Lo stato di fatto
Tutto ciò che è costituto di materia, biologicamente attiva oppure no, deve fare i conti con processi di degrado di vario genere, che corrompono l’aggregato di materia, come un bene strumentale, sino a ridurlo col tempo, ai suoi costituenti elementari; ciò ne compromette immancabilmente la funzione per cui è stato costruito. Alla luce di questa semplice, addirittura banale constatazione, si potrebbe supporre l'esistenza di una "forza del caos" che aggredisce ciò che l'uomo, scientemente e con sforzi intensi, si cimenta a realizzare. Questo processo di degradazione dei prodotti artificiali avviene a vari stadi profondità, obbedendo a leggi fisiche e chimiche affatto identiche a quelle che i costruttori hanno utilizzato per realizzare l'oggetto stesso soggetto al degrado.
L'azione continua e inesorabile di questa "forza del caos" agisce su strade, palazzi, automobili, computer, reti elettriche e non risparmia certamente gli impianti industriali. Poniamo ora l'attenzione proprio su questi ultimi per analizzarne gli effetti che subiscono dal degrado e le conseguenti propagazioni all'intero sistema socio-economico.
Un impianto industriale è un aggregato organico di molteplici oggetti, le macchine, a loro volta costituite da una vastità di componenti, la cui reciproca interazione determina il funzionamento del sistema, secondo le logiche per cui è stato concepito, progettato e costruito. E' facile rendersi conto che il metallo di cui sono costituiti alcuni componenti, è soggetto a deformarsi, arrugginirsi, alterarsi nella sua struttura interna; i componenti plastici perdono le loro proprietà meccaniche sotto l'effetto di luce e calore; i semiconduttori dei componenti elettronici subiscono alterazioni di drogaggio; la fibra ottica si opacizza; l'elencazione potrebbe continuare pressoché all'infinito. Accanto a tale processo fisico-chimico di degrado, ne agisce un altro, a carico delle connessioni tra i componenti; basti pensare alle vibrazioni che provocano allentamento delle viti di collegamento, alle saldature che s'infragiliscono sino a rompersi, ai morsetti elettrici che, ossidandosi, ostacolano il passaggio della corrente elettrica. L'effetto di questi fenomeni si estrinseca nella perdita totale o parziale del funzionamento dell'impianto industriale; in altre parole si verifica un anomalia di funzionamento o addirittura un guasto!
Il rimedio
La ricerca di un rimedio da opporre a quanto sopra descritto, si perde nella notte dei tempi, ossia sin da quando l'uomo fa uso di ausili strumentali, cioè sin da quando l'uomo può definirsi tale. Il rimedio consiste nel ripristino delle condizioni originali del sistema, rimuovendo il degrado occorso; si avvia così un alternarsi di successivi guasti e riparazioni che termina quando l'operatività dell'impianto stesso non è più d'interesse, oppure non è più economicamente proficua.
Il susseguirsi delle suddette azioni di rimedio sono la ragion d'essere della manutenzione. L'alternativa di questo ciclo perpetuo di guasti e riparazioni sarebbe evitabile se fossimo capaci di realizzare la “macchina priva di guasti”; attenzione, per dirla in inglese: "failure free", da non confondere con la "trouble free" che, per quanto detto, parrebbe proprio essere una chimera. Con la manutenzione non ci resta che convivere!
La manutenzione: male ineluttabile o opportunità da sfruttare?
Beh! La risposta mi sembra chiara: male ineluttabile. Così verrebbe spontaneamente da dire sulla base delle precedenti considerazioni. Del resto chi mai costruirebbe un qualsiasi bene per il solo fine che sia da mantenere; un bene deve svolgere una funzione principale, quella per cui lo si acquista, tocca poi al sistema di supporto (la manutenzione) occuparsi della sua funzionalità nel tempo.
L’abitudine di pensare alla manutenzione in questo modo è così profondamente radicato che non solleva dubbi alla nostra mente. Proviamo invece ora a compiere uno sforzo mentale: non diamo per scontato un siffatto concetto di manutenzione e vediamo cosa succede.
Fissiamo il nostro pensiero su una macchina qualsiasi che si trova nei nostri reparti produttivi, oppure nelle nostre flotte logistiche; la sua utilità potrebbe essere diversamente ponderata a seconda dei punti di vista, chi la compra ovviamente ha fatto i conti sulla convenienza dell’acquisto prima di ordinarla al costruttore. A nessuno però verrebbe in mente di considerare la progettazione, costruzione e montaggio della macchina in questione, un male ineluttabile; eppure a noi serve la funzione che la macchina compie, doverla progettare, costruire e montare è un fardello che si porta appresso, ma di cui faremmo volentieri a meno. Bene, quando parliamo di acquisto di un mezzo di lavoro diciamo che compiamo un investimento, mentre quanto operiamo un intervento manutentivo sullo stesso, non importa se preventivo o correttivo, diciamo che subiamo un costo. Parliamo quindi nell’un caso d’investimento, mentre nell’altro di costo!
Credo che dietro questo modo diffuso di pensare ci sia l’assunzione indebita che la macchina sia realizzata adamantina, inattaccabile dalla corruzione del tempo; salvo che, nel corso della sua esistenza, a causa di qualche misterioso agente malefico, cade ahimè vittima anch’essa di ciò che ben sappiamo. Allora tocca alla manutenzione porvi rimedio, drenando ricchezza dal portafogli dell’azienda cui il bene appartiene.
