Dei tre elementi che determinano la circolarità nell’impiego delle risorse: la trasformazione del rifiuto in risorsa, la trasformazione del rifiuto in energia e il prolungamento della vita utile dei sistemi, quest’ultima, cioè la Longevità, è l’elemento che più impatta sulla manutenzione.
Provocatoriamente abbiamo inserito nel titolo quella iperbole, ma che è anche una speranza, per non dire un obiettivo, di moltiplicare per tre la longevità dei sistemi. Ad esempio, una automobile invece di sostituirla ogni 5-6 anni in base ad invecchiamento e opportunità di ammortamento, la si cambia ogni 15-20 anni, con buona pace dei costruttori e dei finanziamenti per “rottamazione”.
Ma rottamazione di che? Rottamazione significa che quell’auto che noi restituiamo in cambio di quella nuova nella migliore delle ipotesi viene acquistata sul mercato dell’usato o, nella peggiore, va ad aumentare il parco rottame di qualche periferia. La trasformazione in rottame, prima o poi, sarà il suo destino finale.
Le continue e sempre più restrittive normative antinquinamento, ormai concentrate prevalentemente sulle polveri sottili, battono un altro colpo a favore della rottamazione, perché la circolazione nelle grandi città viene limitata adeguando il vincolo alle normative più recenti come Euro 5 ed Euro 6. Un altro elemento che spinge ineluttabilmente verso la rottamazione. Il diesel è diventato il nemico dell’ambiente ma solo perché viene preso in esame il parametro delle polveri e non quello della CO2.
Tutto è relativo a questo mondo. Così se da un lato le aziende costruttrici fanno letteralmente carte false per inseguire le sempre più stringenti normative antinquinamento, dall’altro le Amministrazioni lavorano contro la longevità.
Ecco. L’esempio dell’auto è indicativo, anche se complicato dalle normative, ma nei fabbricati industriali la spinta verso la longevità delle macchine riesce più facile. Si attivano due percorsi: il sentiero delle sostituzioni “buono come nuovo” e il sentiero degli ammodernamenti.
Le sostituzioni “buono come nuovo” si fanno da sempre, ma mai come oggi il loro valore è divenuto strategico. Se i materiali e i ricambi sono di ottima fattura, se il montaggio avviene “a regola d’arte” e se non ci si rassegna all’inesorabile crescita più che lineare del tasso di guasto come ci insegnò la “curva a vasca da bagno”. Con continue flessioni del tasso di guasto verso il valore minimo, la macchina potrebbe aspirare ad una vita eterna o quasi.
Ci sono però due minacce: l’analisi del valore, che porterebbe a considerazioni sul valore residuo dei sistemi e sulla loro profittevole sostituzione (eventuale), e l’obsolescenza tecnologica.
Contro l’analisi del valore possiamo obiettare che dobbiamo iniziare ad inserire nei calcoli il concetto di sostenibilità ambientale e il costo conseguente (sempre maggiore) dello smaltimento.
Contro l’obsolescenza invece abbiamo a disposizione strumenti sempre più potenti per procedere ad un ammodernamento che non solo mantiene nel tempo il valore del sistema ma potrebbe anche aumentarlo (Upcycling).
Le aziende più avvedute si interrogano riguardo al diffondersi degli strumenti tipici della Industria 4.0 (che in Italia è un dispositivo principalmente fiscale) come la IoT, la robotica, l’automazione spinta delle funzioni delle macchine.
Seguo da anni i nostri ragazzi dei Fab Lab, e devo dire che sono sorpreso dal fatto che le imprese non abbiamo ancora utilizzato il sapere di queste menti giovani ma molto creative.
I ragazzi operano con strumenti di prototipazione economici, basati essenzialmente su Arduino e Raspberry, che sono come dei PLC o come quegli hardware embedded, ma più evoluti e più fragili, inadatti forse ad un ambiente industriale ma perfetti per la prototipazione da associare poi ad hardware adeguato e robusto.
Nel percorso verso il non ancora queste esperienze basate su IoT e annessi, possono contribuire in maniera importante a mantenere o addirittura accrescere il livello tecnologico delle macchine dando un contributo essenziale alla longevità.
Il macchinario industriale si presta bene a questo genere di interventi perché per sua natura è costruito in piccola serie e con composizioni modulari, ben più che i sistemi serializzati in centinaia di migliaia se non milioni di unità.
E poi, l’obiettivo finale è nobile: ridurre i rifiuti e aumentale la circolarità dell’economia. Un obiettivo che da solo dovrebbe stimolare l’ingegno dei tecnici, e obbligare gli amministratori delle imprese a mettere mano al portafoglio.
Ancora una volta, nel nostro paese, il punto critico relativamente alle avanguardie tecnologiche è la competenza ed in subordine la formazione sia nei percorsi scolastici, sia nella cd “formazione continua”.
Parallelamente nelle imprese il cd “fattore umano” non sempre riceve la dovuta attenzione. C’è una ipocrisia di fondo che si traduce in una difformità fra le intenzioni dichiarate e la realtà effettiva.
La valorizzazione del capitale intellettuale nelle imprese è una delle sfide mancate di questo scorcio di secolo, anzi, al contrario il capitale intellettuale è considerato una risorsa sempre accessibile e spesso gratuita quindi, a tendere, a valore zero.
Il viaggio verso il non ancora è subordinato alla disponibilità di expertise adeguate e in linea con l’evoluzione tecnologica oltre che, naturalmente, condizionato dal coraggio imprenditoriale e dalla volontà di lasciare la terra di mezzo nella quale siamo impantanati per risalire la china verso un nuovo modello industriale, sociale ed economico. È il non ancora che si realizza.
La manutenzione con i suoi riti e la sua disciplina ci aiuterà a mantenere l’orientamento, sarà la nostra bussola per affrontare il mare delle difficoltà e degli imprevisti.
Maurizio Cattaneo