Saverio Albanese, Corporate Maintenance & Technical Materials Senior Manager di Eni Versalis, è da luglio 2016 il nuovo presidente di A.I.MAN.
Già in precedenza vice presidente della stessa Associazione, è subentrato a Franco Santini.
Ing. Albanese, quali sono le sensazioni per la nomina a questo importante incarico in A.I.MAN. e quali le sue aspettative per il prossimo futuro dell’Associazione?
Ricoprire questo ruolo rappresenta per me un grande onore. Dal 1959 A.I.MAN. rappresenta il fulcro della manutenzione a livello nazionale ed è il punto di riferimento culturale per tutti gli esperti del settore. L’obiettivo della nostra Associazione deve pertanto essere quello di proiettarsi al futuro puntando sempre più alla diffusione e condivisione della cultura e della scienza manutentiva, al fine di valorizzare competenze e professionalità degli stessi manutentori. A.I.MAN. in questo senso ha il compito di farsi garante e promotore del Network e dell’innovazione tra i professionisti del settore.
Quale dev’essere nello specifico il ruolo che la manutenzione è chiamata a ricoprire oggi nelle aziende?
Partiamo dal presupposto che la manutenzione nasce col compito di supervisionare ogni asset aziendale, pianificando e realizzando interventi che abbiano l’obiettivo di garantire il corretto stato di conservazione e funzionamento delle attrezzature, riducendo perciò al minimo i fermi macchina. Questo significa anche che ha un ruolo di garanzia sullo stato di sicurezza dei macchinari, delle attrezzature, dell’ambiente di lavoro, e quindi dei lavoratori stessi. In più, la manutenzione ha l’obbligo di svolgere un’attività di supporto a tutte quelle attività che vengono effettuate direttamente sugli impianti, come la gestione della ricambistica, della formazione degli addetti ecc. Non ultimo la rilevanza che essa ha ai fini del raggiungimento degli obiettivi di business in linea con i criteri di sostenibilità economica, sociale, ambientale e tecnologica. Tutto ciò dà l’idea di quanto essa rappresenti un fattore strategico per l’azienda e di quanto sia fondamentale diffondere questa consapevolezza tra gli operatori.
Quali sono oggi i principali impedimenti che ostacolano il pieno raggiungimento di questa consapevolezza?
Uno dei fattori più comuni è quello che ha visto negli ultimi anni l’attua zione di politiche di risparmio sui costi aziendali, che non di rado hanno coinvolto anche la manutenzione. L’equivoco di fondo deriva dal fatto che essa viene spesso percepita come una voce di costo anziché come investimento a lungo termine. Allo stesso modo, gli effetti negativi di una ridotta attività di manutenzione non si percepiscono nel breve, e questo può favorire nell’immediato ulteriori interventi di riduzione degli investimenti in questo ambito. Si tratta di politiche purtroppo miopi, ma che trovano oggi largo consenso.
Cosa si può fare allora per “invertire la rotta”?
Anzitutto bisogna partire dal ruolo del manutentore, colui che per primo ha il compito di agire cercando di far convergere gli obiettivi di manutenzione con gli obiettivi di business dell’azienda. Solo in questo modo si potrà favorire il diffondersi della consapevolezza che la manutenzione rappresenta, nel concreto, un centro di profitto e non di costo.
Ovviamente il raggiungimento di questo traguardo è reso ancor più difficile dall’ipercompetitività moderna. La parola d’ordine oggi è “flessibilità”, sia nella produzione che, di conseguenza, nelle attività di manutenzione. E questo senza perdere d’occhio i costi. Una sfida sempre più complessa insomma, per cui diventa cruciale garantire la funzionalità e disponibilità dell’asset, alle condizioni richieste.