Immagino quanto diverso sarebbe pensare che nessun mezzo di lavoro, sin da nuovo, sia immune dall’attacco del tempo e che, congiuntamente alla sua progettazione, occorra progettare anche la manutenzione più idonea a conservarne le prestazioni e l’integrità, almeno per un arco di tempo prestabilito, chiamato vita utile.
A tal proposito desidero mettere in luce che, un mezzo di lavoro opportunamente mantenuto, ha produttività più elevata di un altro che non lo sia, tale differenza di produttività può evitare l’acquisto di un mezzo ulteriore. Dunque una buona manutenzione si pone in alternativa all’acquisto di mezzi di lavoro in più.
Nelle nostre industrie non è purtroppo comune vedere una manutenzione efficace ed efficiente, tesa ad assicurare continuità di funzionamento degli impianti. Quando si chiede ai manutentori, dai manager agli operativi la ragione di ciò, si sentono sempre le solite nenie: personale insufficiente, budget carente, macchine sempre impegnate a produrre, pertanto non disponibili a ricevere l’intervento manutentivo preventivo.
A ben pensarci la manutenzione è diventata, negli anni recenti, una disciplina di tutto rispetto, forte di un’immensa casistica esperienziale e di un oltremodo robusto supporto teorico; vi sono corsi di formazione d’ogni tipo: tecnico, gestionale, relazionale; s’insegna all’università ed esistono finanche master universitari di secondo livello (frequentabili unicamente dopo aver conseguito la laurea magistrale). Non si può dire allora che essa sia la cenerentola tra le funzioni aziendali. Come mai dunque la cultura manutentiva non è sufficientemente elevata nelle aziende? Dopo decenni di diffusione della cultura manutentiva nelle aziende, grazie anche a finanziamenti pubblici, parrebbe che nel nostro paese vi sia ormai un buon numero di manutentori di alto livello, tanto sul piano tecnico che su quello gestionale; inoltre non mancano società terze in grado di fornire supporti specifici per tecniche particolari o aspetti gestionali delicati. Eppure si fatica parecchio ad implementare una manutenzione predittiva al passo coi tempi, anche in aziende con macchinari altamente tecnologici.
Il panorama di politiche manutentive (TPM, RCM) e di tecniche operative (termografia, vibrazionale, tecniche non distruttive) è vastissimo e consolidato, ma evidentemente qualcosa non convince le aziende a puntare sulla manutenzione, a investire in essa e non a subirne i costi. Di cosa si tratta? Provo ad avanzare un paio d’ipotesi.
Prima ipotesi: costi certi – benefici incerti
Realizzare un programma di manutenzione preventiva, sia programmata che preventiva, comporta un costo certo: fermo macchina, manodopera, ricambi, prestazioni esterne, noli; costo che si sostiene per prevenire un guasto di cui non si ha certezza dell’accadimento e tantomeno del momento in cui esso dovrebbe avvenire. Da qui la tentazione di dilazionare le tempistiche del programma preventivo; “tanto funziona ancora”! Un siffatto modo di pensare e di agire porta inevitabilmente a sottovalutare viepiù il rigore con cui trattare gli interveti preventivati.
Seconda ipotesi: falsa percezione del danno dovuto al guasto
Quando si domanda in azienda a proposito di un dato mezzo di lavoro: “quanto perde (di fatturato o di margine operativo) l’azienda per ora di fermata del mezzo?” Le risposte sono di solito: “dipende dal momento, dipende dal prodotto in lavorazione, dipende dal mercato, non lo so, ecc.”); tutte affermazioni condivisibili, ma di fatto, non sono risposte, non si sa quanto grave sia per l’azienda un’ora di macchina ferma. Ne deriva che il guasto e quindi la manutenzione, non è ponderato nella sua completezza, ci si limita a computare i costi attribuibili all’intervento manutentivo riparatore e non a quello di mancato fatturato o di maggior costo di produzione per recuperare (magari in straordinario) il fatturato perso.
L’incertezza acclamata dell’accadimento del guasto, ancorché falsa giustificazione, associata molto spesso alla scarsa valutazione della sua importanza, non incoraggia di certo l’investimento in manutenzione.
Physical asset management e Industry 4.0, un vento nuovo?
E’ quindi necessario far accettare i concetti di vita utile (nelle previste e prescritte condizioni d’uso) e costo del ciclo di vita per un nuovo e concreto approccio al processo manutentivo.
Dal mondo anglosassone è giunto anche da noi, non da tanto tempo, il Physical Asset Management, una disciplina che unisce aspetti economici e manutentivi dell’asset, cioè della macchina nel nostro caso. Esso insiste proprio sulla conoscenza e gestione ottimale di quanto esposto nelle precedenti due ipotesi; ciò lascia ben sperare nel superamento dell’attuale stato in cui versa la manutenzione, a vantaggio di una sua più proficua comprensione.
Un apporto di buon auspicio alla manutenzione del futuro prossimo deriva dall’Industry 4.0: col suo approccio sistematico alla raccolta ed elaborazione dei dati riguardanti i processi industriali, dovrebbe concorrere a dissolvere la carente valutazione del danno prodotto dal guasto. Al tempo stesso disporre di maggiori informazioni dello stato di funzionamento dei macchinari aiuta certamente a prevederne la transizione verso lo stato di guasto con congruo anticipo e precisione.
La spinta verso la “manutenzione 4.0”, che deriva dalle nuove impostazioni della Industry 4.0, potrà contribuire in modo decisivo a far comprendere il fondamentale ruolo positivo della manutenzione.
Graziano Perotti
Referente Macro Area “Competenze in Manutenzione” Comitato Tecnico Scientifico Manutenzione T&M