Progettazione della manutenzione nell’epoca del DIY

La nostra epoca si sta caratterizzando per un ritorno all’artigianato (digitale) e per il recupero delle capacità di riparazione, da tempo snobbate soprattutto nel settore consumer

  • Febbraio 10, 2017
  • 187 views
  • Progettazione della manutenzione nell’epoca del DIY
    Progettazione della manutenzione nell’epoca del DIY
  • Progettazione della manutenzione nell’epoca del DIY
    Progettazione della manutenzione nell’epoca del DIY

Il recupero della capacità di riparazione si riflette inevitabilmente sulla progettazione dei prodotti/processi e, di riflesso, della manutenzione.

L’aspetto più rilevante nella progettazione del prodotto/processo è la pianificazione di tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla culla alla tomba, uno dei fondamenti della cd Economia Circolare, con il relativo consumo di materie prime e seconde. Anche il processo subisce l’influsso della Economia Circolare perché l’utilizzo dei mezzi e l’obsolescenza sono argomento di riuso e riciclo.

Il progetto della manutenzione e la manutenzione nella fase di progetto, rimangono in questo contesto due temi centrali, ma come declinarli oggi?

Il progetto della manutenzione è segnato, come abbiamo ripetuto più volte, dal mantra zero difetti, zero fermate, zero infortuni, condizioni divenute oggi imprescindibili per essere una azienda di successo.

Le tecniche di prevenzione sono meno rilevanti rispetto al passato, superate nel tempo da una diagnostica on board, dalla comunicazione uomo macchina che ha raggiunto livelli impensabili anche solo pochi anni fa, abbreviando in modo drammatico i tempi di diagnosi, i più lunghi e impegnativi, con tecnologie analoghe a quelle dei mezzi pesanti senza uomo a bordo e alle vetture autonome che dal MIT a Google oggi stanno spopolando sui social e nei media.

Certo queste tecnologie non sono per tutti, specie in Italia dove le aziende manifatturiere di stampo fordista sono prevalenti e una buona parte di esse sono destinate ad un rapido declino. L’osservatorio fiscale ci dice che solo un terzo delle aziende italiane hanno i conti in nero e pagano le tasse, gli altri due terzi sono più o meno pesantemente in rosso, ma per quanto ancora?

Tuttavia nonostante questa crisi del manifatturiero in Italia, per la manutenzione si profila una seconda giovinezza.

La ragione risiede in due fenomeni in crescita verticale, primo il ritorno alla riparazione al DIY, al motto a mio parere bellissimo “se una cosa non la puoi riparare non la puoi nemmeno possedere” o anche, dal programma di IFixIt “Esercita il tuo diritto a riparare, IFixIt è una comunità globale di persone che si aiutano l’un l’altro a riparare cose. Aggiustiamo il mondo, un dispositivo alla volta”.

Secondo la necessità data dalla Economia Circolare, ambizioso obiettivo di tutti i governi del mondo occidentale, di recuperare, riciclare, creare le condizioni di riuso, per i macchinari, gli impianti e gli edifici che un tempo venivano dismessi, mentre oggi sono necessariamente da rimettere in circolo.

Ciò restituisce alla progettazione della manutenzione un carisma che con la società dei consumi, dell’usa e getta e del macchinario in odore di obsolescenze che veniva rivenduto al terzo mondo, aveva progressivamente perso.

Il progetto dei beni di consumo per la manutenzione è prodigo di altrettante novità.

Perché per progettare l’intero ciclo di vita di un bene dalla culla alla tomba, l’apporto della manutenzione è indispensabile.

Ma non solo come un tempo con le clausole RAMS (Reliability, Availability, Maintanability and Safety) che in Italia a partire dagli anni ’90 hanno fatto la parte del leone specie nel settore dei grandi manufatti in piccola serie come nel settore dei trasporti, dell’aviazione, eccetera, un affaccio della manutenzione nelle fasi più importanti della progettazione per anticipare e/o evitare guai futuri durante il periodo di prototipazione e di gestione.

