La riflessione di questo editoriale è una naturale conseguenza della key note che ho tenuto ad Agosto a Brisbane durante la dodicesima edizione del World Congress on Engineering Asset Management (WCEAM), organizzato congiuntamente con la tredicesima edizione dell’International Conference on Vibration Engineering and Technology of Machinery (VETOMAC). Il titolo della key note era: “The 4th Industry Revolution: reflecting on the opportunities, barriers and risks for Asset Management”.
La key note è stato un momento utile per riflettere sulle varie esperienze di innovazione che ho la fortuna di sviluppare con le persone del mio gruppo e con il supporto fondamentale dell’esperienza e contesto industriale offerti da varie aziende, nell’ambito della produzione – di processo e manifattura discreta – e delle infrastrutture. Poiché la key note aveva un focus sul mondo della produzione, mi atterrò a questo taglio anche nell’editoriale. D’altronde, lo dico come un’excusatio necessaria, non riuscirò in poche righe a sintetizzare gli elementi discussi in sede di congresso con i colleghi del WCEAM, sia accademici che industriali. Cercherò, quindi, di trattare alcuni messaggi salienti, iniziando, volutamente, con uno stile imperativo.
- Il lifecycle management degli asset non è solo manutenzione; quindi, evitiamo di pensare confinandoci ai soli, pur importanti, compiti della manutenzione; al contrario, allarghiamo la prospettiva alle decisioni lungo il ciclo di vita dell’asset.
- Riflettiamo sulle opportunità che il management aziendale può indirizzare attraverso la trasformazione digitale, e che non riguardano solo la manutenzione. Pertanto, poniamo attenzione al livello strategico, e consideriamo – come una motivazione, non l’unica, per la digitalizzazione della manutenzione – la possibilità di usare le tecnologie dell’Industria 4.0 per ottenere una conoscenza profonda del funzionamento di impianti e macchinari.
Stanti queste premesse, userò due casi d’uso dell’Industria 4.0, entrambi fondati su progetti di ricerca e sviluppo realizzati in contesto industriale. Da ogni caso deriverò le lessons learnt, rimarcando anche quanto il caso si possa considerare rappresentativo di potenzialità con ricaduta immediata, piuttosto che con ricaduta possibile fra qualche anno.
Per il primo caso parto da una premessa scontata, pur sempre da ricordare: la conoscenza del funzionamento degli asset nasce da una combinazione di fattori, i.e. dati monitorati (del funzionamento degli asset), eventi registrati (operazioni svolte sugli asset, non solo di natura manutentiva: le operazioni nel processo di produzione possono essere altrettanto importanti perché determinano le condizioni di sollecitazione, quindi, il degrado più o meno accelerato) e, ultimo, ma non meno importante, conoscenza tecnica (permette di affrontare in modo intelligente l’impostazione dei procedimenti di analytics fattibili con le tecniche e tecnologie oggi a disposizione). Come caso d’uso, si può pensare allo sviluppo di un programma di manutenzione su condizione, eventualmente con capacità predittive. La lesson learnt del caso è di tipo organizzativo: il progetto di manutenzione su condizione non è dovuto alla sola “isola” tecnica di manutenzione, ma si sviluppa con un team interdisciplinare dove, ad esempio, manutenzione, produzione/processo e automazione industriale hanno un ruolo proattivo per mettere a fattor comune la conoscenza necessaria. È ovvio, poi, che ci sono anche le scelte tecnologiche che coinvolgono l’ICT oltre all’automazione, da prendere e portare avanti – es., se adottare o meno il cloud computing, se rendere smart i sensori per esporre dati in rete o, più in generale, il livello di connettività garantita per l’asset, compreso la scelte di cyber-security, ecc. … Complessivamente, è evidente che la trasversalità tra le funzioni – che è tipica dell’Asset Management – emerge come fattore critico di successo anche per un progetto di Industria 4.0 applicata allo sviluppo di un tipo di manutenzione come quella su condizione. Trovate in questo numero un contributo che è espressione diretta di questo caso: “Uno strumento di Smart Maintenance per un forno ad arco elettrico sicuro”. È evidente che parliamo di un’innovazione a ricaduta immediata, se, naturalmente, l’azienda è sufficientemente matura per affrontarla, nella sua organizzazione, nelle sue persone e nell’infrastruttura tecnologica.
