Organizzare la manutenzione nella media impresa manifatturiera

Come organizzare la manutenzione in stabilimenti che annoverano 250-300 dipendenti, tra i quali una dozzina di manutentori?

  • Aprile 11, 2018
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    Organizzare la manutenzione nella media impresa manifatturiera

L’abbiamo chiamata media impresa manifat­turiera (MIM) per semplificare, la dozzina di manutentori può diventare un organico di 20-25 addetti, poi ci sono molte grandi impre­se che sono suddivise in unità locali piccole (ABB insegna), infatti d’ora in poi più che alla impresa nella sua totalità vorremmo riferirci ad un medio stabilimento manifatturiero con 200-300 dipendenti, per fare qualche rifles­sione riguardo alle implicazioni organizzative e ai sistemi operativi coinvolti.

Come recita un antico proverbio cinese “l’uomo che sposta le montagne comincia portando via i sassi più piccoli”. Parafrasando Philip Kotler (Mar­keting 4.0: Dal tradizionale al digitale, 2017), le co­noscenze a volte frammentarie, ma sostenute da una vissuta esperienza e da una innata capacità di problem solving, sono quei piccoli sassolini che possono fare la differenza fra essere competitivi o arrancare dietro ai leader del settore. Nella MIM, in questi anni, in manutenzione, si sono moltiplicati i tecnici diplomati e gli ingegneri, in particolare que­sti ultimi sono predestinati a formare quella genia di nuovi manutentori: “autonoma, assistita da Big Data, IoT e relativo armamentario di App” (Mau­rizio Cattaneo, Dall’ingegneria di manutenzione al Manutentore-Ingegnere, MT&M novembre 2016).

A quella realtà però non ci siamo ancora arrivati.

Per ora diplomati e ancor più ingegneri portano all’impresa molte conoscenze ma poca esperien­za, e una indole meno battagliera rispetto ai loro genitori nella caccia ai guasti e nella realizzazione di quelle soluzioni migliorative che rappresentano il fiore all’occhiello della manutenzione e dei ma­nutentori d’antan. Gli antichi saggi orientali soste­nevano che la conoscenza, se non è corroborata dall’esperienza, diventa nozionismo e non diviene parte di un patrimonio di saggezza acquisita e consolidata. Argomento che più recentemente ha sollevato il nostro Umberto Eco: “La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi diversamente abile e cioè un idiota” (Caro nipote, studia a memoria, 2014). In parole povere è la filosofia del “saper fare” preferi­ta al puro sapere. Umberto Eco preferisce descri­verla come un problema della memoria, sempre meno capace a suo dire di far fronte all’effetto de­lega con la raccolta di informazioni demandata alla rete. In questo modo sostiene Eco i ricordi saranno meno vividi e sapremo sempre meno come si fa qualcosa, e sempre più come si arriva a saper­lo. Questa dicotomia appare anche osservando le due generazioni di manutentori. Il segreto sta nel trovare un compromesso, fra il nuovo che avan­za e che lentamente si consolida, e il vecchio che progressivamente se ne va portando con sé tutte le esperienze.

Un elemento chiave di questa trasformazione è il sistema informativo, ossia il sistema in cui il ma­nutentore deposita alcune delle sue informazioni (SIM), non tanto quelle che riguardano l’esecuzio­ne degli interventi quando ciò che attiene alla loro gestione. Il SIM e annessi, deve essere semplice da non far apparire i manutentori più anziani come dei cerebrolesi incapaci di adattarsi all’avanzare del­le nuove tecnologie e al tempo stesso abbastanza completo da garantire ai nuovi, meno esperti, un percorso sufficientemente articolato per superare la minore esperienza.

