La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione

Un’analisi sugli aspetti che guidano il change management all’interno delle organizzazioni (seconda parte)

  • Novembre 16, 2017
  • 416 views
  • La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione
    La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione
  • La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione
    La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione
  • La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione
    La cultura organizzativa dei servizi che erogano attività di manutenzione

Riprendiamo il discorso interrotto sul nu­mero precedente, partendo dall’ultimo esempio citato. Verifichiamolo analizzando l’impatto di una frase come “costo del ciclo di vita, LCC”. In figura 1 sono rappresentati tre diversi scenari per l’uso/non uso organizzati­vo del concetto del Costo del ciclo di vita nella gestione degli asset:

Caso A: l’organizzazione non conosce il termine Costo del ciclo di vita, ha una cultura organizzativa retrograda che pone gravi problemi di osmosi con la conoscenza del mondo tecnico attuale, è anche caratterizzata da mancanze tecnologiche di base, come il mancato uso aziendale di internet (qual­che dipendente isolato o consulenti), ciò che porta come conseguenza alla impossibilità di essere ef­ficaci, oggi e domani, nell’adozione della Internet of Things (IoT). In altri termini la mancanza, nella cultura organizzativa (Mandato) del concetto di costo del ciclo di vita impedisce di utilizzarlo (La­voro): non ci sono capitolati per nuovi asset basati sul costo del ciclo di vita e in nessun modo il futu­ro (Compito) prevede per queste organizzazioni di poter pensare alla sostenibilità e al life cycle asse­sment che sta, al contrario, diventando un obbligo.

La cosa triste è che il mondo è pieno di organizza­zioni della manutenzione che sono oggi a questo livello A.

Caso B: soliloquio, per far sfoggio di cultura, di una parte del management, stessi risultati orga­nizzativi del caso A; anzi peggiori perché questo gruppo manageriale pensa che conoscendo il concetto ha già dato,…

Caso C: adozione ed uso efficace aziendale che si sviluppa nel tempo. Il concetto non passerà istan­taneamente in tutte le teste. Ci sarà una crescita costante e continua:

  • Si parte dalla scelta strategica di acquistare gli asset con questa metodologia (top manage­ment);
  • Si prosegue con la predisposizione dei capitolati di acquisto degli asset con questa metodologia (ingegneria di manutenzione);
  • Infine si arriva alla gestione con l’arrivo fisico degli asset in azienda si svolgono le attività ma­nutentive con questi crismi del costo del ciclo di vita (parte operativa della manutenzione).

Come si vede mano a mano cambia il Mandato dell’organizzazione e questo ha impatti sul Lavoro quotidiano e sul futuro poiché il Compito futuro sarà sempre più legato ad una gestione degli as­set orientata al lungo periodo.

Questo semplice esempio illustra che per modifi­care la cultura organizzativa (Mandato) deve es­sere coinvolta tutta l’organizzazione: top manage­ment, ingegneria manutenzione e parte operativa manutenzione.

Nei casi sopra riportati viene evidenziato come serva che qualcuno, con potere adeguato, pro­nunci la parola: costo del ciclo di vita; in un sede adeguata: corso di formazione, definizione del bu­dget. Il primo impatto sarà di pura meraviglia per coloro che non ne hanno mai sentito parlare o che la conoscevano ma non hanno mai pensato fos­se applicabile agli asset in manutenzione presso quella organizzazione.

La figura C, del caso migliore, non prevede grafica­mente, in ogni caso, che tutte le persone dell’orga­nizzazione siano coinvolte nelle modifiche culturali personali provocate dall’uso del costo del ciclo di vita. Queste persone che sono inerti culturalmen­te, anche se sono inserite in procedure organiz­zative, del sistema ISO 9001 e/o 55000 relative al costo del ciclo di vita, che prevedono l’uso di do­cumenti che derivano da questa metodologia, non faranno proprio questo concetto. Questa dimen­sione organizzativa non farà mai parte, davvero integrata, del loro essere in azienda, non contribuiranno mai a migliorare le procedure di gestione basate su questo modello con loro proposte personali. Gli alibi che adotteranno per questo comportamento saranno i più disparati: “…l’azienda non mi coinvolge…”, “…non sono pagato adeguatamente…”, “…qui fanno carriera solo gli yes man…”, …; ma rimarranno immancabilmente in azienda non avranno la coerenza di dimettersi…

Questo è il limite delle culture organizzative, non sono mai totalizzanti. E’ sempre una sfida di acquisire la maggioranza, mai la totalità degli addetti, che è un’opera, quest’ultima, che neppure le religioni riescono ad ottenere.

