Per il terzo episodio Mistery Manut ci porta in una media impresa del settore manifatturiero, nella quale lavora da 5 anni e attualmente ricopre il ruolo di Responsabile di Manutenzione. Precedentemente ha lavorato, sempre in manutenzione, in aziende del comparto alimentare. È certificato livello 3 (Maintenance Manager) secondo il Regolamento del CicPnd, ed è inoltre Socio ventennale di A.I.MAN, Associazione Italiana Manutenzione.
Mistery Manut pensa di essere un buon Leader e mette tutto il suo impegno per rendere il lavoro gratificante, per sé e per i suoi collaboratori. È disposto a farsi intervistare e non è nuovo a questa esperienza, anche perché ha partecipato a convegni come relatore
Buongiorno, ha scelto Lei di lavorare in Manutenzione o è stata una opportunità che Le hanno proposto?
MISTERY MANUT: Beh, forse potrei dire che è la Manutenzione che ha scelto me… Ho studiato ingegneria meccanica al Politecnico di Torino molti anni fa. Studiavamo tutto, tranne la manutenzione. Uscivamo “progettisti” convinti della sacralità del frutto del nostro ingegno. La manutenzione non era necessaria.
Lavoravo in un Centro Ricerche (testavamo componenti per la automazione) quando un giorno il mio Direttore mi disse “vai a Trieste, c’è un convegno sulla manutenzione!”, risposi che non mi interessava e non avevo tempo da perdere per capire come sbullonare un motore. Il mio Direttore senza perdere la calma mi disse “se non vai a Trieste, ti accompagno io a calci!”. Quindi andai a Trieste e quando tornai a Torino ero innamorato pazzo della Manutenzione!
Come sono stati gli inizi di questo lavoro come Responsabile di Manutenzione in una azienda manifatturiera?
MISTERY MANUT: Abbastanza traumatici. Sono arrivato nel pieno di una profonda ristrutturazione dei modelli organizzativi aziendali secondo la metodologia Lean che ha naturalmente coinvolto anche i processi di manutenzione.
Il mio primo compito è stato quello di dover “spaccare” la Manutenzione, ovvero decidere quali manutentori sarebbero rimasti nella Manutenzione Centrale (Professional, operativi su tutto lo stabilimento) e quali invece sarebbero diventati “Manutentori di Area”, cioè operativi solo nelle Aree di pertinenza. In più avrei dovuto creare, assieme alla Produzione, un primo nucleo di operatori addetti alla Manutenzione Autonoma.
Questa organizzazione teoricamente offriva diversi vantaggi ma altrettanto rilevanti erano i rischi, il primo quello di perdere il controllo dei Manutentori di Area che sarebbero diventati risorse jolly per il Responsabile di Produzione, già arrabbiato per il fatto che gli Operatori di Produzione si sarebbero trovati a dover eseguire lavori di manutenzione.
Il ritornello continuo che dovevo subire era che delegando la manutenzione agli Operatori, i manutentori, che già non facevano nulla, avrebbero fatto ancora di meno… Il clima contrapposto era ulteriormente aggravato dalla insoddisfazione dei manutentori che vedevano nella Automanutenzione il primo passo per togliere loro il lavoro… “Ingegne’, se quelli fanno il nostro lavoro, noi che facimmo?”
Sono stati mesi abbastanza tormentati e credo di essere arrivato a una soluzione rifacendomi in pieno a quello che era l’insegnamento di Nakajima, ideatore del TPM. La prima cosa che ho deciso è che… non avrei deciso io ma avremmo deciso insieme.
Abbiamo quindi iniziato con incontri di formazione per piccoli gruppi composti da manutentori e operatori di produzione (team leader). Obiettivo della formazione era quello di creare la squadra, darsi delle motivazioni, condividere obiettivi che fossero comuni a chi produce e chi manutiene. L’OEE è diventato il nostro vessillo. Alla fine si è capito che la divisione tra manutentori del Servizio Centrale e Manutentori di Area doveva essere fatta sulla base di attitudini dei singoli, sfruttando quelle che erano le caratteristiche, le motivazioni e i bisogni di ognuno. Così ci siamo trovati con manutentori predisposti alla polispecializzazione (mix di tecnologie) e manutentori più desiderosi di approfondire ulteriormente la propria expertise (Professional Meccanici o Elettrici). In altri manutentori è poi emersa una speciale attitudine alle attività di tutoraggio e addestramento on the job.
I manutentori con predisposizione alla polispecializzazione sono stati assegnati alle Aree, i Professional hanno composto il Servizio Centrale. Con alcuni di questi si è creato un primo nucleo di “ingegneria di manutenzione”;
alcuni manutentori polispecialisti sono poi stati formati per diventare Trainer con la metodologia TWI (Training Within Industry), sviluppato in Toyota e specifico per l’addestramento standard nelle realtà Lean.
