Servitizzazione nella manifattura italiana: promessa di cambiamento o realtà?

Dall’Equipment-as-a-Service ai contratti full-service, la servitizzazione sta ridefinendo i modelli di business manifatturieri. Un’opportunità che le grandi aziende stanno già cogliendo, mentre le PMI si limitano ancora ai servizi base post-vendita

  • Aprile 14, 2025
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A cura di

 

Mario Rapaccini, Università degli studi di Firenze | Direttore Scientifico Centro di Ricerca Intruniversitario ASAP

Federico Adrodegari, Università degli studi di Brescia | Vicedirettore Centro di Ricerca Intruniversitario ASAP

 

 

Introduzione

Con il termine “Servitizzazione” - neologismo italiano del più usato “Servitization” - si intende il processo di trasformazione strategica dell’impresa che, attraverso meccanismi graduali e complessi, pone al centro l’offerta di servizi avanzati e soluzioni integrate, a complemento - o in sostituzione - della tradizionale offerta di prodotti. Questa strategia è diventata ormai trasversale. Ne rileviamo la presenza in tutti i settori industriali, sia B2B che B2C. Tra i costruttori di impianti e macchinari, troviamo formule evolute di Servitizzazione definite oggi con il termine “Equipment-as-a-Service”, con pagamenti commisurati ai volumi di produzione realizzati.

Questa trasformazione è oggetto di studio ormai da oltre vent’anni, ma effettivamente soltanto in tempi più recenti che, anche grazie al rapido sviluppo delle nuove tecnologie, l’interesse per questo fenomeno è esploso in modo esponenziale. Infatti, è appurato che una strategia di Servitizzazione, se ben sviluppata può abilitare delle dinamiche di crescita del business; differenziazione e consolidamento di posizioni di leadership; protezione da fenomeni di crisi e stabilizzazione dei ricavi.

L’elemento visibile è la graduale ma costante crescita del fatturato dalla vendita di servizi – in particolare quelli a valore aggiunto - rispetto alla vendita di nuovi prodotti. Tra i servizi a valore aggiunto rientrano in primis i contratti di manutenzione multi-year, i contratti full-service/full-risk, le soluzioni integrate che includono anche sottoscrizioni, noleggi operativi o – nel caso di più beni – il fleet management, formule pay-per-use e/o per-per-outcome come sopra citati.

Ma l’ottenimento di risultati economico-finanziari significativi implica dei cambiamenti rilevanti non solo nell’offerta dei servizi ma implica un ripensamento del modello di business, della cultura, dell’organizzazione, dei processi, delle capacità e delle dotazioni strumentali. Le dimensioni del cambiamento - introdotte in un’impresa dalla Servitizzazione - sono ampie e complesse. Una trasformazione simile è forse oggi la trasformazione più ambiziosa e dirompente per un’impresa di prodotto, in quanto tocca tutti i livelli e le sue componenti. Anche per questo oggi, come discuteremo in questo articolo, la Servitizzazione appare come una trasformazione “soltanto annunciata”, terra di conquista per lo più delle grandi aziende. Ma la strada sembra tracciata: sviluppare nuovi modelli competitivi non più basati (solo) sul prodotto è infatti ormai una necessità per la maggior parte delle aziende manifatturiere.

 

I benefici della servitizzazione

I benefici connessi allo sviluppo di un modello di business “servitizzato” sono numerosi. Nell’attuale economia globale, dove il vantaggio legato al prodotto si erode rapidamente, questa strategia, basata su competenze e servizi, diventa quindi cruciale. In particolare nei settori a consumi bassi e/o stagnanti: la Servitizzazione infatti consente alle aziende di valorizzare il parco installato, estraendo valore dai prodotti già in uso attraverso servizi mirati. Attraverso offerte personalizzate di prodotti e servizi, si rafforza inoltre la fidelizzazione del cliente, trasformando il fornitore in un partner strategico, favorendo così interazioni costanti lungo tutto il ciclo di vita del prodotto con i clienti. In massima sintesi, con la servitizzazione si possono quindi conseguire benefici economico-finanziari (crescita più sostenuta e profitti più alti), strategici (differenziazione dai concorrenti, riposizionamento in mercati maturi di prodotti e tecnologie commoditizzate), commerciali (ad esempio, il lock-in del cliente tramite contratti di noleggio operativo). Ma non solo, oggi appaiono evidenti anche altri vantaggi come quelli di natura ambientale. Infatti, ad esempio tramite servizi di monitoraggio, controllo e ottimizzazione da remoto, si possono ridurre sprechi, consumi, emissioni di inquinanti. Infine, la servitizzazione ha anche un impatto sociale positivo. Infatti, la capacità di creazione di valore tramite servizi ad alta intensità di conoscenza crea barriere alla delocalizzazione delle attività produttive, ed è naturale che i servizi siano di fatto più labour intensive dei processi industriali. Per questo, la servitizzazione è quindi anche inquadrabile come strategia di business compatibile con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG’s) delle Nazioni Unite (Agenda 2030), e con le politiche dell’European Green Deal.