In questo senso la manutenzione assume il ruolo di “garante” della vita dell’asset stesso: è sempre più comune oggi avere a che fare con impianti e strutture ormai datate, soggette a varie tipologie di usura e deterioramento. In questi casi la manutenzione deve diventare protagonista: per la sua capacità di prevedere il guasto e attuare la strategia di intervento, è l’unica attività in grado di garantire l’integrità dell’asset e di allungare la vita utile dello stesso. Ma la manutenzione è coinvolta in prima linea anche e soprattutto se l’asset è recente. In questo caso è fondamentale impostare una strategia di lungo termine che consideri le conseguenze degli interventi sulla produttività dell’impianto stesso. Per questo motivo altro aspetto fondamentale diventa la flessibilità dei piani di manutenzione, che vanno sempre aggiornati in funzione di un miglioramento continuo dell’asset e in convergenza con i succitati obiettivi di business aziendali, obiettivi legati non solo a garantire un equilibrio di tipo economico ma anche a concetti di sostenibilità di tipo ambientale, tecnologico o anche sociale. Ecco perché la manutenzione è legata a doppio filo a questi indirizzi.
Vista la sua esperienza in Eni, uno storico simbolo dell’industria di processo, ci può fare un quadro specifico della manutenzione in questo settore?
L’industria di processo è un mondo molto ampio, che racchiude le industrie chimiche, petrolchimiche, le raffinerie, le aziende siderurgiche, farmaceutiche, i cementifici, le cartiere, ecc., e altrettanto vari sono gli approcci manutentivi che possono essere utilizzati. In generale, trattandosi di una tipologia di industria che comporta investimenti elevati, richiede per sua stessa natura l’applicazione di interventi di manutenzione su condizione. È perciò fondamentale attuare approcci ispettivi e predittivi che permettano di anticipare quanto prima possibile il verificarsi di un problema e intervenire di conseguenza.
Altra attività fondamentale in quest’ambito è l’intervento di manutenzione preventiva di tipo ciclico, che viene cioé effettuato durante i periodi di fermate programmate. Si tratta di un processo cruciale in quanto tali fermate vengono preparate anche una volta ogni cinque-sei anni e rappresentano l’occasione per intervenire su macchine considerate critiche.
In questo senso la piena efficacia dell’intervento è determinante, perché il sopraggiungere di problematiche su questo tipo di asset potrebbe mettere a rischio la marcia dell’intero impianto.
Da non trascurare poi la manutenzione di tipo migliorativo, una tipologia di intervento che non ha riflessi diretti sul valore patrimoniale dell’asset, ma mira a migliorare la manutenibilità e l’ispezionabilità, grazie a interventi che ne facilitano le attività di ispezione e l’accessibilità durante gli interventi manutentivi. Questo ovviamente si riflette positivamente sulla disponibilità e affidabilità del macchinario, grazie al fatto che favorisce l’abbattimento del MTTR, e permette inoltre l’applicazione di tecniche di manutenzione su condizione.
Questo ventaglio di politiche manutentive può ritenersi il migliore applicabile oggi oppure ogni settore, avendo specificità diverse, ha esigenze diverse anche dal punto di vista manutentivo?
Paradossalmente vi sono dei contesti in cui anche le politiche di manutenzione a guasto possono essere indicate. Questo perché non esiste la strategia di manutenzione universale ma ogni asset ha una sua strategia di manutenzione ideale. Per individuarla, è fondamentale riuscire a procedere secondo un criterio di valutazione che metta a fuoco tutti gli aspetti: da quelli economici a quelli ambientali, da quelli riguardanti la sicurezza dei lavoratori alla loro salute ecc. (questi ultimi specialmente in contesti ad alto rischio di incidente rilevante come le industrie chimiche e petrolchimiche).
Ecco perché è necessario approcciarsi al problema senza alcun pregiudizio: così come nessuna tipologia di intervento manutentivo va esclusa a priori, allo stesso modo nessuna va messa in cima al podio senza prima aver valutato la specificità del contesto nel quale la si vuole applicare.
