In questo articolo riprendiamo le tematiche presentate durante il Webinar dello scorso 17 giugno quando, durante “Il Mese della Manutenzione – Giugno 2021”, Festo Consulting & Training, in occasione della 19a edizione di MaintenanceStories, ha organizzato un Discussion Panel dal titolo “L’utilizzo di TPM e WCM in due aziende dell’alimentare e dell’automotive”. Con la moderazione di Vittorio Pavone – (Responsabile Training Area Manutenzione di Festo Academy) e Francesco Gittarelli (Direttore del Master Manutenzione e Gestione degli Asset di Festo Academy), sono intervenuti Raffaele Chiovelli, Operations Manager del sito di Liscate di Delifrance, e Giovanni Tullio, Continuous Improvement Senior Manager di Cooper Standard Automotive a Battipaglia.
- Francesco Gittarelli/Vittorio Pavone: Perché un dibattito su TPM e WCM? In questa tavola rotonda, l’intento è stato di mettere a confronto esperienze diverse su due metodologie che vanno per la maggiore all’interno dei processi di manutenzione. Tra le due testimonianze, Delifrance è più vicina a un approccio tipicamente TPM, mentre Cooper Standard Automotive lo è più al WCM. Da questo confronto auspichiamo possa emergere la possibilità di capire quali sono i benefici di una e dell’altra metodologia, oltre, ovviamente, a quali sono le differenze tra questi due approcci. Tutto questo attraverso il racconto dei nostri ospiti.
- Francesco Gittarelli: In che modo la manutenzione e le competenze a essa correlate possono diventare un fattore competitivo per un’impresa?
- Raffaele Chiovelli: Sono in Delifrance da due anni con il ruolo di Operations Manager, un ruolo chiave per un’azienda multinazionale che si è voluta avvicinare al miglioramento e all’ottimizzazione di tutto il processo produttivo. Un’azienda alimentare presente sul mercato della GDO e dell’HORECA, fortemente concorrenziale, che deve sempre cercare, anche agli occhi del cliente, il miglioramento continuo a livello qualitativo. Per questo la mia posizione deve essere di integrazione fra il mondo della produzione e quello della manutenzione, contesti che prima erano ritenuti distanti. Il mio percorso è legato all’approccio Toyota, ovvero quello della semplificazione dei processi e dell’attacco allo spreco, in cui manutenzione e produzione viaggiano di pari passo, con la manutenzione vista quasi come fornitore della produzione e della Qualità Totale del prodotto. In questi due anni abbiamo attivato un percorso tra manutenzione e produzione con l’obiettivo di migliorare i KPI aziendali: la produzione è diventata davvero “il cliente” e la guida verso la manutenzione. Per me, il manutentore in un’azienda è come un dottore all’interno di un pronto soccorso di ospedale: deve ricercare la migliore soluzione utilizzando le migliori competenze. Queste, siano esse sviluppate internamente o attraverso il supporto di società di consulenza esterne, costituiscono l’elemento trainante per un’azienda di successo. Negli anni 2020, a mio avviso, per continuare a essere competitivi è necessario far crescere manutenzione e produzione a braccetto, insieme ovviamente con qualità e sicurezza.
- Giovanni Tullio: Lavoro in Cooper Standard da 38 anni. Pirelli, già alla fine degli anni ’80, aveva iniziato un percorso di continuous improvement nello stabilimento di Battipaglia basato su alcuni principi del Toyota Production System. Come approccio abbiamo subito sposato il TPM, una grande opportunità all’epoca: allora non tutte le aziende conoscevano questa metodologia e avevano la possibilità di essere supportate nell’implementazione. Avevamo la necessità di focalizzare l’attenzione sulle macchine, che rappresentano il nostro cuore produttivo. Negli anni successivi è iniziato un vero programma di Lean Production, con l’obiettivo di aumentare il livello di competitività anche attraverso cambiamenti organizzativi importanti, come l’introduzione di sistemi di miglioramento strutturati in ottica World Class. Il programma del World Class Manufacturing ha costituito un’esperienza molto importante e formativa per lo stabilimento: ci ha permesso di fare un grande salto, non solo in termini di prestazioni, ma soprattutto culturale e motivazionale delle persone.
