La messa in sicurezza degli edifici
Manutenzione straordinaria degli edifici in campo antincendio: quanto mi costa? Con la Fire Safety Engineering ora si può spendere meno. Gli imprenditori sborsano sempre più spesso somme ingenti per adeguare i propri edifici alla sicurezza antincendio, per ottenere quello che un tempo era noto come “Certificato di Prevenzione Incendi”. In una rubrica che tratta il mondo della manutenzione delle infrastrutture civili, il tema dell’antincendio non poteva mancare. La questione di principale interesse, considerati gli ingenti risvolti economici, riguarda le opere di adeguamento e manutenzione in occasione di cambi di destinazione d’uso per attività soggette ai controlli di prevenzione incendi. Il patrimonio edilizio italiano in ambito produttivo - come spesso ripetiamo in questa rubrica - è vetusto, e risale in gran parte agli ultimi decenni del secolo scorso. Il ruolo dei consulenti antincendio è quello di indicare ai datori di lavoro le opere di adeguamento necessarie alla messa in sicurezza dei luoghi, e al rispetto delle normative in campo antincendio.
Normativa antincendio, poco amata perché costosa e prescrittiva
Semplificando all’estremo, gli interventi sono ascrivibili a tre categorie: quelli che riguardano l’edificio, la resistenza al fuoco e il sistema di esodo; quelli che riguardano gli impianti di protezione attiva, gli idranti o i sistemi di rivelazione; e gli interventi che riguardano la gestione della sicurezza, in termini di addetti antincendio e piani di evacuazione. L’antincendio è tradizionalmente un ambito poco amato dagli imprenditori, perché gli investimenti necessari per perseguirlo sono intesi come meri gabelli richiesti dai Comandi Provinciali dei Vigili del Fuoco. Tali gabelli, nella mentalità comune, sono legati all’ottemperanza di oscure normative prescrittive, che generalizzano in modo un po’ approssimativo le problematiche di sicurezza, senza calarsi a sufficienza nelle singole realtà produttive. Per esperienza personale, nell’attività professionale quotidiana capita che i datori di lavori percepiscano gli investimenti in sicurezza antincendio come esborsi senza ritorno diretto, come dei costi puri.
È difficile all’occhio meno esperto apprezzare il reale guadagno ottenibile da un sistema di rivelazione e allarme efficiente o da una compartimentazione antincendio – il famoso muro tagliafuoco - realizzata a regola d’arte. La generale antipatia legata all’antincendio è quindi da correlarsi agli elevati costi ad essa connessi. Acquistare a “scatola chiusa” un capannone degli anni Ottanta per insediarvi un deposito di materiale plastico o di tessuti, può celare un rischio economico molto elevato per l’imprenditore incauto. I costruttori di edifici prefabbricati degli anni Ottanta e Novanta non curavano molto la resistenza al fuoco delle strutture, che nella maggior parte dei casi si limitava a non più di 30 minuti di incendio standard. Adeguare una struttura di questo tipo ad attività con elevato carico di incendio significa porre in opera protezioni di pilastri, travi, tegoli e murature che ne incrementino la resistenza al fuoco. Vi sono le vernici intumescenti, gli intonaci, le protezioni con lastre in gesso silicato. Qualsiasi intervento si individui, a causa delle notevoli superfici da trattare, gli esborsi sempre elevati. Anche nell’ambito dell’adeguamento dei percorsi d’esodo – vie di fuga troppo lunghe o assenti del tutto - gli interventi correttivi sono spesso gravosi. Analoghe considerazioni valgono per la suddivisione interna degli edifici in “compartimenti antincendio”, che rappresentano quelle suddivisioni dell’edificio in grado di impedire il passaggio dell’incendio da una parte all’altra, per un determinato periodo di tempo. Insediare attività ad alto affollamento, come spacci o rivendite aziendali in edifici datati, implica grandi investimenti. Tali costi restano celati fino ad acquisto già concluso, quanto ormai è tardi. A questo punto gli imprenditori più coscienziosi decidono di aprire il portafogli adeguandosi a malincuore alle prescrizioni normative. Troppo spesso il buon vecchio “Certificato di prevenzione incendi” resta tuttavia un miraggio. Non è un segreto che molte aziende operino da anni sul nostro territorio senza le autorizzazioni antincendio necessarie.
