Manutenzione e sostenibilità, un destino comune

Perchè la sostenibilità non è una moda del momento, ma rappresenta la rigorosa applicazione di princìpi di buona gestione aziendale

  • Novembre 16, 2018
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    Manutenzione e sostenibilità, un destino comune

La parola “sostenere” risale intorno al XIII secolo e deriva dal latino “sustinēre”, derivato di “tenēre” col prefisso sub-, ossia “sotto”.

Tenere da sotto, reggere, mantenere le condizioni di equilibrio stabile: quale migliore definizione al­ternativa per la manutenzione?

Rendere la manutenzione “sostenibile” rischia in­vero di risultare quasi tautologico, purtuttavia riflet­tere su quali siano le azioni virtuose da svolgere, aiuta il manutentore e il decisore ad orientare gli investimenti in maniera corretta.

Ciò è ancor più necessario in un periodo nel quale le “mode” (industria 4.0 e i suoi paradigmi ne è solo l’esempio più recente) sono dettate da scenari internazionali di congiuntura economica o di feno­meni globali e rischiano di limitare la visione ad un orizzonte di breve periodo.

Ma, esattamente, cosa deve essere “sostenibile”? Il tema va in primis affrontato sotto il duplice profilo economico e ambientale. Nella prima accezione gli scenari di volatilità economica non devono rappre­sentare una scusa: la stessa globalizzazione ha in­segnato che in molti dei Paesi emergenti la cresci­ta è tanto più stabile quanto più la programmazione degli investimenti è fatta per tempo.

Venendo alla seconda, la manutenzione rappre­senta in sé un’attività virtuosa, giacché consente di mantenere il controllo sulla vita utile dei beni e dunque di diminuire gli sprechi.

Vale però la pena approfondire.

Equilibrio economico, investimenti sostenibili

Se debitamente formato, e dunque in possesso delle abilità e delle competenze necessarie per la gestione del budget di manutenzione, l’ingegnere responsabile dell’asset management sa ben distin­guere fra due concetti spesso confusi anche fra addetti ai lavori:

I costi, spesso indotti dagli adempimenti ob­bligatori o da ammodernamenti fini a sé stessi ma che rientrano nel piano strategico azien­dale perché spesati su progetti finanziati da finanza agevolata, o ancora da inefficienze di gestione quale, proverbiale, il non corretto di­mensionamento delle scorte di magazzino e delle relative politiche di reintegro.

Gli investimenti, che sono tali solo quando as­sociabili ad un ROI effettivamente misurabile a posteriori e, almeno in prima approssimazione, stimabile a priori.

Le proposte di investimento che non sono in grado di quantificare il ritorno vanno dunque valutate con spirito critico: Rientrano, le stesse, nel quadro della strategia di sviluppo degli asset? Risulta, quest’ul­tima, chiara e condivisa a tutti i livelli aziendali? È definito e consolidato, in azienda, l’approccio verso l’esternalizzazione di parte (anche consistente) dei processi manutentivi? Sono chiare dunque le logi­che di make or buy?

Le risposte a queste domande sono strettamente legate, e non può essere altrimenti, alla politica di gestione delle competenze interne. Se in alcuni settori questa è ormai radicata, nel campo ma­nutentivo esistono ancora ampie aree di manca­ta copertura. Rispetto all’ambiente industriale, ad esempio, nel trasporto la certificazione secondo la UNI EN 15628 risulta ancora agli inizi, come scar­sa è anche l’applicazione delle norme tecniche di settore. L’obiezione classica del non trattarsi di di­spositivi cogenti è peraltro presto superata: al di là infatti della considerazione che un sistema certifi­cato ISO 9001:2015 deve applicare norme e buone prassi di settore o quanto meno giustificare con un’idonea analisi di rischio la non applicazione di parte delle stesse, alcuni dispositivi rappresentano verticalizzazione di altrettanti obblighi (si pensi alla Direttiva 2006/42/CE - “Direttiva Macchine” o al Testo Unico di cui al Dlgs 81/08). Le competenze, indispensabili anche solo per la corretta applicazione di quanto sopra, maturano laddove è istituito e funziona un processo di for­mazione continua.

Questa, a sua volta, non può risultare “chiusa” nell’ambito aziendale o al più estesa ai consulenti di settore via via coinvolti, ma deve necessariamente comprendere un confronto e un dialogo costante con la comunità e con le associazioni di categoria, ivi comprese quelle tecniche.

Sostenibilità economica, in altre parole, si traduce in questo specifico ambito in investimenti mirati rispetto a quella che taluni definiscono come “fase calda” dei processi aziendali, ossia quelli fortemente human intensive. La pianifica­zione degli investimenti negli anni richiede una chiara strategia aziendale di lungo periodo. Si creano così, non a caso, le condi­zioni per effettuare assunzioni a tempo indetermi­nato che risultano dunque non un vincolo preteso da controparti sindacali o accordi di settore, ma una condizione necessaria se si vuole investire in risorse umane che possano crescere mantenendo il valore interno all’azienda.

Ambiente in cui lavorare, mondo in cui vivere

Al di là degli obiettivi, pur nobili e importanti, di ri­duzione degli impatti delle attività antropiche sul clima, che ci si pone quando di intende migliorare i processi aziendali, l’attenzione nel mondo manu­tentivo deve essere convenientemente orientata al day by day, con iniziative in grado gestire il miglio­ramento continuo delle condizioni dell’ambiente di lavoro. Sono da inquadrarsi in quest’ottica agli investimenti in:

Formazione generica sugli skill in grado di rendere più efficiente e salutare (nell’accezione del rischio da stress lavoro-correlato). I piani di formazione finanziati dai fondi dedicati dovreb­bero contenere, ad esempio, moduli sul time management, sul problem solving e decision making, sulla negoziazione, sulle pratiche di team building.

Formazione specifica sulle buone prassi di settore e sulle relative norme e prassi di rife­rimento, ivi comprese ad esempio la gestione degli spazi confinati o l’applicazione ragionata delle normative antincendio.

Tecnologie orientate alla sicurezza de­gli ambienti di lavoro; un elenco delle stesse, non esaustivo per l’evidente ampiezza che lo contraddistinguerebbe, comprende le pavi­mentazioni di sicurezza (quanti risultano com­pliant con quanto obbligatorio per gli ambienti ATEX?), i prodotti di pulizia privi di frasi di ri­schio, le coperture delle eventuali fosse, la di­sposizione di spazi e colori finalizzata all’ergo­nomia, gli strumenti di comunicazione interna user friendly (chat, chatbot).

Conclusioni

La sostenibilità non è una moda del momento, ma rappresenta la rigorosa applicazione di princìpi di buona gestione aziendale che comportano da parte del management un’attenzione equamente distribuita fra gli aspetti finanziari, quelli tecnici e quelli di gestione delle risorse umane.

In ultima analisi, “manutenzione sostenibile” non rappresenta uno slogan, ma è il risultato che si ottiene dal ritorno ad una programmazione degli investimenti “sana”, ossia di ampio respiro.

Alessandro Sasso, Consulente sull’innovazione di prodotto e di processo, Studio LIBRA Technologies & Services