Nel panorama scientifico internazionale che affronta le tematiche dello smart manufacturing e dell’industria 4.0, la manutenzione si rivela un ambito applicativo esemplare: si menziona l’additive manufacturing per la produzione dei ricambi, l’augmented reality a supporto del training e della diagnostica, ma il vero centro dell’interesse è indubbiamente la manutenzione su condizione (CBM) e predittiva (PrM), che anche dai manager italiani è percepita, per citare un intervento del professor Macchi, “come una leva a tutto tondo per migliorare le operations di un impianto industriale”.
Parto idealmente dai suoi editoriali e dall’illuminante approfondimento su CBM e PrM del professor Caputo, la cui pubblicazione seriale su questa rivista si è appena conclusa, per riflettere su come, nell’ultimo decennio, ricercatori a livello internazionale hanno preso coscienza delle problematiche pratiche e dello sforzo di adattamento alla realtà richiesto per arrivare a introdurre con la massima efficacia ed efficienza nei sistemi produttivi nuovi paradigmi e nuove tecnologie, che per anni erano rimasti a livello di modello matematico, proof of concept o comunque erano state applicate in ambiti settoriali ristretti.
Con uno sguardo a studi recenti, quali sono dunque le criticità e le sfide da tenere presenti e da affrontare perché la manutenzione basata su condizione o predittiva possa essere realizzata con successo in un contesto produttivo basato sui pilastri dell’industria 4.0? Ne sintetizzo di seguito sei.
- Non ci sono pasti gratis. È vero che l’attesa quarta rivoluzione industriale prende le mosse da una estrema facilità di accesso alle tecnologie ICT e da una riduzione apparentemente perpetua dei costi a parità di capacità computazionali. Tuttavia, sensori, software, sistemi di elaborazione hanno un costo di investimento significativo. Una valutazione economica basata sui dati storici disponibili e su un modello di costo completo è dunque indispensabile. Di solito CBM e PrM vengono prese in considerazione da aziende che hanno sperimentato perdite significative per mancata produzione a causa di guasti inattesi. Tuttavia, queste strategie sono di successo solo se risultano convenienti non solo rispetto alla manutenzione reattiva, ma anche rispetto ai tradizionali piani di manutenzione preventiva, indubbiamente più semplici da attuare e quindi da prendere in considerazione per primi, in sistemi soggetti a usura o nella fase finale della loro vita utile che siano – ancora – oggetto di manutenzione reattiva. I modelli di confronto economico apparsi negli ultimi anni vanno in questa direzione.
- Nessuno ha la sfera di cristallo. Per sorprendenti che siano le prestazioni della sensoristica, della data fusion e del machine learning, il tasso di guasto futuro dei componenti, e tanto più di macchine e impianti, sarà sempre una variabile aleatoria e l’informazione sul livello di danneggiamento effettivo resterà sempre imperfetta. Un sistema ideale di manutenzione predittiva dovrebbe consentire di realizzare l’intervento immediatamente prima del guasto. Tuttavia, se il processo di deterioramento non è graduale ma ha delle grandi discontinuità può accadere spesso che il guasto si verifichi molto prima del previsto, portando a sostenere i costi e i disagi di una manutenzione reattiva. In effetti, una grande variabilità del tasso di guasto attorno al suo valore medio riduce sia la convenienza della manutenzione su condizione che della manutenzione preventiva tradizionale rispetto alla manutenzione reattiva. Gli errori di misura, per di più, diminuiscono il valore predittivo dell’informazione ottenuta tramite il condition monitoring, riducendo il vantaggio economico rispetto alla manutenzione preventiva periodica fino ad azzerarlo, se l’accuratezza degli strumenti è troppo scarsa.
- Esistono i falsi positivi e i falsi negativi. Questo concetto ci è ormai fin troppo familiare. Per accurate che siano le misure e regolare che sia il processo, operando su condizione bisognerà fissare una soglia di allarme oltre la quale scatta l’intervento. Intervento che, in un sistema cyber-fisico, si può anche decidere sia attivabile in maniera decentrata e autonoma da una macchina o sottosistema. Un cut off troppo basso renderà il sistema di monitoraggio, previsione e decisione molto sensibile, ma poco specifico, con molti falsi positivi e interventi preventivi inutili. Viceversa, per un cut off troppo alto saranno tanti i falsi negativi e troppo numerosi gli interventi a guasto.
