Sono un ingegnere e molti anni fa, nel corso della mia professione, mi è capitato di iniziare a occuparmi anche di manutenzione. Non sono stato io a cercare la manutenzione, ma è stata lei a cercare me; il nostro è stato un rapporto all’inizio un po’ conflittuale poi, però, abbiamo trovato una buona stabilità.
Ricordo ancora il giorno in cui il mio capo di allora mi convocò nel suo ufficio e mi fece un lungo discorso per dirmi che, dato che il responsabile della manutenzione era andato in pensione e che l’azienda non intendeva assumere una nuova risorsa, oltre al mio incarico avrei assunto anche quello di “responsabile della manutenzione”.
All’inizio ho preso questo lavoro come un “lavoro” e basta, un “lavoro” nel senso peggiore della parola. Non era quello che volevo, anzi era quello che avevo cercato di evitare, poi lentamente ho iniziato ad apprezzarlo e ad amarlo. A seguito di questo amore ho perfino iniziato a pormi domande di tipo esistenziale.
All’inizio pensavo che la mia formazione scolastica (laurea in ingegneria meccanica) e le mie esperienze passate come aiutante meccanico di ciclomotori, aiutante gommista, aiutante cablatore e altre che qui non menziono, mi rendessero la persona più adatta a questo tipo di lavoro e che, quindi, lo avrei svolto nel migliore dei modi possibili.
Possedevo tutte le conoscenze tecniche che la mia laurea mi aveva fornito, una certa esperienza e manualità acquisite sul campo e inoltre lavoravo già da un po’, quindi, avevo imparato a conoscere le dinamiche interne a un’azienda. Ero sicuro di me e pronto a intraprendere questa nuova avventura.
Un mercoledì mattina mi presentai nell’officina di manutenzione con i gradi di responsabile della manutenzione appena ricevuti e feci una bella chiacchierata con i manutentori (che già conoscevo) esprimendo le mie idee e il mio programma. Tutto sommato eravamo d’accordo; l’avventura della manutenzione iniziava nel migliore dei modi.
Nel tempo, poi, ho cambiato svariati lavori e squadre di manutenzione trovandomi sempre bene con tutti e impostando sempre al meglio il lavoro.
Fin qui potrebbe sembrare una vita lavorativa bellissima e senza problemi.
In realtà i problemi ci sono stati e ci sono tuttora.
Qualcuno penserà alle solite difficoltà con le macchine che si rompono, con gli impianti che non vanno o addirittura con la produzione che non esce, ma non è così.
Le macchine si riparano, addirittura oggi possiamo prevenire e predire i guasti e, se le macchine funzionano, gli impianti vanno alla grande e la produzione cresce. A volte sembra che tutto funzioni alla perfezione come un orologio svizzero e ci si incanta a guardare il flusso dei prodotti che escono da una linea.
Ma all’improvviso suona il telefono e lì arriva il vero problema.
Il problema è l’uomo, non la macchina.
Il responsabile della manutenzione si trova ad avere a che fare con gli scontenti e i malcontenti di tutta l’azienda.
Iniziamo con i vari capireparto: ognuno di loro è costantemente in competizione con gli altri e nei momenti di difficoltà cerca l’aiuto della manutenzione, sia che si tratti di riparare un guasto che di fare un cambio formato o, addirittura, di supportare il personale di linea. Non esiste dover specificare che la manutenzione, come dice il nome, si occupa di manutenzione e non di tappare i buchi della produzione. Per il caporeparto la manutenzione deve far tutto.
Quando squilla il telefono e a chiamare è un impiegato degli uffici amministrativi, allora il problema è sicuramente molto grave: potrebbe esserci un neon che lampeggia o una poltroncina che ha le ruote che cigolano e questo problema deve essere risolto nel più breve tempo possibile, perché è “ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE” lavorare in quelle condizioni.
Anche se devo dire che le telefonate più belle sono quelle che arrivano dall’area marketing e commerciale: quando chiamano loro sicuramente sta per arrivare un cliente importantissimo e hanno appena scoperto che non funziona la macchinetta del caffè in sala riunioni. Nel 99,99% dei casi manca l’acqua, ma non è compito loro né controllare né riempire il serbatoio, è un’operazione di manutenzione.
Una menzione particolare la meritano le richieste dei direttori.
La più classica è: “Qualcuno ha parcheggiato al mio posto trovate il proprietario della macchina e fatela spostare”.
Al secondo posto ci sono sicuramente le lamentele per l’ufficio troppo caldo in estate o troppo freddo in inverno.
Ultimamente è molto gettonata anche: “il mio cellulare prende male”.
Quando ricevevo questo tipo di chiamate, i primi tempi rispondevo in maniera molto tecnica specificando quello che era il carico di lavoro della manutenzione, la priorità della richiesta e la data prevista di evasione, ma non funzionava: mi sentivo rispondere che era impossibile che non riuscissi a trovare qualcuno che facesse quel lavoretto in cinque minuti, facendo anche allusioni sull’efficienza dei miei manutentori.
Poi, con il passare degli anni, ho iniziato a essere meno professionale e più distaccato rispondendo con “rimanete in linea per non perdere la priorità acquisita”; quando qualcuno insisteva mi ricordavo di essere stato un caporale di artiglieria e rispondevo in maniera non molto urbana.
Con la maturità, in seguito, ho capito che ogni persona vede il suo problema, per piccolo che sia, come il più grande problema del mondo e, dal momento che è in un’azienda, vuole che ci sia qualcuno che immediatamente lo risolva.
Ora il mio approccio è molto più zen, li lascio parlare, cerco di capire i loro problemi e prometto che farò di tutto per risolverlo nel minor tempo possibile, compatibilmente con i miei. Nel frattempo, do loro tutta la mia comprensione e solidarietà.
Alla luce di queste esperienze mi domando sempre più spesso se sono un tecnico o uno psicologo che esercita illegalmente e, a chi mi chiede quali siano le caratteristiche che deve avere un buon responsabile di manutenzione, rispondo sempre più spesso “una laurea in psicologia”.
A cura di Pietro Marchetti, Coordinatore Regionale sezione Emilia-Romagna, A.I.MAN.