Partendo dalle perdite e dagli sprechi dei nostri processi, e in particolare dalle perdite derivanti dai guasti macchina, abbiamo cominciato a implementare in maniera più strutturata la Autonomous Maintenance e la Professional Maintenance, due dei dieci pilastri tecnici fondamentali del WCM. Pur non avendo inizialmente a disposizione un numero sufficiente di persone formate per poter aggredire tutte le perdite, il vantaggio è stato che l’approccio WCM, attraverso il pilastro del Cost Deployment, ci ha consentito di fare l’analisi e di prioritizzare tutte le perdite e gli sprechi, permettendoci di aggredire le macchine più critiche in termini di impatto economico. In questo modo è stato possibile concentrare, con un approccio sinergico, le forze di manutenzione e produzione, al fine di raggiungere un unico obiettivo: “zero guasti”.
Questo ci ha consentito, sin dall’inizio, di poter far crescere le competenze sia degli operatori di manutenzione, ma soprattutto degli operatori delle linee, che hanno potuto iniziare a svolgere le prime attività di manutenzione autonoma in ottica preventiva, a partire dal ripristino delle condizioni di base delle macchine e alla eliminazione delle fonti di spreco, fino a eseguire tutte le attività di base come la pulizia, l’ispezione, la lubrificazione, i serraggi e le piccole riparazioni. Abbiamo capito, nell’implementare l’attività, che il vero vantaggio competitivo consiste nella capacità del management di valorizzare e sviluppare le potenzialità, le conoscenze e le competenze delle risorse umane, considerandole il “vero asset” dell’azienda, attraverso una formazione continua che va vista come una manutenzione programmata delle competenze.
- Francesco Gittarelli: Quanto ha influito la TPM in termini di risparmio dei costi di manutenzione e come vengono abbinate le normative vigenti con il trasferimento di competenze agli operatori?
- Raffaele Chiovelli: la TPM è un investimento, per cui non ci sono stati risparmi diretti sui costi di manutenzione. Sicuramente però c’è stata una crescita del personale su cui si è realizzato il piano di sviluppo delle competenze. Inoltre, abbiamo registrato la diminuzione dei breakdown, per cui il risparmio è arrivato non in termini di riduzione dei costi di manutenzione, ma nella riduzione dei fermi per rotture. Infine, abbiamo ottenuto una notevole riduzione degli sprechi: l’ottimizzazione di alcuni processi che ci ha aiutato ad apportare miglioramenti a livello globale.
Per quanto riguarda le normative vigenti, gli operatori che effettuano questi approcci AM vengono formati: viene realizzato un training con l’ingegnere che si occupa direttamente della manutenzione, in collaborazione con l’RSPP che fa una valutazione dei rischi specifici delle attività. Si parte dal presupposto che gli operatori che si occupano di queste attività sono stati selezionati in base a competenze e attitudini relative a queste operazioni di manutenzione o di mantenimento. In stabilimento abbiamo linee più nuove: qui è più facile adottare un processo di AM; sulle più vecchie lo stiamo creando senza il supporto dei fornitori perché si tratta di macchine prototipo.
- Francesco Gittarelli: Quanto influisce la TPM sulla vita utile di impianto di processo?
- Raffaele Chiovelli: Abbiamo iniziato la TPM su macchine e questo ci ha permesso di eliminare tutti i deterioramenti forzati: la prima attività di pulizia ci ha consentito di far lavorare le macchine nelle condizioni in cui sono state consegnate. Essendo in azienda solo da due anni, non so quantificare il tempo, però sicuramente abbiamo diminuito il numero degli interventi a guasto.
- Giovanni Tullio: Quando parte un programma di miglioramento in ottica manutentiva, è importante che l’azienda dia un forte impulso e risorse adeguate al raggiungimento degli obiettivi. Il ripristino delle condizioni di base di una piccola macchina riusciamo a farlo anche in un sabato, invece, se si tratta di una linea complessa preferiamo svolgere questa attività durante una chiusura pianificata. Nel progetto vengono coinvolti sia i manutentori che gli operatori di linea, le macchine che la compongono vengono completamente disassemblate nel rispetto delle procedure di sicurezza. Questo modo di operare consente agli operatoridi linea di vedere e conoscere la composizione interna di ogni macchina, insieme ai manutentori e ai tecnici ne analizzano i componenti e la funzione, partecipano alla diagnosi con eventuali sostituzioni o ripristini di componenti, imparano a conoscere e individuare segnali anche deboli di logorio e usura fin dagli stadi iniziali. Alla fine dell’attività le macchine e la linea che ha subito un profondo “restauro” vengono riconsegnate alla produzione e alla manutenzione come se fossero nuove. Solo alla fine di questo processo ci siamo dedicati alle pratiche di cosmesi esterna, pulizia e pitturazione.