Ciò non significa però che non esistano dei modelli cui è sempre bene guardare con attenzione: per esempio il concetto di automanutenzione – sviluppato all’interno della TPM nel programma di World Class Manufacturing introdotto da Toyota circa sessant’anni fa – prevede, tra l’altro, il coinvolgimento del gestore dell’impianto in alcune attività di manutenzione, di diagnostica e di raccolta dati. Un processo questo che mira a responsabilizzare tutti gli operatori che hanno a che fare con l’asset, non limitando così gli interventi ai soli addetti alla manutenzione, laddove possibile. Questo approccio significa maggiore efficienza, più prevenzione, e miglioramento continuo.
Ulteriore approccio da tenere in considerazione è quello che riguarda la manutenzione “opportunistica”. Con ciò si intende la possibilità di sfruttare le fermate improvvise per svolgere attività di manutenzione, magari anticipando gli interventi già programmati (eventualmente non solo relativi alla manutenzione ma anche all’esercizio). In ogni caso, senza un perfetto coordinamento e una perfetta capacità di organizzazione, questa tipologia di intervento non sarebbe comunque possibile. Il presupposto principale è quindi anzitutto la giusta cooperazione da parte degli operatori.
Oggi il tema della digitalizzazione e dell’Industry 4.0 sta entrando prepotentemente nella quotidianità delle aziende. Come sta cambiando e come cambierà l’industria, e di conseguenza la manutenzione, con questi nuovi strumenti a disposizione?
La digitalizzazione è un processo avviato ormai da tanti anni. Quello che è cambiato in tempi ancor più recenti è però l’accessibilità di queste tecnologie, che sono ora più facilmente fruibili grazie all’abbattimento dei costi. Ciò metterà a disposizione - e anzi lo sta già facendo - un mondo di opportunità e soluzioni per chi sarà in grado di sfruttarle, riflettendosi inevitabilmente anche sulle strategie di manutenzione. È incredibile ripensare oggi a come si vivevano le attività di manutenzione agli inizi della mia vita lavorativa, quando gli operatori più anziani dichiaravano di “ascoltare” le macchine e intervenire a seconda di quello che percepivano a orecchio, cercando cioè di interpretare il guasto semplicemente sentendo da vicino il rumore di funzionamento della macchina stessa. Eppure questo scenario non è così diverso dal futuro che ci attende: con la digitalizzazione avanzata le macchine “ci parleranno” direttamente e in maniera oggettiva, rendendoci consapevoli della loro condizione in tempo reale e suggerendoci il migliore intervento manutentivo da mettere in atto.
Tutto questo processo passa ovviamente dal nuovo concetto di Internet of Things, che prevede la possibilità di creare un vero e proprio “Network di macchine”, dotate di microprocessori che consentiranno alle stesse macchine di essere “messe online” tramite la rete informatica aziendale e saranno in grado di condividere in tempo reale tutte le informazioni che le riguardano. Tali informazioni saranno costituite da enormi quantità di dati (i cosiddetti Big Data), nell’ordine degli Yottabyte (uno Yottabyte corrisponde a un milione di milardi di Gigabyte). La sfida sarà pertanto poi quella di riuscire a interpretare e rielaborare questi dati strutturati e non strutturati, che attraverso veri e propri sistemi di intelligenza artificiale basati sulle reti neurali dovranno essere decodificati e resi disponibili per permettere di prendere delle decisioni. Si può immaginare facilmente quanto un modello di questo tipo possa significare in termini di manutenzione prognostica, favorendo livelli di predittività ben superiori a quelli odierni.
Ciò comporterà in definitiva anche un cambiamento nella tipologia di professionalità che verranno richieste nel settore?
Certamente le conoscenze informatiche si riveleranno sempre più necessarie nella fase di gestione dell’analisi dei dati e di programmazione delle macchine. Da questo punto di vista le figure di tipo ingegneristico implementate dovranno perciò essere dotate di tali competenze. Anche perché si opererà sulle macchine sempre più da remoto e con strumenti sempre più sofisticati (realtà aumentata). Ciò permetterà infine alla manutenzione di assumere ancor più un ruolo di protagonista nel processo di valorizzazione degli Asset e nel raggiungimento degli obiettivi di business aziendali prefissati.