Si può osservare in figura quindi che il concetto del costo del ciclo di vita:

caso A: può non arrivare mai nell’Organizzazione anche se è una best practice mondiale, perché nessuno dell’organizzazione ha questo sti­molo culturale questa organizzazione e tutti i suoi fornitori hanno pro­blemi di cultura, non sono osmotici con il mondo reale che li circonda;

caso B: può rimanere un bel termine che rimane in uso nei colloquio di élite manageriale o dell’ingegneria di manutenzione: “dovremmo utilizzare il metodo del LCC” che dimostra che tale parola e metodo sotteso non provoca alcun effetto sulla cultura organizzativa dell’or­ganizzazione nel suo complesso; questo è un caso paradossalmente ancora più grave perché significa che il top management, pur cono­scendo l’importanza del concetto, non se la sente di lanciare questo grande progetto di cambiamento, non intende cambiare la cultura organizzativa (il Mandato) attuale dell’organizzazione stessa e non modificandone il Lavoro ne sta compromettendo il futuro (Compito). Questo tipo di management all’apparenza più “buono” perché non richiede cambia­mento in realtà è un veleno mortale perché sta uccidendo l’organizzazione, che in futu­ro sarà insignificante culturalmente sul mer­cato delle attività manutentive;

caso C: con più o meno ampia velocità di cambiamento la parola ed il metodo entrano nella cultura aziendale. In ogni caso queste organizzazioni sono partite, c’è stata una modifica culturale (è cambiato il Mandato). Anche in questo caso però, si tenga in con­to, non sono del tutto azzerati i rischi: ci può essere un tempo di adozione troppo lungo per le modifiche procedurali necessarie, può non essere abbastanza diffusa la cultura (top management, ingegneria di manuten­zione e parte operativa) e quindi con l’uscita anche di un solo manager può tornare tutto nel dimenticatoio… ma in ogni caso è suc­cesso qualcosa si tratta di essere più efficaci di “crederci” di avere sempre energia, ma l’attrito di primo distacco è vinto e questo fatto inerziale vale la vita futura dell’organiz­zazione.

Interventi sulla cultura

Senza alcuna banalizzazione si può quindi ribalta­re il concetto di intervento sulla cultura organizza­tiva e pensare ad una action learning, più che ad un percorso più noto che parte da una valutazione di clima, per poi decidere come intervenire, sulla base dei risultati dell’analisi di clima, con lo svilup­po organizzativo.

Non è un gioco di parole, il progetto di cambia­mento, comunque necessario, è già un intervento sulla cultura organizzativa. Si può in ogni caso ef­fettuare un’analisi di clima prima e dopo il cambia­mento, ma soltanto come monitoraggio e non per progettare l’intervento organizzativo.

Questo approccio pragmatico direttamente con l’action learning, intanto è più veloce, si applica in ogni caso poiché c’è sempre di fatto un progetto di cambiamento in atto, infatti, se c’è una strategia e un sistema valoriale chiaro, non serve l’analisi culturale per capire come deve operare lo sviluppo organizzativo, quindi di fatto è già in atto.

Per arrivare in modo efficace alle pratiche di in­tervento desidero preliminarmente riportare una metafora della cultura organizzativa che utilizzo da anni e che riesce a far capire il concetto anche a chi non si è mai posto questi temi nella sua Or­ganizzazione.

La metafora consiste nell’equiparare la cultura organizzativa ad una colata di lava.

Della lava è possibile orientare il flusso ma non modificarne repentinamente la direzione, in modo significativo, predisponendo canali opportunamente si­stemati a distanza utile di fronte alla colata.

Allo stesso modo la cultura organizzativa non si può modificare nel breve periodo ma si deve fornire una visione di lungo periodo alle persone dell’Or­ganizzazione e coerentemente applicarla.

La metafora della colata di lava e della cultura organizzativa ha un solo limite. Mentre la colata di lava prima o poi termina, la cultura organizzativa fluisce sempre sino a che esiste una Organizzazione.

Al contrario la metafora della colata di lava rispetto alla cultura organizzativa tiene bene nei casi di merger and acquisition di società poiché le due o più (nel caso di più di due società) culture sono ben rappresentate da altrettante colate di lava, che rappresentano bene la difficoltà di unire culture diverse.

La metafora colata lava-cultura organizzativa è ricca anche per quanto ri­guarda la temperatura della colata.