La cosa più importante è stata fare la “vera” manutenzione degli impianti, solo così poi si possono attivare i piani di manutenzione autonoma per il mantenimento delle macchine, miglioramenti previsti negli altri pilastri del WCM e ottenere risultati duraturi nel tempo. Gli operatori di linea, nel momento in cui hanno constatato che l’azienda effettivamente stava investendo risorse economiche importanti per rimettere queste macchine nella migliore condizione, hanno capito l’importanza del programma di miglioramento diventandone protagonisti. I risultati tangibili ottenuti hanno fatto scomparire tutto lo scetticismo che normalmente sopraggiunge quando si decide di fare qualcosa di nuovo in un’azienda. Su queste linee, dopo 4-5 mesi, siamo arrivati allo zero breakdown su alcune macchine coinvolte nell’attività di TPM. Tutto ciò ha generato un forte entusiasmo perché si è dimostrato che effettivamente questa sinergia, questo modo di operare, aveva dato i risultati attesi (miglioramento MTTR -MTBF – OEE ecc.).
- Francesco Gittarelli: Ci sono stati segnali di resistenza da parte degli operatori quando avete messo in atto questi progetti?
Raffaele Chiovelli: Penso che il concetto di resistenza faccia parte dello spirito umano: preservare la propria posizione è istintivo. Per quanto mi riguarda, sin dall’inizio il mio obiettivo è stato di essere prima di tutto un esempio per chi lavora al mio fianco: stare con gli operatori sulle linee, dove si crea il valore, cioè nell’area produttiva. Alcune risorse sono maggiormente inclini al cambiamento e alla ricerca di un miglioramento, non necessariamente inteso solo a livello salariale; altre risultano essere in attesa, né da una parte né dall’altra; altre ancora sono, per loro natura, sempre in contrapposizione ai cambiamenti proposti. Abbiamo puntato sui primi, portandoli ad aprire le linee e le macchine insieme a noi, stimolandoli a fare domande e dare risposte, e questo li ha spronati. Tutto sommato è stato facile, la parte più difficile era rendere tangibili i risultati di questo sforzo. I risultati sono arrivati, in termini di miglioramento della loro posizione lavorativa e di quella di altri colleghi che vedevano queste nuove attività come l’ennesimo caso in cui qualche cosa veniva portata da qualcuno di esterno. Puntare su un approccio basato su coinvolgimento e responsabilizzazione è stato premiante.
- Giovanni Tullio: In primis, è l’azienda che deve credere e dimostrare il suo impegno nel cambiamento. Il commitment della direzione è importantissimo. Poi è imprescindibile che anche gli operatori ci credano. Per creare un mindset favorevole al cambiamento, è importante approcciarsi in modo funzionale agli operatori, che ne sono i veri agenti. Prima la formazione, poi l’implementazione metodologica: fatto questo bisogna chiarire bene gli obiettivi e l’impegno che l’azienda ci mette. Tutte le dinamiche esposte da Raffaele sono vere anche per noi. Come approccio abbiamo convocato in un’aula manutentori e operatori e abbiamo fatto loro un discorso trasparente. Si è proposto un progetto win-win: “lavorare meno e meglio”, con l’obiettivo comune di migliorare l’affidabilità delle macchine attraverso la riduzione del numero delle fermate per mancanza di condizioni di base, o per problematiche di manutenzione che non eravamo riusciti a risolvere in maniera adeguata in passato.
Tutte le attività di manutenzione autonoma trasferite alla produzione sono servite a incrementare la disponibilità della manutenzione professionale, impegnandola su attività di maggiore competenza, e al miglioramento della manutenzione stessa. La parola d’ordine per gli operatori è stata “prendersi cura personalmente delle macchine”, far sentire la macchina e la linea quasi come se fossero di proprietà di chi ci lavora. È stato uno stimolo davvero importante. Quando lanciamo queste attività di cambiamento, statisticamente, su 10 persone almeno 2 sono motivate, entusiaste, interessate a dimostrare le loro capacità e a mettersi in gioco; 6 sono indifferenti al cambiamento; 2 sono contrarie. In tali circostanze bisogna orientarsi all’impiego delle persone motivate per coinvolgere quelle indifferenti e creare quella massa critica di persone utili al cambiamento, rinunciando, almeno nella fase iniziale, al recupero di coloro che si dimostrano contrari. In tutti i cambiamenti resta importante l’impegno dell’azienda. Il primo consiglio è di mantenere sempre una comunicazione costante, cercare di fornire i dettagli e l’evoluzione della trasformazione. Rispondere a dubbi e domande e, quando possibile, dare informazioni precise sul cambiamento in atto. I dipendenti devono comprendere chiaramente la direzione che l’azienda sta prendendo e in che modo il cambiamento garantirà benefici per tutti.