A “Ingegneria di Manutenzione” è stato affidato il compito di determinare piani e programmi di Manutenzione Preventiva (ciclica, On Condition e Predittiva) e di Manutenzione Autonoma.
Come si è sviluppato il piano di Manutenzione Autonoma?
MISTERY MANUT: La prima cosa che mi sono preoccupato di far capire ai Capi e Operatori di Produzione è stata quella che non sarebbero diventati “manutentori”, perché il loro compito sarebbe stato quello di “mantenere” in perfetto stato di servizio le Macchine, non di riparare i guasti.
Di contro, spiegavo, garantire macchinari puliti, perfettamente lubrificati, senza perdite e trafilamenti era il primo passo per una riduzione drastica del numero di guasti.
Altro aspetto che ho chiarito è che “Manutenzione Autonoma” non significava manutenzione fatta in autonomia, quindi senza i manutentori. Sarebbe stata una contraddizione perché il TPM non cerca l’autonomia ma favorisce l’integrazione tra Produzione e Manutenzione. Autonomia andava invece intesa come livello di massima competenza espressa dall’Operatore di Produzione, capace di cogliere, appunto autonomamente, segnali di deriva del processo produttivo e anticipare l’insorgere del guasto.
Quali sono le competenze chiave che ha cercato di sviluppare nei suoi collaboratori?
MISTERY MANUT: Io credo che la competenza chiave del manutentore non sia la sua abilità dell’eseguire una riparazione quanto piuttosto la sua capacità di risolvere i problemi. Insomma, una spiccata attitudine al Problem Solving. Nella nostra officina di manutenzione troneggia un manifesto con la dicitura: “La formulazione di un problema è spesso di gran lunga più importante della sua soluzione” (Einstein).
Ecco, quello che io voglio è che i manutentori non si buttino a capofitto sul guasto, quanto piuttosto cerchino di comprendere le vere ragioni che hanno determinato quella condizione anomala. Devono cioè imparare ad analizzare le cause per poterle eliminare in modo radicale, impedendo quindi l’insorgere del guasto. È la finalità della RCA – Root Cause Analysis.
La difficoltà che trovo è che esistono condizionamenti decennali secondo cui un buon manutentore è uno capace di riparare velocemente la macchina e rimetterla in condizioni di produrre. Ma riparare senza aver capito quale è la causa radice significa mettersi nelle condizioni di riproporre il guasto, entrando così in un vortice che assorbe completamente il lavoro del manutentore, senza lasciare spazio a interventi di Manutenzione Preventiva e Miglioramento Continuo. Questo è un messaggio che i manutentori conoscono benissimo, ma nella realtà dei fatti diventa difficile da applicare. Probabilmente bisognerebbe fare molta formazione sulla manutenzione, ma rivolta agli operatori e leader di Produzione.
Nella sua presentazione ci diceva che Lei è certificato livello 3 CicPnd Manutenzione. Quanto è importante la certificazione delle competenze di manutenzione in una Azienda produttiva?
MISTERY MANUT: Il Manutentore Polispecialista ha una visione olistica del Sistema di Produzione, è capace cioè di intervenire sulla quasi totalità dei guasti e avarie di natura meccanica, elettro-elettronica e informatica. Ha quindi una competenza orizzontale in quanto investe più tecnologie presenti negli automatismi. Il Professional è invece un esperto per tecnologia (meccanica o elettro-elettronica), quindi portatore di una competenza verticale.
Le competenze distintive del Professional e del Polispecialista sono quelle descritte per la figura del Manutentore Specialista, ai sensi dalla Norma Europea UNI EN 15628 sulla qualificazione del personale di manutenzione. I nostri Manutentori hanno conseguito la certificazione in Manutenzione di livello 1, secondo il Regolamento del Cicpnd. Attualmente stiamo avviando alla certificazione in Manutenzione di livello 2 un paio di addetti alla ingegneria di manutenzione e quattro SuperVisor, assegnati alle Aree di Produzione in qualità di coordinatori dei Manutentori di Area.
La Certificazione rappresenta oggi un valido riconoscimento della professionalità di chi ne ha il possesso. Nel nostro caso l’abbiamo utilizzata per premiare il personale di manutenzione e confermare quel rapporto di stima e fiducia reciproca che noi consideriamo uno dei fattori del successo della nostra Società. Ma la certificazione diventa sempre più attestato di Qualità della nostra Società, anzi la premessa per poter dichiarare che siamo una organizzazione all’insegna della Total Quality in quanto governiamo processi di Qualità del Prodotto (cosa facciamo), Qualità del Processo (come lo facciamo) e Qualità del Personale (con chi lo facciamo, anche se per ora solo in Manutenzione).
Mistery Manut
Una nuova voce per la manutenzione