Con la pandemia ho assistito a diversi webinar sull’argomento che mi hanno stimolato a condividere con voi alcune mie riflessioni.
Di questi tempi va di moda la predittiva (o, più in generale, la manutenzione preventiva) sostenuta dal progressivo crollo dei costi per la strumentazione necessaria a rilevare le grandezze su cui inferire la predizione.
Alla base della notorietà del metodo sta un equivoco di fondo: la diagnostica precoce è diventata una forma di prevenzione, mentre è e rimane diagnostica tecnica. Il fatto che sia più o meno precoce può garantire un intervento più o meno tempestivo, fatto non trascurabile nella dinamica di un servizio manutentivo.
Non previene certo l’esecuzione di un intervento correttivo, al pari della cd manutenzione accidentale. È la dinamica, l’urgenza, la tempistica a disposizione dell’intervento che in questo caso fa la differenza.
Sulla prevenzione attiva siamo già intervenuti in passato e daremo degli aggiornamenti in uno dei prossimi numeri di questa rubrica.
Torniamo alla preventiva. Ha certamente una fase di progetto e una fase di gestione.
Anni fa assistevo Francesco (nome di fantasia), il responsabile del service in una azienda del settore ferroviario. Si organizzava al meglio il servizio di assistenza tecnica ai locomotori. Ad un certo punto Francesco sbotta: «tu hai ancora la mentalità del progettista». Sì, perché il manutentore ha una visione più ampia del processo e sa che il progetto è una fase, ma è la gestione che poi consente di arrivare ad un risultato.
Farne una questione ideologica, idolatrando la progettazione o sottovalutando la gestione, non aiuta ad avere una visione “olistica” dei sistemi.
Eppure, in 40 anni di lavoro, avendo partecipato ad innumerevoli seminari sulle pratiche manutentive, ho rilevato assai spesso approcci diversi fra chi sta al di qua e chi al di là del tavolo dei relatori.
Da un lato prevale la visione progettuale e dall’altro quella operativa e pratica, in una parola gestionale.
Mentre è proprio dalla fusione di questi due aspetti che nasce l’eccellenza (o adeguatezza, o la areté dei greci).
A mio parere il manutentore diventa sommo quando riesce ad unire le due facce della medaglia, progetto e gestione, in modo che i sistemi evolvano dalla configurazione prevista dal costruttore verso una configurazione ideale che solo una manutenzione avveduta, adeguata, eccellente, riesce a raggiungere.
È così che l’impianto da oggetto del desiderio diventa funzione necessaria di un reparto o di uno stabilimento.
Ci sono innumerevoli aneddoti che in forma di fumetto o in una austera forma grafica con tanto di ascisse e di ordinate, rappresentano questa discrasia fra il progetto, l’esecuzione, e la definitiva messa in opera.
Una cosa è certa, alla messa in opera partecipa il manutentore con entrambe le facce della sua medaglia.
Persino a proposito della terminologia, passati 30 anni dalle prime norme UNI, ancora oggi ci sono delle ambiguità nelle quali prima o poi cadono i tecnici aggiungendo confusione ad una materia già di per sé oggetto di numerose normative, originate soprattutto dal lavoro pionieristico di AFNOR, UNI e DIN.
Le prime norme AFNOR (1984-87) evidenziavano già una netta distinzione fra manutenzione secondo condizione (MSC) e manutenzione predittiva.
Entrambe si basavano sulla rilevazione di grandezze fisiche e sulla valutazione di degradi. Con una sostanziale differenza. Mentre la MSC confrontava puntualmente la grandezza rilevata con i livelli di tale grandezza considerati di attenzione o di allarme, la Predittiva, sulla base di un modello predittivo (nomen omen), stima il momento in cui avverrà la rottura e in conseguenza valuta il tempo che ci separa da quell’evento.
In pratica mentre la MSC si limita a segnalare il superamento di una soglia critica, la predittiva ci informa sui giorni che abbiamo a disposizione prima che il sistema entri in una situazione critica.
Va da sé che il set di dati necessario ad alimentare il modello predittivo sia di diversi ordini di grandezza più ampio di quello necessario a monitorare una condizione.
Un tempo, questo aspetto relegava l’uso della predittiva a settori super critici come l’aerospaziale e il nucleare. Oggi, invece, viene in grande aiuto Big Data con il modello predittivo che diventa un algoritmo in grado di reagire al comportamento della macchina al degrado e ai guasti. Il quale unito alla costante riduzione costi della strumentazione ha reso la predittiva molto più popolare.
Cionostante queste definizioni non sono cambiate: così erano alla fine degli anni Ottanta, così sono nell’ultima versione della norma UNI EN 13306 (2018).
Rimane il fatto che, come sosteneva l’amico Luciano Furlanetto: “la manutenzione è ottimale quando è coerente al comportamento delle macchine”. Quindi nessuna concessione ideologica, nessun pregiudizio, ma attinenza ai fatti.
E se vogliamo parlare di segnali deboli, essi non fanno parte del set monitorato con la MSC o con la Predittiva, ma sono segnali estemporanei, spesso non misurabili, ma qualitativi, che però mettono in condizione il manutentore di sospettare un possibile degrado del sistema.
Eppure, assistiamo ancora oggi ad un incredibile minestrone fra questi concetti, condizione certo che non aiuta a percepire il fine ultimo della manutenzione. Gli obiettivi della manutenzione sono mutevoli nel tempo perché dipendono dalle condizioni socioeconomiche del paese in cui opera.
Il costo del lavoro, i fattori logistici, la disponibilità di risorse condizionano le scelte della manutenzione e, in definitiva le sue finalità. Nel mondo di oggi, ad esempio, si fa un gran parlare di sostenibilità, di mantenimento delle condizioni operative nel tempo, di longevità dei sistemi, di circolarità dell’economia, con la conseguente drastica riduzione di rifiuti.
Tali elementi da un lato condizionano la manutenzione e da un altro lato sono sostenuti e resi possibili proprio dall’adeguarsi della manutenzione al contesto socioeconomico.
Noi facciamo il tifo per una manutenzione bifronte che sia un po’ progetto e un po’ gestione. Una manutenzione un po’ monella che faccia impazzire i progettisti con le sue istanze, tenendo conto che il progetto è pur sempre un modello su carta di quello che poi a livello esecutivo dovrà funzionare.
Con buona pace di coloro i quali oggi parlano di manutenzione, descrivono la manutenzione, operano con la manutenzione, fortunatamente sono tanti, molti più che in passato. Un segno dei tempi che mostra il crescente interesse per questa meravigliosa materia, al punto che il “diritto alla riparazione” è diventato uno dei punti del Green New Deal europeo.