Per il secondo caso d’uso passo dal piano operativo – della manutenzione su condizione – al piano strategico che fa riferimento a diverse tipologie di decisione di lungo termine – ad es., scelte di investimento per la costruzione di un nuovo asset, di lifecycle extension di un asset esistente, di manutenzione e supporto logistico progettate congiuntamente con la configurazione dell’asset, ecc. … Per queste decisioni servono metodi ingegneristici, e uno di questi è il TCO (Total Cost of Ownership). Prima di arrivare all’Industria 4.0, introduco, quindi, il concetto di TCO, discusso da tempo, ma con diverse interpretazioni. Prendo spunto da alcune note presentate nel report della ricerca 2014-15 dell’Osservatorio che dirigo sulle Tecnologie e Servizi per la Manutenzione (TeSeM) della School of Management del Politecnico di Milano: i) il TCO è uno “strumento strategico di supporto decisionale in un sistema di Asset Management”; ii) il TCO è “un indicatore per una gestione integrata che segue l’asset nel suo ciclo di vita”; iii) il TCO è “un mezzo per aumentare il contributo ingegneristico a supporto di decisioni prese sulla base di previsioni finanziarie”. Se queste definizioni vengono concretizzate in un progetto d’innovazione, la metodologia che ho provato in diversi contesti industriali mi porta a concludere che la valutazione del TCO nasce dopo aver sviluppato uno o più modelli di performance tecnica da cui è possibile derivare la valutazione delle perdite di efficienza e/o efficacia, fondante per il calcolo di una componente importante del TCO, quella dei costi indotti/nascosti delle perdite. È opportuno sottolineare anche che, per una valutazione globale rispetto agli impatti sul business, il modello/i modelli di performance non possono che essere sistemici, così da permettere la valutazione delle perdite in relazione all’intero sistema di asset avendo, come ovvio, scelte locali nel merito di ciascun asset componente. Che c’entra l’Industria 4.0 con questo? È semplice rispondere, almeno come concetto: disporre di modelli di performance che rappresentano l’asset system come una controparte digitale del reale è ciò che permette una serie di valutazioni, sia a livello sistemico che con riferimento al rischio (considerando il comportamento stocastico degli asset) e al ciclo di vita, valutazioni che – in ultima istanza – si traducono in uno o più indicatori espressione del TCO; se vogliamo quindi impiegare un concetto dell’Industria 4.0, potremmo dire che i modelli di performance di un asset system possono essere intesi come il cosiddetto digital twin (gemello digitale) del reale. Poiché sto studiando – per obiettivi di chiarezza scientifica – il concetto del digital twin, posso riportare una definizione che si può ritenere tra le originarie, è dovuta alla NASA. Il digital twin è “an integrated multi-physics, multi-scale, probabilistic simulation of a vehicle or system that uses the best available physical models, sensor updates, fleet history, etc., to mirror the life of its flying twin.”. Al di là di pensare ai dettagli modellistici, penso sia utile porre l’accento sul possibile utilizzo del digital twin: nella definizione della NASA si parla di mirror, specchio, della vita dell’asset fisico. Pensando all‘applicazione nel mondo della produzione, il mirror può supportare sia la continuità digitale lungo il ciclo di vita dell’asset (dal progetto alla gestione e miglioramento continuo fino alla fine vita) sia decisioni fondate su modelli “ingegnerizzati” per la valutazione delle performance o, se pensiamo al primo caso d’uso, su data analytics che sono parte del sistema di manutenzione su condizione.
Fare un digital twin non è certamente un’operazione immediata, ma è un concetto che vorrei lasciare per aprire ad una visione del tutto possibile in un futuro non troppo lontano. Come costante progettuale, rimane la necessità di essere trasversali a più funzioni aziendali, altrimenti è evidente la difficoltà di comprendere appieno i fenomeni fisici per poi tradurli in digital twin a supporto delle decisioni richieste lungo il suo ciclo di vita. Ed è ovvio anche dire che l’azienda deve avere una sua strategia di digital trasformation, al di là delle esigenze specifiche della singola funzione aziendale. Poiché l’Osservatorio TeSeM (www.tesem.net) ha, tra i suoi obiettivi della ricerca d’anno in corso, la digitalizzazione della manutenzione, rimando al suo contesto per un momento di confronto utile attraverso il coinvolgimento di operatori industriali e selezionate innovazioni con ricadute immediate e futuribili, oltreché per una riflessione sulla maturità attuale della manutenzione a intraprendere un percorso di digitalizzazione, ciò che è possibile grazie al benchmark che il TeSeM ha già sviluppato da diversi anni su territorio nazionale, e che sta estendendo su altre nazioni con la collaborazione dell’Università di Siviglia e l’Università di Cambridge, capofila delle rispettive reti nazionali.
Lascio, da ultimo, uno spunto su un terzo caso specifico, che sto vivendo in un progetto di ricerca e sviluppo con un grosso costruttore automotive, questa volta tedesco, la patria del termine Industrie 4.0. Parlo, in questo caso, di commissioning della linea di assemblaggio finale: il commissioning può essere un banco di prova per il concetto del digital twin, ora con una visione più allargata alla value chain, poiché la linea è la composizione di asset originariamente dovuti a diversi OEM, che devono però lavorare in perfetta sincronia. La digitalizzazione è anche qui importante, potendo essere un mezzo per garantire qualità e rapidità di commissioning; questo può essere un altro tassello strategico per il life cycle management di asset system complessi. Altri casi sarebbero citabili, ma credo che i due approfonditi e il terzo solo evocato bastino per dire che una visione che sia trans-funzionale e multidisciplinare è strategica per un asset lifecycle management 4.0 di successo. I prossimi anni esprimeranno in maniera più chiara i diversi modelli che emergeranno nei vari settori industriali.
Prof. Marco Macchi, Direttore Responsabile Manutenzione T&M