Se la lava è molto calda è più modificabile nel suo percorso, operando op­portunamente per tempo innanzi alla colata, anche se quando è calda è ov­viamente più veloce.

La colata di lava invece man mano si raffredda diventa sempre più dura e non modificabile.

Quindi sarà necessario tenere “calda la lava”, intervenire continuamente sulla cultura organizzativa, con interventi formativi specifici comunicazione, ecc…

Questo è proprio quello che accade alla cultura organizzativa: se la si tiene dinamica con sviluppo di competenze, valori e le persone più motivate con­ tribuiscono modificarla ogni giorno, la cultura organizzativa è calda e quindi fluida. Al contrario se la cultura organizzativa non viene curata ogni giorno diventa fredda e dura con difficoltà enormi per la sua modifica.

Fuor di metafora quindi quale può essere un piano di intervento sulla cultura organizzativa:

  • definizione di vision e valori;
  • comunicazione di vision e valori in modo capillare;
  • analizzare tutti i processi organizzativi per misurarne: costi, rischi e performance;
  • definire gli obiettivi in termini di costi, rischi e performance, sia sul breve che sul lungo periodo;
  • analizzare tutte le 9 (si veda inizio lavoro) dimensioni organizzative e le modifiche che riguarderanno gli asset da manutenere nelle stesse dimensioni temporali: breve e lungo periodo;
  • analizzare i gap di competenze e di risorse che possono derivarne;
  • iniziare con progetti integrati di formazione e comunicazione ad orientare la cultura organizzativa verso gli obiettivi;
  • definire strumenti di supporto sistemi di incentivazione variabile e sistemi di sviluppo professionale.

In fig. 2 si sintetizza il piano di lavoro riportato nel presente articolo:

  • La considerazione strategica della cultura organizzativa che costituisce il fondamento ma anche l’elemento inerziale di quello che è l’organizzazione della manutenzione che si sta analizzando e che costituisce il mandato dell’Organizzazione.
  • Le attività in corso che rendono bene l’idea di quello che l’Organizzazione è in questo momento presente.
  • Il compito futuro dell’Organizzazione che si fonda sul mandato – cultura organizzativa – e sul presente – attività in corso – ma che costituisce il tiro che il futuro trasmette all’Organizzazione.

Questa indicazione apparentemente teorica viene esplicitata, ad uso del lettore, in tre casi concreti che faranno venire in mente a chi legge Organiz­zazioni a note. In fig. 3 sono riportati tre “ideal tipi” di Organizzazione relativamente al tema culturale.

L’Organizzazione C orientata al presente, nessu­no si lamenta delle sue performance, ma forse in futuro non esiterà più perché non sta definendo la sua visione e quindi va velocemente verso il nulla poiché tiene anche in poca considerazione quello che è cioè la sua cultura organizzativa.

L’Organizzazione B che guida con lo specchietto retrovisore ancorata più a quello che sapeva fare più che a quello che dovrà fare in futuro.

Infine l’Organizzazione A che considera nel giusto peso la sua cultura organizzativa per non provo­care strappi, che giustamente opera nel presen­te perché e da qui che arriva la concretezza per costruire il futuro, ma che si pone come obiettivo primario quello che sarà in futuro.

Conclusioni

L’aspetto della cultura organizzativa di una Orga­nizzazione è particolarmente importante nella ma­nutenzione degli asset sul lungo periodo ove le ce­sure aziendali (del tipo: dipendenti vecchi e nuovi, impianto X e impianto Y, insourcing e outsourcing) sono quasi infinite e il rischio di subculture non positive è molto alto.

Nel presente lavoro si è analizzato e messo in evi­denza, attraverso un modello esplicativo, il nuovo ruolo del manager di manutenzione liv.3 (vedere UNI EN 15628) quale agente primo del cambia­mento organizzativo e amministratore, non unico, della cultura organizzativa aziendale.

Questo ruolo per come viene praticato per la ge­stione degli asset sul lungo periodo, in generale, dai manager apicali della manutenzione e dai loro primi riporti, non è ancora a tutt’oggi molto com­preso. Questo spazio evolutivo è uno dei più ampi campi di miglioramento della manutenzione nei prossimi anni. Solo con una cultura organizzativa adeguata si può affrontare, infatti, la sfida dei nuovi processi organizzativi per la gestione degli asset sul lungo periodo, delle nuove competenze in ma­nutenzione e dell’applicazione della IoT.

Andrea Bottazzi, Responsabile Manutenzione Automobilistica, Tper spa, Bologna