Pare assurdo scrivere queste cose dopo che da circa 40 anni i SIM sono entrati più o meno len­tamente nella routine quotidiana del manutento­re, eppure, come abbiamo evidenziato lo scorso numero a proposito delle ISO 9000:2015, e delle recenti IATF, ci sono aziende la cui manutenzione porta in dote al sistema qualità gli interventi piani­ficati (preventiva e predittiva) e poco altro. È giunto il momento dove chi va sull’impianto per eseguire il pronto intervento, trasmetta al SIM i feed-back necessari per l’eliminazione dei guasti e per secuzione di interventi migliorativi (e risolutivi), e non lasci questo importante compito a successivi interventi dello staff. È uno dei pilastri del World Class Manufacturing, legato al ruolo della manu­tenzione professionale. Il feed-back mette a loro agio i giovani ingegneri che però si trovano in dif­ficoltà quando si tratta di popolarlo di informazioni utili ad individuare percorsi di miglioramento, sia verso la strada lenta ma sistematica del migliora­mento continuo, sia verso la strada intermittente, ma sicura ed efficace, degli interventi migliorativi.

Al contrario i manutentori d’antan si mettono su­bito al lavoro per individuare soluzioni migliorati­ve, ma faticano ad aggiornare sistematicamente il sistema informativo, dando modo alla squadra di agire in gruppo. Il SIM per loro è un impiccio, uno scoglio burocratico che dribblano volentieri. Inutile affermare che la formazione non basta. Anche du­rante la formazione l’atteggiamento distaccato e di sufficienza che manifestano sul SIM, prende facil­mente piede, vanificando o riducendo l’efficacia dei corsi. Per avere successo, occorre superare una mentalità consolidata, e per ottenere questo obiet­tivo bisogna ascoltare i loro bisogni. Lavorando con lima e scalpello è necessario rimuovere ogni osta­colo che rende ai manutentori d’antan, il SIM, non uno strumento di lavoro, ma una Via Crucis.

Specificare le cause di guasto e descrivere gli eventi in modo che una successiva disamina possa far emergere percorsi di miglioramento, è semplice solo in apparenza, e va fatto mentre il manutentore sta già volando verso un altro problema da risol­vere, verso altre macchine, altre produzioni. A fine giornata non si può perché molti dettagli sfumano e una eventuale riflessione può essere tardiva.

Allora lo strumento (SIM) deve essere come la Ferrari durante il cambio delle gomme, deve ri­spondere ai comandi con una immediatezza che solo una taratura fine del SIM coi processi azien­dali può garantire. Poi bisogna dare un aiutino anche al processo diagnostico. Noi per incre­mentare l’efficacia del processo diagnostico e le capacità di problem solving, stiamo provando, con alterni risultati, il pensiero computazionale. Un al­lenamento per la mente a ragionare per percorsi logici, impostando soluzioni basate su strategie che sappiano sfruttare la massa di informazioni proveniente da Big Data e dalla strumentazione, cercando di sopperire almeno in parte all’intui­to e all’esperienza che caratterizza il processo mentale dei manutentori d’antan. Ma l’elemen­to chiave che funziona sempre è la motivazione. Nella MIM, riunite intorno ad un tavolo il capo dello stabilimento, della manutenzione e i manutentori, vecchi o giovani che siano, tutti assieme appas­sionatamente. Spiegategli cosa volete ottenere e indicate dei percorsi che poi loro aggiusteranno man mano, credeteci e fate si che anche gli altri credano in voi, e piuttosto rapidamente vedrete il livello organizzativo crescere, plasmarsi sulle ne­cessità dei vostri impianti e, usando gli strumenti che abbiamo sommariamente descritto, il risultato apparirà nitido davanti a voi.

Vedrete risolvere incagli che da anni aspettava­no di essere affrontati, vedrete ridursi il numero di fermate improvvise senza per questo far cre­scere i costi della prevenzione, vedrete il vostro personale felice di ottenere risultati lavorando in gruppo e in sintonia assieme ai colleghi e con il monitoraggio costante della direzione e, perché no, anche le gratifiche.

Maurizio Cattaneo, Amministratore di Global Service & Maintenance