L’abbiamo chiamata media impresa manifatturiera (MIM) per semplificare, la dozzina di manutentori può diventare un organico di 20-25 addetti, poi ci sono molte grandi imprese che sono suddivise in unità locali piccole (ABB insegna), infatti d’ora in poi più che alla impresa nella sua totalità vorremmo riferirci ad un medio stabilimento manifatturiero con 200-300 dipendenti, per fare qualche riflessione riguardo alle implicazioni organizzative e ai sistemi operativi coinvolti.
Come recita un antico proverbio cinese “l’uomo che sposta le montagne comincia portando via i sassi più piccoli”. Parafrasando Philip Kotler (Marketing 4.0: Dal tradizionale al digitale, 2017), le conoscenze a volte frammentarie, ma sostenute da una vissuta esperienza e da una innata capacità di problem solving, sono quei piccoli sassolini che possono fare la differenza fra essere competitivi o arrancare dietro ai leader del settore. Nella MIM, in questi anni, in manutenzione, si sono moltiplicati i tecnici diplomati e gli ingegneri, in particolare questi ultimi sono predestinati a formare quella genia di nuovi manutentori: “autonoma, assistita da Big Data, IoT e relativo armamentario di App” (Maurizio Cattaneo, Dall’ingegneria di manutenzione al Manutentore-Ingegnere, MT&M novembre 2016).
A quella realtà però non ci siamo ancora arrivati.
Per ora diplomati e ancor più ingegneri portano all’impresa molte conoscenze ma poca esperienza, e una indole meno battagliera rispetto ai loro genitori nella caccia ai guasti e nella realizzazione di quelle soluzioni migliorative che rappresentano il fiore all’occhiello della manutenzione e dei manutentori d’antan. Gli antichi saggi orientali sostenevano che la conoscenza, se non è corroborata dall’esperienza, diventa nozionismo e non diviene parte di un patrimonio di saggezza acquisita e consolidata. Argomento che più recentemente ha sollevato il nostro Umberto Eco: “La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi diversamente abile e cioè un idiota” (Caro nipote, studia a memoria, 2014). In parole povere è la filosofia del “saper fare” preferita al puro sapere. Umberto Eco preferisce descriverla come un problema della memoria, sempre meno capace a suo dire di far fronte all’effetto delega con la raccolta di informazioni demandata alla rete. In questo modo sostiene Eco i ricordi saranno meno vividi e sapremo sempre meno come si fa qualcosa, e sempre più come si arriva a saperlo. Questa dicotomia appare anche osservando le due generazioni di manutentori. Il segreto sta nel trovare un compromesso, fra il nuovo che avanza e che lentamente si consolida, e il vecchio che progressivamente se ne va portando con sé tutte le esperienze.
Un elemento chiave di questa trasformazione è il sistema informativo, ossia il sistema in cui il manutentore deposita alcune delle sue informazioni (SIM), non tanto quelle che riguardano l’esecuzione degli interventi quando ciò che attiene alla loro gestione. Il SIM e annessi, deve essere semplice da non far apparire i manutentori più anziani come dei cerebrolesi incapaci di adattarsi all’avanzare delle nuove tecnologie e al tempo stesso abbastanza completo da garantire ai nuovi, meno esperti, un percorso sufficientemente articolato per superare la minore esperienza.
Pare assurdo scrivere queste cose dopo che da circa 40 anni i SIM sono entrati più o meno lentamente nella routine quotidiana del manutentore, eppure, come abbiamo evidenziato lo scorso numero a proposito delle ISO 9000:2015, e delle recenti IATF, ci sono aziende la cui manutenzione porta in dote al sistema qualità gli interventi pianificati (preventiva e predittiva) e poco altro. È giunto il momento dove chi va sull’impianto per eseguire il pronto intervento, trasmetta al SIM i feed-back necessari per l’eliminazione dei guasti e per secuzione di interventi migliorativi (e risolutivi), e non lasci questo importante compito a successivi interventi dello staff. È uno dei pilastri del World Class Manufacturing, legato al ruolo della manutenzione professionale. Il feed-back mette a loro agio i giovani ingegneri che però si trovano in difficoltà quando si tratta di popolarlo di informazioni utili ad individuare percorsi di miglioramento, sia verso la strada lenta ma sistematica del miglioramento continuo, sia verso la strada intermittente, ma sicura ed efficace, degli interventi migliorativi.
Al contrario i manutentori d’antan si mettono subito al lavoro per individuare soluzioni migliorative, ma faticano ad aggiornare sistematicamente il sistema informativo, dando modo alla squadra di agire in gruppo. Il SIM per loro è un impiccio, uno scoglio burocratico che dribblano volentieri. Inutile affermare che la formazione non basta. Anche durante la formazione l’atteggiamento distaccato e di sufficienza che manifestano sul SIM, prende facilmente piede, vanificando o riducendo l’efficacia dei corsi. Per avere successo, occorre superare una mentalità consolidata, e per ottenere questo obiettivo bisogna ascoltare i loro bisogni. Lavorando con lima e scalpello è necessario rimuovere ogni ostacolo che rende ai manutentori d’antan, il SIM, non uno strumento di lavoro, ma una Via Crucis.
Specificare le cause di guasto e descrivere gli eventi in modo che una successiva disamina possa far emergere percorsi di miglioramento, è semplice solo in apparenza, e va fatto mentre il manutentore sta già volando verso un altro problema da risolvere, verso altre macchine, altre produzioni. A fine giornata non si può perché molti dettagli sfumano e una eventuale riflessione può essere tardiva.
Allora lo strumento (SIM) deve essere come la Ferrari durante il cambio delle gomme, deve rispondere ai comandi con una immediatezza che solo una taratura fine del SIM coi processi aziendali può garantire. Poi bisogna dare un aiutino anche al processo diagnostico. Noi per incrementare l’efficacia del processo diagnostico e le capacità di problem solving, stiamo provando, con alterni risultati, il pensiero computazionale. Un allenamento per la mente a ragionare per percorsi logici, impostando soluzioni basate su strategie che sappiano sfruttare la massa di informazioni proveniente da Big Data e dalla strumentazione, cercando di sopperire almeno in parte all’intuito e all’esperienza che caratterizza il processo mentale dei manutentori d’antan. Ma l’elemento chiave che funziona sempre è la motivazione. Nella MIM, riunite intorno ad un tavolo il capo dello stabilimento, della manutenzione e i manutentori, vecchi o giovani che siano, tutti assieme appassionatamente. Spiegategli cosa volete ottenere e indicate dei percorsi che poi loro aggiusteranno man mano, credeteci e fate si che anche gli altri credano in voi, e piuttosto rapidamente vedrete il livello organizzativo crescere, plasmarsi sulle necessità dei vostri impianti e, usando gli strumenti che abbiamo sommariamente descritto, il risultato apparirà nitido davanti a voi.
Vedrete risolvere incagli che da anni aspettavano di essere affrontati, vedrete ridursi il numero di fermate improvvise senza per questo far crescere i costi della prevenzione, vedrete il vostro personale felice di ottenere risultati lavorando in gruppo e in sintonia assieme ai colleghi e con il monitoraggio costante della direzione e, perché no, anche le gratifiche.
Maurizio Cattaneo, Amministratore di Global Service & Maintenance