanto possono produrre corrosioni indesiderate.
Tale fenomeno è dovuto in massima parte al decantamento di acqua sul fondo e si manifesta soprattutto da quando è stato incrementato l'uso del cosiddetto biodiesel; negli anni più recenti diverse disposizione europee, fra cui la Direttiva 2015/1513/UE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili impongono l'introduzione di significativi volumi di biodiesel da miscelare al gasolio "tradizionale" per autotrazione. Il bio-gasolio è ottenuto da oli vegetali, quali palma, colza, girasole, soia, ma anche da grassi animali, sottoprodotti, rifiuti. Al 2016 si arriva ad un massimo del 7% in volume; la tendenza è quella di salire al 10%.
Durante i processi di raffinazione, per le condizioni di esercizio, non ultimo l'alta temperatura, i tagli di idrocarburi utilizzati per preparare le miscele commerciali possano definirsi non contaminati (contenuto di acqua inferiore allo 0,02%, ovvero 200 mg/kg). I sistemi di stoccaggio e trasporto dei carburanti costituiscono dunque il primo luogo dove la contaminazione batterica può avvenire.
La fase acquosa in un serbatoio di stoccaggio può avere un volume variabile, da pochi ml a qualche m3. Indipendentemente dal volume, i microrganismi vanno a popolare preferibilmente la zona di interfaccia acqua/carburante, habitat favorevole alla crescita di batteri, i quali si sviluppano sotto forma di biofilm. In sistemi reali dove la temperatura è compresa tra 20-35 °C ed il pH è tra 6 e 9, si riscontra crescita e sviluppo di flora batterica che prolifera attraverso fenomeni di nutrizione biochimica nell'arco di 15-24 ore. (fonte: Università La Sapienza - Roma).
Per tenere sotto controllo il problema occorre applicare una procedura di gestione carburanti, applicabile a tutti i punti sensibili legati al trasferimento del carburante, che comprendono le operazioni nel sito produttivo, i sistemi di stoccaggio, i serbatoi dei depositi di distribuzione, le autobotti destinate al trasporto dei carburanti ed infine i punti di rifornimento. La procedura prevede:
- Individuazione dei punti critici dello stoccaggio
- Campionamento del fluido presente nel serbatoio
- Analisi dei campioni
- Interventi mirati
- Pulizia - bonifica
- Trattamento chimico preventivo o "a shock"
Ditte specializzate possono effettuare la bonifica necessaria, come servizio acquistato con procedura eventualmente ad evidenza pubblica per le quali è stato predisposto un apposito disciplinare di riferimento. Vale la pena rimarcare come anche le flotte di veicoli ferroviari rappresentano un campo di applicazione ideale di questo approccio: sovente infatti gli stessi risultano alimentati con l'ausilio di impianti meno soggetti a investimenti, ciò a causa dei bassi margini tipici di chi opera in mercati non protetti, come ad esempio quello delle manovre ferroviarie, o della cronica carenza di investimenti che caratterizza spesso le imprese ferroviarie regionali.
Dati statistici elaborati sulla scorta delle esperienze condotte da una società del settore riportano, per un totale di 2178 cisterne verificate: 2178, la presenza di 680 siti contaminati, pari quasi a un terzo del totale. Sono numeri che dovrebbero far riflettere e indurre, al minimo, un intervento di analisi per ciascun detentore di siti di stoccaggio.
La decarbonizzazione dei motori
Il parco veicoli oggi in circolazione è altamente suscettibile ai depositi carboniosi nei motori, per tre fondamentali ragioni:
- Combustibili più sensibili ai residui dovuti a reazioni chimiche
- Impianti di alimentazione più sofisticati e sensibili (Elettronica)
- Aumento della densità del traffico
L'evoluzione dei sistemi di alimentazione fino al common rail, ha portato indubbi vantaggi, anche dal punto di vista delle minori emissioni nocive allo scarico, ma anche maggiore sensibilità alle influenze negative, con conseguenze
su iniettori, valvole, camere di combustione.
La soluzione rispetto a questi inconvenienti è la decarbonizzazione, intesa come processo manutentivo che tende a rimuovere i residui carboniosi, derivanti da incompleta combustione, da elementi quali pompe iniezione, carburatori, iniettori e camere di combustione (sia diesel che benzina), valvole e testate. La normale messa a punto degli stessi non è in grado di rimuovere tali depositi.
La maggiore efficienza energetica e il minor consumo di combustibile possono arrivare a ripagare, in molti casi, completamente il costo dell'intervento ma va altresì tenuta in debito conto la riduzione dell'impatto ambientale, in termini di CO2, Nox ed SOx e particolati immessi in atmosfera conseguente a questo tipo di interventi, obbligatori nel settore marine (pena la mancata ammissione nel registro di classifica delle unità) ma non cogenti in quello automobilistico.
Anche in questo caso la procedura è stata messa a punto e offerta sul mercato da ditte specializzate.
Dopo l'annotazione dei dati del veicolo si procede con la misurazione della fumosità, la diagnosi generica dello stato del veicolo con segnalazione di eventuali anomalie, la preparazione del veicolo il trattamento, l'esecuzione dello stesso con utilizzo dei solventi nella quantità richiesta dalla cilindrata e dallo stato del mezzo e infine un nuovo rilevamento nei modi previsti dell'opacità dei fumi di scarico.
Su 11.780 mezzi trattati (dati forniti da un'azienda specializzata del settore la cui procedura adottata è certificata dall'Università la Sapienza, Roma) la riduzione dell'opacità media a fine trattamento è risultata pari al 38,5%, con una stima della diminuzione nel consumo di carburante del 3,56%. Non sempre si tratta di un risultato apprezzabile in quanto tende a valori contenuti nel range dell'errore di misura, ma sono cifre che devono fare riflettere e inducono, ancora una volta, a suggerire un supplemento di indagini.
Conclusioni
Motori e cisterne nella realtà non sono mai «puliti»: i primi risentono di migliaia di ore di funzionamento in ambienti molto diversi, le seconde, sovente interrate, tendono a essere terreno di coltura per parassiti.
Bassi investimenti consentono di cogliere più obiettivi: maggiori rendimenti, minori costi dovuti a fermi per guasto e non ultimo maggiore rispetto per l'ambiente. Esistono oggi - anche se poco diffuse - specifiche competenze in materia e strumenti per l'introduzione di queste buone prassi di manutenzione.
Alessandro Sasso, Presidente ManTra, Associazione Manutenzione Trasporti