- Vittorio Pavone: In che modo avete gestito la formazione sia del personale di manutenzione che di quello di produzione?
- Raffaele Chiovelli: Ho sempre creduto nelle persone e nelle loro competenze, nel valore che possono dare all’azienda. Sapevamo di dover modificare l’organizzazione della manutenzione. Una delle prime iniziative che abbiamo messo in campo è stata realizzare un assessment delle competenze, sia tecniche che comportamentali. Prima ci siamo focalizzati su oleodinamica, elettrica e meccanica, poi è stata fatta una valutazione dell’approccio delle risorse alla manutenzione. Il risultato ha stravolto l’idea iniziale: le competenze mostrate erano decisamente superiori rispetto a quello che si credeva. Queste sono state inserite in una skill matrix che avevamo sviluppato per trovare delle figure polivalenti. Ciò che andava perfezionato era l’organizzazione interna: abbiamo fatto crescere un coordinatore della manutenzione e attuato un processo in aula col supporto di consulenti come Festo. In seguito, lo stesso percorso è stato fatto con il personale operativo. Il manutentore ora non è più solo colui che deve risolvere il problema sulla macchina, ma anche il formatore di un’altra persona. Questo approccio è ancora in atto, considerando l’attuale periodo di pandemia. Proprio la situazione contingente ci ha consentito di puntare molto sulla formazione interna di affinamento delle competenze di operatori e manutentori.
- Giovanni Tullio: Abbiamo analizzato le competenze delle persone attraverso delle radar chart, valutando conoscenza, capacità di fare e anche quella di insegnare. Da questa analisi si è capito quali sono i gap formativi che devono essere colmati. Abbiamo pianificato la formazione necessaria da erogare sia al manutentore che all’operatore e lo sviluppo delle capacità utili per le specifiche attività, fino a renderli autonomi. Ci siamo poi accorti che alcune persone possedevano skill più elevate e avevano la possibilità di trasferire metodo e competenze ad altre persone attraverso l’approccio training the trainer.
Dopo la formazione di base, ne è stata disegnata una su misura per ogni risorsa, a seconda del gap da colmare. Tutte le istruzioni di lavoro per eseguire correttamente e in sicurezza le attività di AM sono state redatte secondo la logica TWI, dove ogni singola azione è chiaramente identificata e sequenziata, ogni singolo step mette in evidenza i punti chiave e le relative motivazioni in modo da standardizzare e rendere semplice l’operazione da eseguire. Nell’organizzazione del WCM, il pillar leader è la persona che conosce e gestisce l’intero processo; i Team Leader, che all’interno di ogni area di sviluppo conducono uno o più progetti focalizzati, coinvolgono i Team Member (operatori di linea) a cui garantiscono guida e specifica formazione. L’attività TPM è stata poi estesa dalle macchine alle attrezzature di riferimento per la produzione dei componenti (matrici, stampi, calibratori ecc.).
Stiamo integrando sempre più produzione e manutenzione, e non solo. Riducendo nel tempo l’impegno della manutenzione professionale grazie al supporto della AM, abbiamo avuto l’opportunità di riportare all’interno alcune attività di manutenzione che erano state esternalizzate, abbiamo formato direttamente le persone presso le aziende specializzate, ottenendo abbattimenti di costo fino al 75%, come nel caso della revisione/manutenzione dei mandrini di foratura di cui facciamo largo uso. Si tratta solo di un esempio; abbiamo altre attività, come il rilevamento e la misura delle perdite di aria compressa, la taratura di alcuni strumenti, la revisione di motori elettrici, che abbiamo riorganizzato in questo modo sempre attraverso la formazione e la crescita professionale delle persone. Concludendo, occorre che il management comprenda la profonda relazione sistemica che c’è tra “Valore delle persone” e “creazione del Valore”, come fattore strategico e competitivo dell’azienda.