Il titolo è ispirato ad una delle vision proposte per la Manutenzione del Futuro durante la ricerca dell’Osservatorio TeSeM (Tecnologie e Servizi per la Manutenzione) della School of Management del Politecnico di Milano, di cui sono responsabile scientifico, conclusasi agli inizi del 2018. Nella ricerca, la vision di manutenzione centrata sull’uomo (human centered maintenance) era agli inizi pensata, con i ricercatori che ci lavoravano, come modo pratico per poter ragionare sull’impatto dell’Industria 4.0 nel sistema manutentivo di una azienda. In seguito, mi sono reso conto che l’espressione poteva ispirare molte riflessioni portate in altre iniziative o comunicazioni successive, compreso alcuni articoli pubblicati in questa rivista. In questo editoriale, voglio tornare sul tema, tenendo l’Industria 4.0 in secondo piano, come bagaglio di “strumenti” tra i vari, per innovare la manutenzione.
Diverse ragioni sono alla base dell’evoluzione dell’organizzazione manutentiva – compreso Industria 4.0 –, ciò che porta, di tanto in tanto, ad un ripensamento dei modelli organizzativi fondanti per la gestione della manutenzione. Oggigiorno, stiamo vivendo un chiaro momento storico di cambiamento rapido, con le nuove opportunità e sfide sempre più nei pensieri di chi gestisce l’attività industriale. D’altronde, il momento storico è frutto dell’evoluzione stessa che si è osservata in passato, in diversi ambiti disciplinari. Filosoficamente parlando, posso pensare, per evocazione, al proverbiale Panta Rhei (tutto scorre, nulla permane) di Eraclito. L’altrettanto nota citazione eraclitea del “Non potrai bagnarti due volte nelle acque dello stesso fiume” ricorda che il mondo è connaturato di un processo di trasformazione nel quale l’uomo vive in un continuo movimento, che è appunto il divenire, ragione del vero essere.
Questa licenza filosofica mi permette di sottolineare un concetto del vivere manutentivo. Per mia personale sensibilità, prima di un qualunque studio che può supportarne le convinzioni, credo nell’Uomo di manutenzione, al centro di questo mondo in evoluzione. Ci credo molto, perché, anzitutto, l’Uomo di manutenzione è ricco di esperienze, competenze e conoscenze e, ultimo ma non meno importante, di passione per il lavoro svolto, che è poi spesso una ragione determinante per molti comportamenti nell’organizzazione. A volte, si può percepire la conflittualità: perché è facile notare ambienti in cui l’Uomo di manutenzione non trova un riscontro, non solamente pecuniario, a ruolo e funzionalità della sua attività preventiva, ciò che lo porta (a mio parere) a proteggere – per reazione – il perimetro esistenziale in azienda. Altre volte, l’Uomo di manutenzione emerge come uno tra i motori che contribuiscono alla crescita organica del corpo di un’organizzazione aziendale che crede in tutte le sue componenti per la generazione di valore (ndr, generazione dal valore dagli asset, come sappiamo da ISO 55000).
Ricordo alcune parole di Adolfo Arata, professore ordinario cileno, e caro amico conosciuto nel percorso di crescita verso l’asset management. Riporto un virgolettato dei suoi pensieri, in base alla mia memoria: “l’Uomo di manutenzione sa molto, perché deve essere onnivoro di informazioni e di conoscenze, per necessità di ruolo; deve saper rispondere ai problemi più diversi che nascono da tante altre funzioni, e deve essere pronto in vari modi, cercando di avere il più possibile le informazioni e le conoscenze giuste per gestire bene l’asset”. Ho parafrasato qualche pensiero di Adolfo (e forse di altri amici nel mondo manutentivo), anche semplificando un discorso più ampio, ma non credo di essere stato tanto lontano da quanto ho sentito dalla sua bocca anche in occasione di un paio di eventi, qui in Italia.
Francesco Cominoli, una vita in manutenzione e, per i miei ricordi personali, nell’ingegneria di manutenzione, ricordava anche la passione del manutentore in una frase pregnante: “per fare il manutentore, ci si deve nascere”. Sottintendeva (forse lo diceva anche), con una fine ironia, che il manutentore nasce anche “sapendo di voler soffrire” … E il “voler soffrire” non è necessariamente frutto di un pensiero negativo. Al contrario, se l’Uomo di manutenzione è fornito dei “giusti” strumenti tecnici ed organizzativi, (lo dico io, ma probabilmente lo pensa anche Francesco) darebbe l’anima, perché è consapepersonale, per il processo industriale e per l’azienda. Questa è una caratteristica sostanziale che vedo spesso nelle stimmate dell’Uomo di manutenzione (licenza letteraria, “impronta lasciata da fatti ed eventi tali da segnare profondamente”).
Per questa ragione, mi sento di affermare, con assoluta certezza, che nulla può realmente impressionare l’Uomo di manutenzione. Sarà capace di affrontare le sfide dell’evoluzione dei paradigmi produttivi (da mass production a mass customization sino a personalized production), cogliere le opportunità dello sviluppo dei sistemi integrati ed intelligenti spinti dall’Industria 4.0, e del potenziale sviluppo organizzativo dovuto al pensiero “sistemico” del ciclo di vita dell’asset (asset lifecycle management). Anche se non può impressionarsi, deve, nel contempo, essere preparato al cambiamento: le competenze devono evolvere, per un naturale adeguamento del job ricoperto in azienda, e il ruolo va mutando naturalmente, anche per quanto riguarda attitudine e comportamenti necessari, per garantire la leadership di determinati processi.
Quali sono i precursori dell’evoluzione dei prossimi anni? Con vista panoramica, mi sento di sottolineare alcuni fattori essenziali nell’impronta della conoscenza collettiva degli uomini di manutenzione (di coloro che hanno sviluppato esperienze via via più mature in una crescita organica all’interno di un’azienda):
le tecniche produttive giapponesi e, quindi, la manutenzione produttiva (Total Productive Maintenance), base del cambiamento nei modelli organizzativi e nella cultura industriale;
modelli organizzativi centrati sulla gestione per processi, la focalizzazione su core-competence, e la capacità di sviluppare una “rete” di risorse interne/esterne all’azienda.
Oggi più che mai, la dimensione di “rete” è nel target del cambiamento, e porta la potenzialità di maggior quantità e qualità di informazioni e conoscenze per gestire la dinamica del day by day…. Torniamo a riconoscere l’essenza eraclitea, nel divenire “fluido” del manutentore del giorno d’oggi. Ancora evocando una metafora della sua filosofia, direi che bisogna alimentare la fiamma, con combustibile che brucia, mantenendo la fiamma ben viva. Nel combustibile c’è anche l’Uomo di manutenzione. Per garantirne il miglior rendimento, bisogna creare le “giuste” condizioni – nell’ambiente tecnologico-organizzativo – perché la passione dell’Uomo di manutenzione concorra ad alimentare un fuoco vivido.
Prof. Marco Macchi, Direttore Manutenzione T&M