La normativa antincendio è stata per decine di anni di tipo tassativamente prescrittivo. Il normatore ha tradizionalmente imposto centinaia di indicazioni specifiche contenute in normative molto rigide. I consulenti si sono limitati a selezionare la corretta normativa da applicare, riassumere le prescrizioni in essa contenuta, imporre agli imprenditori un’applicazione pedissequa senza possibilità di replica. Autorimessa aziendale? Le strutture portanti devono resistere novanta minuti all’incendio e i percorsi d’esodo devono avere lunghezza massima di 40 metri. Deposito di sostanze infiammabili? È necessaria una distanza di sicurezza fissa in funzione del tipo di deposito e un’aerazione permanente.
Un nuovo strumento, la Fire Safety Engineering
Le normative, anche quelle moderne, adottano coefficienti di sicurezza molto elevati, che si traducono in spese maggiorate per gli imprenditori. Fino a qualche anno fa, l’impossibilità a ottemperare tali prescrizioni si trasformava in formali richieste di deroga, caratterizzate da iter burocratici complicati e di durata elevata. Da qualche anno, tuttavia, consulenti e datori di lavoro dispongono di una nuova e potente freccia al loro arco: la Fire Safety Engineering, l’ingegneria della sicurezza antincendio. Con l’entrata in vigore del Codice di Prevenzione Incendi, nel 2015, il mondo dell’antincendio è mutato in modo permanente. Anziché ricorrere a procedimenti di deroga, è ora possibile utilizzare soluzioni “alternative”, che presuppongono calcoli di sicurezza più o meno complessi e che, se il risultato lo consente, permettono di adottare soluzioni molto più flessibili ed economiche di quelle “conformi”. Questo approccio è chiamato prestazionale, e si contrappone a quello classico di tipo prescrittivo.
Quando l’adeguamento di un fabbricato all’incendio “standard” è troppo oneroso, è possibile effettuare simulazioni reali dell’incendio, che stimino le reali temperature agenti sulle strutture, in modo da dimensionare l’intervento protettivo in modo sartoriale sull’edificio. Altresì è possibile simulare il comportamento del fuoco stimando la reale persistenza delle condizioni di sopravvivenza in termini di irraggiamento termico, temperature e livello dei fumi. Qualora la persistenza delle condizioni di sopravvivenza sia superiore al tempo necessario agli occupanti per mettersi in salvo, l’obiettivo del progetto è raggiunto. Tutto ciò si tramuta in grandi risparmi in termini di investimento. È possibile dimostrare, ad esempio, che la realizzazione di una scala esterna metallica per l’esodo alternativo da un edificio storico sia, in alcuni casi, superfluo. I calcoli necessari alle verifiche spaziano da qualche riga gestibile con un foglio excel a complicate simulazioni di fluidodinamica computazionale, con enormi potenze di elaborazione in gioco. I professionisti antincendio devono essere formati e preparati, perché il mondo della fisica tecnica e della chimica dell’incendio è molto complesso. La probabilità di ottenere risultati errati da una simulazione, a causa di input non corretti, è molto elevata. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, se la simulazione è bene eseguita, il risultato è assicurato, perché l’incendio reale o “naturale” è molto spesso meno gravoso di quello standard o “nominale” imposto nelle norme prescrittive di carattere verticale. La portata di questo strumento a servizio degli imprenditori è immensa. Per la prima volta in decenni di storia della prevenzione incendi, le opere di adeguamento possono essere tarate su misura del cliente, permettendo a un numero sempre maggiore di aziende di adeguarsi in termini di sicurezza antincendio.
Alessandro & Riccardo Baldelli