Ragionando di mestieri e di competenze, il comparto della manutenzione industriale viene il più delle volte associato a qualcosa di molto settoriale, di specifico. Anche nei dibattiti ospitati in questa Rivista, o nei MaintenanceStories, l’impressione è quella di raccontarsela fra addetti
ai lavori. Una specializzazione, quasi una distorsione professionale, compartimentata, che rischia di essere per alcuni aspetti persino limitante.
Probabilmente perché si tende a considerare la manutenzione il regno della tecnologia, appannaggio di poche figure professionali fortemente specializzate e detentrici di abilità, strumenti, procedure e tecniche altamente sofisticate.
Un insieme di tecnicismi, quindi, come competenze esclusive. E certamente è così.
Ma cosa sono, più in generale, le competenze? Senza pretesa di sintesi esaustiva né di efficacia, ma solo al fine di intendersi sul gergo, possiamo limitarci a proporre qui una definizione che si assume in genere come quella corrente, o maggiormente condivisa: le competenze sono l’insieme delle conoscenze teoriche, dei know-how specialistici, delle capacità, degli atteggiamenti e orientamenti mentali delle Persone inserite nella organizzazione, la cui applicazione determina comportamenti che creano valore e che in definitiva consentono all’organizzazione di realizzare la propria visione, missione, strategia.
Comunque le si voglia definire, esse rappresentano la struttura portante di ogni mestiere, la sua essenza impalpabile eppure fondamentale. Che si tratti di competenze tecnico-professionali oppure di “soft skills”, sono il vero e proprio patrimonio di un’Azienda, il suo valore più profondo e strategico. Ma le competenze sono legate alle Persone che le esprimono, che le possiedono e le sviluppano (o che semplicemente le manutengono: le competenze si perdono, se non si esercitano); e ciò è vero anche in quei contesti industriali in cui il turn-over è alto, o è marcata la stagionalità nei rapporti di lavoro.
Le Aziende hanno quindi tutto l’interesse – anche se non sempre dimostrano di averne altrettanta sensibilità – a tutelare e sviluppare un patrimonio per loro così chiave, che nel contesto del proprio mercato può essere il più importante fattore competitivo e fare davvero la differenza. A maggior ragione, sono da preservare e sviluppare le competenze necessarie alla manutenzione, che non a caso la norma UNI EN 15628 (“Qualifica del Personale di manutenzione”) si prende la briga di elencare per i tre livelli sui quali poggia ogni organizzazione manutentiva: dallo stratega, al coordinatore intermedio, fino al tecnico più operativo, il sapere, il saper fare e il saper essere sono descritti in linee guida non decise a tavolino, ma frutto della standardizzazione che decenni di esperienza si sono incaricati di consolidare a livello europeo.
Tutto ciò, per quanto riguarda il modello a cui tendere. Nella realtà quotidiana, persino la pandemia ha evidenziato come la professione del manutentore sia un’attività di supporto fondamentale al mondo industriale, ma vissuta dietro le quinte, senza clamori, senza palcoscenici né eroi, fregiandosi piuttosto di continuità, tenacia e perseverante normalità, come elementi di qualità professionale. In questo numero sono ben illustrate le esperienze di alcune Aziende che, in vari settori, hanno saputo cogliere l’importanza di sviluppare le competenze – sia verticali che trasversali – del proprio Personale, come fattore competitivo del business, armonizzandole con le esigenze legate ai processi, alla qualità e alla sicurezza.
Vittorio Pavone, Membro del Comitato Tecnico Scientifico, Manutenzione & AM