Ancora alcune considerazioni dopo quanto riportato nel numero di settembre in merito al crollo del ponte Morandi di Genova.
Intanto a livello personale, come cittadino di Genova, aggiungo solo che ogni giorno che passa dimostra (oltre al costume italico della corsa a mettersi con le spalle al sicuro) l’incompetenza di alcuni personaggi che definirei dei Savonarola in sedicesimo, a cui non interessa la sopravvivenza di una città e di una regione, ma una visibilità purchessia a bassi fini elettorali.
L’argomento che ci presenta Man.Tra questo mese si inquadra in questa situazione assurda.
Abbiamo le tecnologie per migliorare nel trasporto su gomma la manutenzione di mezzi ed infrastrutture ma le pastoie burocratiche, le lentezze croniche nel prendere decisioni, la miopia diffusa impediscono o rallentano i necessari interventi.
Ma è soprattutto come manutentori che ci dobbiamo battere il petto. Non siamo in grado di fare vere analisi dei rischi, di valutare le priorità, in una parola di fare asset management.
È questo lo sforzo che dobbiamo fare senza altri tentennamenti.
Ed è in questa direzione che la politica (purtroppo con la “p” minuscola) dovrebbe indirizzare volontà ed attività e non immaginare un ponte su cui si va a fare picnic.
Bruno Sasso
Come scriviamo ogni volta, la manutenzione di un bene è un processo che coinvolge più attori: il costruttore, il proprietario, il conduttore, il manutentore, il controllore; la progettazione stessa deve essere orientata alla manutenibilità. Tutti questi soggetti intervengono durante il ciclo di vita del bene nel suo mantenimento in efficienza, che si declina, per usare i termini abituali per noi tecnici, nella manutenzione preventiva e correttiva.
Un concetto specialistico da spiegare a tutti
Questi aspetti, ovvi per gli addetti ai lavori, dopo la tragedia del 14 agosto 2018 ci appaiono essere inaspettatamente sconosciuti al “grande pubblico”, nel quale è sembrato mancare totalmente il principio che un bene abbia un suo ciclo di vita, con un costo associato, e che il processo di manutenzione e gestione di un’infrastruttura riguarda una pluralità di soggetti che comprendono, in primis, la collettività. Sentiamo il dovere di lavorare per colmare tali gap cognitivi, affinché qualche concetto essenziale possa uscire dalla cerchia degli addetti ai lavori e divenire patrimonio di tutti.
Pensiamo alla manutenzione preventiva: al di là delle definizioni della UNI EN 13306, essa è una pratica nella vita quotidiana dei cittadini limitata a pochi casi, forse giusto al tagliando dell’automobile quando ci si ricorda di farlo, ma risulta essenziale per la piena comprensione del concetto del costo del ciclo di vita di un bene.
Con riferimento all’esempio dell’auto privata, in quanti davvero hanno la percezione di quanto ammontino i relativi costi chilometrici, senza sottostimarli? Vale anche per le Pubbliche Ammini strazioni: quanto costa una panchina? Ben pochi sono coloro che penseranno al suo piano di manutenzione, alle verniciature e ai trattamenti periodici. E nei dibattiti pubblici, non a caso, il costo di realizzazione di un’opera è protagonista, quasi sempre tacendo di quello annuale associato alla relativa manutenzione negli anni a venire.
Proprio in questo settore il gap cognitivo lacuna si riverbera nella diffusa accettazione che manchi un vero e proprio catasto dei beni pubblici, spesso sostituito da un censimento estemporaneo di qualche singolo sottosistema. Oggi qualche strumento in più a disposizione degli enti proprietari delle strade (e soprattutto degli spazi urbani) esiste, nella forma ad esempio della nuova norma UNI 11680:2017 che descrive il metodo delle sezioni stradali.
La quarta rivoluzione è partita dal basso
C’è un elemento che oggi aiuta: l’internet delle cose, che si va diffondendo velocemente fra manutentori e operatori del mondo industriale e trasportistico ma che è già nativa nelle nuove generazioni.
Gli smartphone odierni sono, per la loro stessa natura, devices 4.0 che non a caso hanno reso possibile per miliardi di persone le tre funzioni
- Acquisizione dati del proprietario e dell’ambiente circostante (accesso agli open data)
- Trasmissione veloce ed economica su un ecosistema di piattaforme ad hoc (generazione di big data)
- Elaborazione di informazioni che, a partire dai dati raccolti e messi a fattor comune consentono di usufruire di servizi individuali (le app) e a livello aggregato
Qui non siamo nel campo dell’ingegneria di manutenzione, ma dell’alfabetizzazione di tutti i millenials e dei loro eredi, che non a caso per i loro spostamenti hanno ormai consolidato modalità di organizzare il trasporto fino a pochi anni fa impensabili a partire dai voli low cost, per passare alle varie app di car pooling fino all’ascesa di Flixbus.
E nella manutenzione?
Nella manutenzione degli asset trasportistici (veicoli, infrastrutture) le potenzialità sopra descritte non sono oggi ancora colte appieno.
In campo veicolistico alla presenza di big player quali i costruttori di telai fa da riscontro una frammentazione dei mercati nei produttori dei cosiddetti allestimenti (in campo normativo definiti “bodywork”) che non ha ancora prodotto standard soddisfacenti e diffusi. L’industria dei produttori di veicoli è orientata e matura così come, per quanto visto sopra, il grande pubblico possiede già strumenti conoscitivi che generano una forte aspettativa.
Nel settore delle infrastrutture c’è ancora molto da fare. La figura retorica della “strada da seguire” è tristemente necessaria. Spetta all’intera comunità, rappresentata dalle istituzioni, adeguare il trasporto stradale ai nuovi bisogni di sicurezza. Dopo mezzo secolo di corsa alla velocità del singolo, alla libertà di circolare, alla costruzione, nella sola Italia, di circa 850.000 km di infrastrutture stradali, di orientamento marcato verso il trasporto stradale delle persone e delle cose, occorre un riequilibrio modale, dalla gomma al ferro, dal trasporto privato a quello pubblico. Spesso invocato ma nei fatti ben poco praticato, esso è infatti l’unica soluzione ad un problema rappresentato da una ipertrofia infrastrutturale che ha totalmente e colpevolmente trascurato proprio i costi di manutenzione, e da un’attenzione spasmodica alla sicurezza ferroviaria cui non ha fatto riscontro una simmetrica attività orientata a quella stradale, ben più elevata.
Audit continui (e, sì, costosi) alle infrastrutture e ai processi di gestione degli enti proprietari delle strade, sistemi di controllo della guida che non lascino spazi di manovra all’arbitrarietà di autotrasportatori e conducenti (un moderno tachigrafo digitale è ancora ben lontano dall’ETCS ferroviario), rigoroso controllo continuo dei titoli abilitativi sono strumenti drastici, che rischiano di apparire limitativi della libertà di molti. Ma che come optional esistono già.
L’imposizione di tutto ciò rappresenta anche l’unica soluzione per riportare sotto controllo un sistema sfuggito di mano: la percezione della sicurezza ne risentirebbe positivamente e investirebbe tutti.
Grazie allo smartphone che abbiamo in tasca.
Alessandro Sasso, Presidente Man.Tra, Coordinatore Regionale A.I.MAN. Liguria