Negli USA queste pratiche avevano dato vita ad una professione che si distaccò progressivamente dall’alveo della manutenzione, relegata, è il caso di dirlo, al ruolo di esperta della sostituzione o della riparazione.

Invece, quando emergono le esigenze legate alle materie che formano il prodotto, prime e seconde, e a cosa fare degli scarti di produzione, chi meglio della manutenzione che conosce bene il processo e gli impianti, può intervenire perché il tutto si svolga con le migliori economie?

Giovanni Ferracuti nel 1994, già evidenziava la circolarità che lega manutenzione e progettazione “il rapporto circolare fra progettazione-manutenibilità-manutenzione-riqualificazione-nuova produzione dimostra la centralità delle esigenze connesse alla manutenzione lungo tutto il ciclo di progettazione, produzione e gestione di qualsivoglia prodotto”.

L’economia ambientale è tutta intrisa di manutenzione.

Lo stesso Ferracuti scriveva nel 1990 “La critica ad un modello di sviluppo basato incondizionatamente sulla crescita e sull’espansione, l’opposizione allo strapotere delle tecnologie sulla natura, il rifiuto della dilapidazione di risorse sempre più evidentemente limitate e non rinnovabili, sono i principali elementi costitutivi della piattaforma che accomuna cultura manutentiva e cultura ambientale nella stessa dimensione ideologica ed etica”.

Allora dopo anni di edonismo reaganiano, poteva sembrare un paragone azzardato, ma oggi manifesta tutta la sua attualità.

Il progetto della manutenzione si lega indissolubilmente alla qualità.

Gianfranco Dioguardi, decorato con la Legion d’Onore per i suoi progetti di manutenzione a Lione, intervenendo al XX congresso Aiman, nel 2003 scrive: «Un’arte, quella manutentiva, attraverso la quale si persegue il concetto di qualità, che della manutenzione diviene il naturale corollario-obiettivo da conseguire costantemente per conservare l’efficienza e l’affidabilità degli oggetti su cui intervenire».

Robert Pirsing, nel suo indimenticabile “lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” (1981), scrive «Il mondo può funzionare anche senza di essa [la qualità], ma la vita sarebbe così insulsa che non varrebbe neanche la pena di viverla».

Concetti che a suo tempo sia Seiichi Nakajima, con il TPM, sia Joseph Juran, con la Qualità Totale, seppero coniugare abilmente all’interno del ciclo di vita dei beni.

Qualità e Manutenzione formano dunque un binomio che, in questo modello di sviluppo che lentamente sta entrando nella nostra vita, appare come ineludibile.

Entrambe sono indispensabili per il successo della cosiddetta Green Economy ossia la produzione pulita e sicura di beni, materiali ed energia, la ricostruzione degli ecosistemi naturali, la minimizzazione delle emissioni e dell’inquinamento e l’uso efficiente delle risorse non rinnovabili.

Sono proprio le risorse non rinnovabili che rendono il valore della Manutenzione così elevato. Con l’ingegneria della riparazione, si ha un aumento importante della longevità dei beni con il prolungamento del ciclo di vita e con il mantenimento di un livello di innovazione che riduce quando non elimina il fenomeno dell’obsolescenza.

Si creano così nuove opportunità di lavoro, con un effetto moltiplicatore, essendo la manutenzione un settore ad alta intensità di manodopera, e ben remunerato. In “Investigating the role of design in the circular economy” (RSA, The Renaissance Society of America, UK, 2013) risulta che nella Economia Circolare, per l'occupazione nelle attività di manutenzione e riparazione, le professionalità sono retribuite per il 61-67% con salari medi, per il 25-34% con salari alti, mentre solo il 5-7% con salari bassi.

L’ingegneria della manutenzione diventerà quindi l’ingegneria della riparazione, così si torna all’inizio della prima rivoluzione industriale e il ciclo si chiude.

 

Maurizio Cattaneo