- Dimmi quando (quando, quando) si effettuerà l’intervento preventivo una volta che si è raggiunto il valore soglia. Idealmente (per il tecnico) subito, ma se si dovessero sempre mantenere tutte le risorse (personale, ricambi) immediatamente a disposizione i costi di sovracapacità sarebbero troppo alti, e se si dovesse interrompere la produzione istantaneamente ogni volta che c’è un allarme, i costi di mancata produzione sarebbero equivalenti a quelli dell’intervento a guasto. Idealmente (per la produzione) alla prima fermata programmata, che magari è un fermo impianto a data costante, comune per tutto l’equipment. È chiaro che in questo secondo caso il vantaggio del condition monitoring può vanificarsi, a meno che il sistema predittivo non sia in grado di anticipare il guasto con un orizzonte temporale molto lungo (il che, però, ci riporta al punto 2 – sfera di cristallo). Recenti modelli di valutazione economica delle diverse strategie di manutenzione degli asset cercano di tenere in considerazione questa realtà introducendo un delay, un tempo fisso di pianificazione dell’intervento, e ricalcolando di conseguenza le soglie di allarme ottimali. Come è ragionevole attendersi, più lungo è questo tempo d’attesa, più bassa dovrà essere la soglia d’allarme e, quindi (vedi punto 3) minore sarà la competitività della manutenzione su condizione rispetto alla manutenzione ciclica.
- La special relationship tra produzione e manutenzione. Dal punto precedente discende come la fattibilità e il successo di strategie manutentive 4.0 siano legati alle relazioni tra produzione e manutenzione. Le equazioni e i modelli usati per ottimizzare le politiche di manutenzione, definendo gli intervalli di ispezione o di manutenzione preventiva ciclica o le soglie di allarme nella manutenzione su condizione, normalmente minimizzano il life cycle cost degli asset, un valore atteso a cui concorrono i costi stimati degli interventi a guasto e programmati. Se l’asset non fosse un impianto produttivo, la considerazione di questi soli elementi basterebbe a identificare quello che potremmo definire un punto di ottimo tecnico delle politiche di manutenzione. Se si tratta di un asset produttivo, ovvero un bene il cui funzionamento concorre direttamente a generare un fatturato, il modello di total cost of ownership incorpora la relazione tra tempi di manutenzione e tempi di produzione con la voce “costo del downtime” o “costo di mancata produzione”, correttamente sempre in una prospettiva di lungo periodo. Il punto di vista di lungo periodo dell’asset management si deve però confrontare con la realtà di produzione, ovvero con il fatto che il lungo periodo è il risultato della stratificazione nel tempo di quanto accade nel periodo medio-breve. Considerare nei modelli di lungo periodo l’orizzonte di pianificazione, il delay di cui al precedente punto 4, è un modo per avvicinarsi alla realtà e alle problematiche del breve periodo, che nelle operations quotidiane prevalgono sugli obiettivi di lungo periodo.
La realtà quotidiana delle operations è quella dello scheduling di produzione e di manutenzione. E se la letteratura scientifica a volte precorre la realtà dell’industria e dei sistemi informativi aziendali, altre la segue, è significativo osservare che, salvo pionieristiche eccezioni, fino ai primi anni 2000 la ricerca nello scheduling di produzione assumeva che le macchine fossero disponibili con continuità sempre, per tutta la durata del periodo di schedulazione. In altri termini, lo scheduling riguardava l’orizzonte tra una manutenzione ciclica e l’altra, e nel mezzo non vi era, in teoria, spazio – o tempo – per fermi. Al verificarsi del fermo si reagiva con il ricalcolo e la rischedulazione. Il passo successivo della ricerca nello scheduling di produzione è stata l’introduzione di vincoli forti e fissi di disponibilità degli asset. Nell’evoluzione dei modelli presentati in letteratura, i periodi di indisponibilità sono stati dapprima fissi e deterministici (tipici della manutenzione preventiva ciclica), poi fissi e stocastici (a simulare anche il guasto): in questi modelli la manutenzione dà il vincolo, la produzione adegua lo scheduling. In brevissimo tempo, nei primi anni duemila, i modelli di scheduling sono cambiati ancora, orientandosi alla collaborazione tra manutenzione e produzione e proponendo una pianificazione congiunta di produzione e manutenzione in cui le date di inizio e fine degli interventi di manutenzione programmata sono – entro certi limiti – modificabili. Si arriva così alle sfide che pone l’industria 4.0: l’integrazione della manutenzione predittiva nella programmazione collaborativa di produzione, manutenzione, allocazione delle risorse e acquisizione dei ricambi, nonché il decentramento di questa programmazione. Ricordiamo che un elemento di competitività proprio dei sistemi cyber-fisici è la possibilità che i singoli componenti fisici decentrati supportino, o addirittura attuino, decisioni in maniera autonoma e dinamica, così da far fronte a carichi produttivi molto variabili in orizzonti temporali brevissimi. I modelli per lo scheduling decentrato incentrati sulla negoziazione, come i sistemi multi-agente, presenti da anni in letteratura, devono trovare il loro naturale campo di applicazione sia nella programmazione decentrata della produzione che nella programmazione decentrata della manutenzione e nell’allocazione delle relative risorse (personale, materiali, strumenti, ricambi).
