Risk Based Maintenance, giovani e lavoro

Il rischio maggiore che corre la manutenzione in un futuro prossimo è la mancanza o la carenza di nuove leve nel settore della manutenzione professionale, a fronte di una aumentata richiesta di capacità riparatoria

  • Giugno 4, 2018
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  • Un’immagine tratta dal recente meeting della Confartigianato dal titolo: “I Care, investire sui giovani per costruire futuro”
    Un’immagine tratta dal recente meeting della Confartigianato dal titolo: “I Care, investire sui giovani per costruire futuro”

Parafrasando, un anno dopo, il titolo del­la nostra App, c’è una piccola differenza al posto di “lavoro e futuro” (Manutenzione T&M, giugno 2017), c’è “giovani e lavoro” (Manutenzione T&M, giugno 2018). Perché?

Ieri, il 24 maggio per chi legge, ho partecipato all’annuale meeting della Confartigianato, l’argo­mento quest’anno era incentrato sui giovani: “I Care, investire sui giovani per costruire futuro”.

Un argomento che trovo spesso sottotraccia nel dialogo quotidiano con i tecnici di manutenzione, è una preoccupazione nemmeno troppo velata ri­spetto alle operazioni future, sia perché vi è una sostanziale incertezza nel percepire le molteplici direzioni della evoluzione tecnologica, sia perché c’è la consapevolezza riguardo alle difficoltà che incontrano le nuove leve all’inserimento nel mon­do del lavoro.

L’incontro della Confartigianato, pur non essendo incentrato nello specifico sulla manutenzione, ri­guardo alle nuove leve, ai giovani, ne ha eviden­ziato diverse criticità. Criticità che sono ancora più elevate nel variegato mondo della manutenzione, un terreno di confine fra scienza e arte. Un po’ come la medicina, ben lontana dall’essere una scienza esatta, anche il “medico delle macchine”, il manutentore, si affida molto spesso ad intuito e ad esperienza, come un artista, appunto.

E quindi, come abbiamo spesso evidenziato, il suo terreno formativo-esperienziale assomiglia più all’Atelier rinascimentale che non all’aula scolastica. Il valore dei laboratori, delle scuole tecniche, dei Fab Lab è fuori discussione, ma quanti veramente si impegnano a promuoverne i percorsi, a sostenere la domanda che emerge dalle imprese e che spesso non trova soddisfa­zione nel mercato del lavoro se non importando lavoratori dall’estero?

La formazione o la carenza formativa è uno degli elementi chiave, sia per un soddisfacente inseri­mento dei giovani nel mercato del lavoro, sia per rispondere al turnover pensionistico che sempre più spesso interessa le nostre aziende manifattu­riere, al punto da comprometterne la competitività.

Analizzando i dati emersi durante lo scorrere del meeting e degli interventi è impressionante il diva­rio che c’è fra il nostro paese e i nostri principali partner (o competitor?) europei.

Ad esempio, nel 2017, in Italia solo il 4,2% dei gio­vani under 30 studia ed è in formazione e con­temporaneamente lavora, quota nettamente più bassa rispetto alla media del 14,7% rilevata nell’U­nione Europea. In Europa, la Germania raggiunge la quota massima del 22,9%, al cui confronto il misero 4,2% dell’Italia, ci fa riflettere.

Ma la Germania è un paese che ha una solida tra­dizione di formazione che alterna scuola e lavoro, mentre in Italia un piano similare, inserito nella co­siddetta legge sulla “Buona Scuola”, è stato intro­dotto solo nell’estate del 2015 e, a quanto pare, il governo che in questi giorni si sarebbe dovuto in­sediare nel nostro paese aveva inserito fra i punti del suo programma la cancellazione della Buona Scuola, annessi e connessi, compresa l’alternanza scuola-lavoro.

Un altro dato impressionante è il tasso di abban­dono prematuro dei percorsi di istruzione che per i nostri giovani è pari al 14% a fronte di una media UE del 10%.

L’Italia, in pratica, in questa classifica dei peggiori, è dietro solo a Malta, alla Romania e alla Spagna, a paesi quindi che non vantano la stessa tradizione manifatturiera italiana.

Questo poi a fronte di una generale disponibilità delle imprese italiane ad ospitare studenti nell’am­bito di processi di alternanza scuola lavoro che a detta degli esperti, se incentivati, porterebbero ad una drastica riduzione nell’abbandono dei percor­si scolastici. I dati che ho citato sono stati raccolti dall’Osservatorio della Confartigianato, il quale ap­pare come molto qualificato a sondare il fenome­no, specie per la manutenzione.

Infatti, oltre che nella PMI, anche nella me­dio-grande impresa, con l’eccezione dei lavori ri­chiesti direttamente ai fornitori dei macchinari, c’è una diffusa tendenza ad appaltare i lavori di ma­nutenzione a microimprese specializzate, spesso di natura artigiana. La polverizzazione del mercato comporta ulteriori maggiori difficoltà ad utilizza­re i canali tradizionali per la formazione “on the job”, appannaggio delle imprese di manutenzione più grandi, e, parallelamente, le microimprese ma­nutentive non seguono più il tradizionale modello dell’Atelier, spinte da una ricerca parossistica di efficienza a ridurre il più possibile gli investimenti, in formazione, e – dove possibile, appalti permet­tendo – nella sicurezza.

Eppure, siamo tutti consapevoli che prima o poi noi “anziani” lasceremo il lavoro nelle mani dei più giovani, sui quali però non abbiamo saputo o volu­to investire nella loro preparazione.

È una criticità che l’amico Joel Leonard ha da di­versi lustri evidenziato (“On the maintenance cri­sis”, 2002) al punto da interessare il Congresso, il quale ha poi contribuito al grande rilancio del­la formazione scolastica tecnica e professionale negli USA. Ragion per cui le imprese americane sono riuscite col tempo a colmare in gran parte questa criticità, e a tornare competitive nel ver­sante della manutenzione.

In che modo vogliamo gestire questo “rischio” nel­la manutenzione professionale?

Il mondo delle scuole tecniche, con una crescen­te disponibilità di fondi assegnati dal Ministero, ha investito e sta investendo in macchinari, tecnici, percorsi formativi moderni ed eccitanti, creando le premesse per l’ottenimento di buoni risultati.

Rimane un problema di marketing, sia presso le famiglie, dove la scuola tecnica o professionale non gode di buona stampa, e finisce con l’attrar­re prevalentemente giovani che vedono la scelta come una soluzione di ripiego, segnando poi alti tassi di abbandono; sia presso la società, dove gli studenti più promettenti sono indirizzati verso i li­cei e a successivi percorsi universitari. È inutile citare Papert (USA, MIT) o Senofane (Grecia, 500 a.C.), noi siamo il paese di Galileo e della Montes­sori, il paese del Rinascimento, degli Atelier, e dei processi educativi dell’imparare facendo.

Non possiamo sottrarci, pertanto, ad un rinnova­mento ideologico verso i lavori di manutenzione, indirizzandovi i giovani migliori e un po’ meno che migliori, ma soprattutto tanti, dato che nessuna Società può campare senza Manutenzione.

 

Maurizio Cattaneo, Amministratore di Global Service & Maintenance