Manutenzione e rischi sul lavoro

Analisi di un caso reale di infortunio presso un'azienda di stampaggio lamiere a freddo

  • Ottobre 12, 2016
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  • Figura 1 - La tavola inferiore della pressa era assicurata da n° 12 viti M20x2.5
    Figura 1 - La tavola inferiore della pressa era assicurata da n° 12 viti M20x2.5
  • Figura 2 - Particolari delle viti coinvolte nell'incidente
    Figura 2 - Particolari delle viti coinvolte nell'incidente

Il protagonista, involontario, di questo infortunio si chiama Michele e - all'epoca dei fatti - lavorava da circa 8 mesi in un'azienda metalmeccanica di stampaggio lamiere a freddo dell'hinterland torinese, con la qualifica di operaio addetto alle presse.

 

Ecco come Michele, nell'immediatezza dei fatti, descriveva agli ispettori del Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro (SPreSAL) ciò che era accaduto: "Poco prima dell'ora di cena, 19:30 circa, mentre stavo estraendo un pezzo appena stampato e avevo già inserito il braccio destro [all'interno dello stampo aperto], ho avvertito un botto fortissimo e sono stato colpito violentemente al braccio. Ho pensato ad una discesa dello stampo superiore, ma dopo aver estratto il braccio mi sono accorto che inaspettatamente era salito il piano base della pressa, la tavola inferiore".

 

Il referto ospedaliero di "amputazione quasi completa da schiacciamento 1/3 medio distale avambraccio destro" e le prime verifiche confermano la dinamica descritta dall'infortunato: al termine di un normale ciclo di stampaggio l'operatore aveva introdotto la mano per estrarre il particolare stampato (senza violare alcuna norma di sicurezza) e la tavola inferiore, la cui posizione era assicurata da n° 12 viti M20x2.5, si era improvvisamente sollevata.

A tale proposito occorre chiarire che la pressa in questione può lavorare sia a tranciare (come al momento dell'infortunio), sia ad imbutire; in questo caso utilizza delle "candele" ossia dei cilindri spinti verso l'alto da cuscini pneumatici, posti al di sotto della tavola inferiore, non in uso al momento dell'infortunio (per quanto i cuscini pneumatici fossero in pressione e quindi esercitassero una spinta da basso verso alto sulla tavola inferiore).

 

A distanza di ben 3 mesi dall'infortunio (periodo nel quale la pressa è stata mantenuta in giudiziale sequestro) la Procura della Repubblica mi nominava quale Consulente Tecnico ex art. 359 cpp con il compito di ricostruire dinamica e cause dell'infortunio.

 

Nel corso delle operazioni tecniche emergeva la necessità di eseguire prove distruttive (e come tali irripetibili) sulle citate viti M20 e, pertanto, si decideva di procedere con una Perizia ex art. 226 cpp in sede di Incidente Probatorio (quest'ultimo è un meccanismo processuale che permette di costituire la prova di un certo fatto già nella fase delle indagini preliminari, nel contraddittorio di tutte le Parti interessate) e la mia nomina, di fatto, si trasformava in quella prevista dall'art. 225 cpp ossia quella del Consulente Tecnico in sede di Perizia.

 

 

 

Gli accertamenti in contraddittorio, complessivamente durati alcuni mesi, si erano dapprima concentrati sull'esame delle viti e sui relativi test distruttivi, alla ricerca delle effettive modalità di rottura.

 

Già al semplice esame visivo era possibile osservare come n° 3 viti presentassero le superfici di rottura connotate da aree lisce, tipiche del fenomeno di rottura a fatica, mentre tutte le altre avevano ceduto staticamente (n° 2 viti certamente in modo fragile, le restanti n° 7 viti presentavano invece distorsioni ed allungamenti tipici della frattura duttile).

 

Sempre l'esame visivo permetteva di appurare che almeno n° 5 viti (e tra queste vi erano quelle rotte a fatica) non riportavano sulla testa la prescritta marcatura della classe di appartenenza, che è garanzia di determinate caratteristiche meccaniche del materiale.

 

Altre presentavano la marcatura minima richiesta, ossia 8.8.

Presso i laboratori del Politecnico di Torino venivano allora eseguite prove di durezza HRC superficiali e "a cuore", nonché prove di trazione.

Le prove dimostravano come le viti non marcate avevano caratteristiche meccaniche, in particolare la resistenza alla trazione, decisamente inferiori a quelle delle viti marcate 8.8 previste dalle norme.

Chiarite le modalità di rottura delle viti, occorreva ora comprendere la causa che aveva portato a cedimento il collegamento bullonato, innescando peraltro l'insidioso fenomeno della rottura a fatica.

 

Si esaminava quindi in dettaglio la pressa, smontando le tavole dal basamento, onde ispezionare i cilindri pneumatici premilamiera e comprenderne le modalità di funzionamento. Si riusciva così a ricostruire la modalità di lavoro:

  • quando la pressa lavora ad imbutire (o, pur inutilmente, il cuscino pneumatico viene lasciato in pressione) le viti M20 trattengono la tavola inferiore al basamento della pressa e sono pertanto sottoposte
  • a trazione;
  • quando il semistampo superiore si abbassa ed entra in contatto con la lamiera da deformare, la discesa viene contrastata dalle candele spinte dal cuscino d'aria;
  • da quel momento le viti M20 iniziano a scaricarsi, fino a non essere
  • più sottoposte alla forza di trazione generata dai cuscini premilamiera,
  • ma solamente al precarico iniziale dovuto alla coppia di serraggio (in realtà, visto che la tavola viene premuta contro il basamento, questo schiacciamento può provocare un'ulteriore riduzione
  • del carico di trazione, anche a valori inferiori al precarico iniziale);
  • quando - al contrario - si lavora a tranciare, le candele non vengono
  • utilizzate ed i cuscini potrebbero essere scaricati, scollegandoli dal circuito dell'aria compressa, ma si è appurato che non sempre ciò veniva fatto e, nello specifico, al momento dell'infortunio i cuscini
  • erano stati lasciati in pressione;
  • quando si usa la pressa per tranciatura, all'inizio di ogni ciclo le viti sono sottoposte a trazione (carico esercitato dai cuscini premilamiera, oltre al precarico); quando però lo stampo si abbassa e comprime la tavola per tranciare la lamiera, la tavola è compressa contro il basamento, motivo per cui il carico dei cuscini pneumatici viene man mano equilibrato dalla discesa dello stampo, anziché dalle viti.

 

 

Si deduceva, pertanto, che durante le operazioni di stampaggio e tranciatura, le viti sono soggette a carichi di trazione che per loro natura variano nel tempo, sia in eccesso sia in difetto rispetto al precarico iniziale di serraggio: ne consegue che le viti sono quindi sollecitate a fatica, circostanza di cui l'azienda non era a conoscenza.

 

Dalle informazioni raccolte sia dal personale SPreSAL, sia durante le sessioni peritali emergeva però, quale ulteriore criticità, un quadro piuttosto carente dal punto di vista manutentivo: non esisteva un piano di controllo delle viti, né ne era prevista la sostituzione periodica (basata sul tempo trascorso, piuttosto che sul numero di cicli di lavoro); anche il Manuale d'uso e manutenzione - ad onor del vero - non precisava istruzioni di controllo o indicava il periodo entro cui sostituire le viti.

Le spontanee dichiarazioni del Datore di Lavoro a tale proposito furono "nel caso in cui al controllo con chiave normale la vite risultasse danneggiata, la vite veniva sostituita... per sostituirla occorre sollevare la tavola, il controllo delle viti avviene in occasione del cambio stampo". Il fatto che "per sostituire le viti occorre sollevare la tavola" induceva a ritenere che le viti fossero sostituite solo quando si rompevano, circostanza che in effetti costringeva a smontare la tavola per estrarre il moncone (mentre se le viti fossero state integre, l'operazione di sostituzione non avrebbe richiesto di sollevare la tavola).

 

Si appurava anche che, al momento della sostituzione, le viti venivano serrate con chiave semplice (non dinamometrica), per cui non vi era alcun controllo oggettivo della coppia di serraggio, salvo la sensibilità dell'operatore. Non da ultimo, veniva osservato che la progettazione della pressa - risalente verosimilmente a fine anni '70 - poteva di certo essere migliorata, in quanto i cuscini pneumatici avrebbero dovuto essere costruiti  in modo da rimanere a contatto con le candele senza esercitare pressione sulla tavola, pressione peraltro inutile al fine del funzionamento, oltre che dannosa per la sollecitazione a fatica che ne consegue.

 

Chiarite le modalità e soprattutto le cause dell'infortunio, quale ultimo "atto tecnico" l'azienda aveva incaricato un ingegnere di progettare un sistema di sicurezza per la tavola, poi sottoposto al sottoscritto quale "validazione" ai fini del dissequestro del macchinario, consistente in:

  • utilizzo di viti M20 classe 12.9 ad alta resistenza;
  • messa in opera di n° 8 staffe in acciaio Fe 430 B avvitate e spinate alla tavola inferiore con ancoraggio sul basamento pressa,
  • verificate tramite analisi FEM;
  • piano di controllo nel periodo iniziale di sorveglianza consistente in verifica ogni 10.000 cicli di lavoro delle viti M20 con fluidi penetranti per ricerca di eventuali cricche e serraggio tramite chiave dinamometrica tarata a 720 Nm, con sostituzione ogni 6 mesi;
  • piano di controllo in caso di insorgenza di cricca/rottura: in base al numero di cicli effettuati a quel momento, il nuovo limite di controllo per la sostituzione delle vite M20 sarà pari ad 1/3 dei cicli misurati a quel momento.

In conclusione, un'originaria carenza progettuale (inutile dire che il costruttore della pressa, al momento dell'infortunio, aveva cessato ogni attività), peraltro legata ad un momento storico in cui lo stato dell'arte non prevedeva certamente la verifica "a fatica" dei componenti delle presse, insieme con una sostanziale "inconsapevolezza" delle conseguenze che un mancato piano di controllo e manutenzione può comportare, hanno causato un grave infortunio, senza contare il periodo di circa 14 mesi in cui non è stato possibile utilizzare la pressa, il processo penale con relativi costi, l'impatto sul clima aziendale, ecc.

Sono passati alcuni anni da allora e, anche grazie al lavoro di tutti i Consulenti Tecnici e Periti, non si sono più verificati infortuni.

 

Il ricordo e l'insegnamento che porterò sempre con me dopo questa vicenda è la frase che il nostro vero protagonista, Michele, mi disse durante le operazioni peritali: "Io sono un uomo fortunato" e al mio sguardo, stupito e perplesso, aggiunse: "Al colpo precedente rispetto a quello in cui ho perso la mano, il pezzo si era bloccato e, per staccarlo, io mi ero infilato con tutto il busto tra gli stampi!"

 

 

 

Fabrizio Maria Vinardi, Perito del Tribunale, Vice Presidente Fondazione Ordine Ingegneri Torino

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