- Shared intelligence. Abbiamo evidenziato opportunità e vincoli pratici, ma parlando di modelli di valutazione economica e di scheduling restiamo ancora nel campo della teoria finché non popoliamo questi modelli con numeri veri. In questo senso, il problema della qualità e della reperibilità dei dati è sicuramente il più citato come ragione dell’insuccesso di modelli predittivi avanzati. Questo non tanto perché, fin dall’invenzione del computer, il dato è il capro espiatorio più facile da trovare per giustificare l’eventuale fallimento di machines e automazioni più o meno avanzate (cercate Garbage In Garbage Out sul vostro motore di ricerca preferito per rendervene conto), ma perché questa breve riflessione sulle sfide della manutenzione su condizione e predittiva ci mostra come essa possa esser soggetta a un circolo vizioso di dati: abbiamo visto che sistemi sofisticati di acquisizione ed elaborazione dei segnali possono prevenire gravi perdite, ma costano e possono sbagliare; l’utilizzatore e chi lo supporta hanno bisogno di dati per sapere se quell’investimento è adatto al proprio contesto, ma finché il sensore non è in opera molti dati non ci sono ancora, né si sa esattamente quanto il sensore sarà preciso e accurato nel raccoglierli. Anche per supplire a questa carenza, riducendo almeno in parte l’incertezza per gli investitori, ha di nuovo un ruolo fondamentale una relazione collaborativa tra produzione e manutenzione. Essa consente di integrare dati sulle ore di attività, i fermi, le quantità prodotte e la loro qualità, registrati dai pacchetti di Manufacturing Operations Management, con i dati sulla storia manutentiva degli asset, che vengono archiviati nei CMMS soprattutto per attestare l’attività svolta, specie in relazione agli obblighi di ispezione e prevenzione, ma vengono più raramente elaborati e usati a supporto del budgeting o della pianificazione. Dunque come la collaborazione nelle attività di intelligence è stata la pietra miliare della partnership tra Stati Uniti e Regno Unito, denominata “special relationship” da Churchill nel 1946, così la raccolta, il mantenimento e l’analisi dei dati operativi di funzionamento degli impianti in maniera integrata e congiunta è fondamentale per supportare non solo le valutazioni economiche di lungo periodo, ma anche la progettazione dei sistemi di condition monitoring e ancor di più di predizione della remaining useful life, la definizione e implementazione delle strategie di manutenzione, nonché il controllo della loro efficacia per la continuità della produzione.
Concludendo, anche se vi sono asimmetrie nei rapporti di forza, anche dove nascono tensioni derivanti dalla necessità di affrontare, nel brevissimo periodo, le oscillazioni di una domanda mutevole e, nel lungo periodo, l’imprevedibilità e l’entità del costo di fattori (l’energia è solo un esempio) il cui andamento storico diventa privo di valore informativo, per il successo in un contesto 4.0 l’alleanza tra ingegneria di produzione e di manutenzione è una special relationship indispensabile. Essa è fatta di un linguaggio comune, di condivisione di pratiche di lavoro e, soprattutto, del perseguimento di un interesse comune, quello del mantenimento della capacità produttiva e della sua competitività, su cui si basa la sopravvivenza delle aziende manifatturiere e, in ultima analisi, dell’intero sistema economico nazionale.
Damiana Chinese, professoressa associata in Impianti Industriali Meccanici, Dipartimento Politecnico di Ingegneria e Architettura, Università di Udine