 

A che punto siamo

Attraverso le indagini di ricerca che ASAP conduce da oltre 20 anni su questo fenomeno, e abbiamo raccolto numerose evidenze in merito a casi e iniziative di successo, e a progetti ben avviati. Questo però riguarda in gran parte aziende industriali di grandi dimensioni, tra cui i leader del mercato globale quali Siemens, General Electric, Hewlett Packard, Baker Hughes, Ricoh, Scania, GF Machining Solutions, TetraPak. Abbiamo trovato ottime evidenze di processi di questo tipo anche in multinazionali italiane di minori dimensioni che operano in nicchie di grande rilevanza per l’economia nazionale. Se poniamo invece l’attenzione sulle PMI, troviamo una situazione che necessita di essere discussa. Anche le piccole e medie imprese industriali oggi infatti offrono servizi connessi alla vendita del loro prodotto, sia esso un componente, un macchinario o un intero sistema. Però, in questo caso si tratta più che altro dei tipici servizi di post-vendita, tesi a ripristinare l’operatività del bene a fronte di guasti. Si tratta di un business transazionale (one shot), gestito in modo più simile al business di prodotto, che a quello dei servizi avanzati sopra discussi. Di fatto, per parti e riparazioni l’opportunità di vendita nasce a valle di un problema che il cliente/ utilizzatore palesa al fornitore, e che reattivamente, il fornitore tenta di risolvere. Per la transazione vengono usati i desueti canali del post-vendita/customer support, quali le hotline e le email. Solo in casi particolarmente felici, nelle PMI, è presente un sito di e-commerce per la vendita di spare parts (Figura 1), e un’area riservata con tutta la documentazione e la conoscenza per fornire supporto tecnico al cliente. L’erogazione di questi servizi è spesso dilatata nel tempo, per la necessità di affiancare ad ogni singola transazione delle quotazioni formali che poi andranno a generare l’ordine del cliente. Non riteniamo che questa sia una vera forma di “servitizzazione”, di conseguenza vengono meno le aspettative di conseguire nel lungo termine i benefici discussi sopra, specialmente quelli connessi ad aspetti strategici, ambientali e sociali (ESG).

Certo, questi servizi, quando erogati in modo efficiente, possono contribuire al fatturato aziendale. Una recente survey promossa da ASAP e Digital Industries ha evidenziato che i ricavi dalla vendita di parti di ricambio e interventi di riparazione possono attestarsi tra il 15 e il 25% del totale, in un campione di PMI produttrici di macchinari e componenti per il convenzionamento, per la lavorazione di metalli, materiali ceramici, legno, plastica, gomma (Figura 2). Questo risultato nel complesso può sembrare anche soddisfacente, ma in realtà si tratta di un business reattivo, che non nasce da una chiara strategia di innovazione. La vendita di questi servizi - che spesso sono visti come male necessario – è spesso automatica, per il semplice fatto che una parte della base installata necessita nel tempo di assistenza. Ma sono più le opportunità di co-creazione di valore che non vengono colte. Sono infatti pochissime le PMI che hanno avviato percorsi di sviluppo del business dei servizi avanzati, anche grazie alle tecnologie digitali e alla connettività, e che riescono oggi ad abbinare alla vendita del prodotto contratti per ispezioni e manutenzioni programmate, per il monitoraggio da remoto, il controllo, l’efficientamento e l’ottimizzazione del processo del cliente, la diagnostica, il trouble shooting e la manutenzione predittiva, l’advisory e le raccomandazioni sugli interventi da compiere per aumentare la produttività, fino ad arrivare appunto ai servizi contrattuali con garanzia di risultato e alle citate soluzioni integrate (Equipment-as-a-service).

 

La consapevolezza c’è, ma mancano gli strumenti e le competenze
Non si tratta di un problema di consapevolezza. Dopo oltre venti anni di indagini, studi, rapporti, seminari, tavole rotonde, corsi di formazione ed eye-opening, la maggior parte di imprenditori e manager è consapevole dei benefici sia della digitalizzazione che della servitizzazione, come pure delle strette connessioni tra queste due innovazioni del modello di business. Inoltre, l’Italia avrebbe un contesto di primo piano per sperimentare lo sviluppo della servitizzazione nelle PMI. Dopotutto, per valore aggiunto siamo sempre la seconda manifattura dell’Europa dopo la Germania, e potremmo quindi avviare in modo diffuso trasformazioni verso un’economia di servizi avanzati da cui tutto il sistema nazionale potrebbe beneficiare, in termini di crescita collettiva, più attenzione all’ambiente e alle componenti sociali. Mentre le grandi aziende non necessitano di sussidi e incentivazioni, perchè possono procurarsi internamente risorse e conoscenze per avviare e gestire questi cambiamenti strategici, questo non è il caso delle PMI. Su questo fronte servitizzazione e digitalizzazione procedono a braccetto, e anche l’adozione delle moderne tecnologie dell’Industria 4.0 e 5.0 in Italia presenta, ad eccezione di alcune tecnologie ormai consolidate e mature (es. IoT), alcune difficoltà, in primis dovute sempre alla taglia delle imprese e alle relative implicazioni (Figura 3).

Ma nel caso della servitizzazione, mancano delle vere politiche incentivanti che vadano oltre all’adozione delle nuove tecnologie. Mancano inoltre centri di competenza (a parte il Centro di Ricerca Interuniversitario ASAP) che possano guidare questa innovazione verso una economia di servizi avanzati. Infine, come spesso capita, il peggior nemico sembra essere la mancanza di una cultura verso servizi a valore aggiunto che richiedono collaborazione tra attori di un ecosistema debitamente organizzato ed orchestrato. L’Italia non è solo il regno delle PMI, ma è anche quello dove, oltre le facciate, appare esservi un disinteresse per collaborazione e innovazione aperta, e vi sono enormi difficoltà per creare valide alleanze, consorzi e associazioni di impresa che abbiano obiettivi di natura strategica e non economica. Gli sforzi in questa direzione ci sono, ma ancora insufficienti. Anche il sistema finanziario appare in ritardo. Sono presenti alcune iniziative, ma queste appaiono ancora in fase early stage e di sperimentazione.

 

E quindi

In conclusione, la servitizzazione del manifatturiero Italiano rappresenta oggi una grande sfida, e una grande opportunità. Mentre le aziende globali hanno fatto progressi significativi, le PMI devono affrontare ostacoli di varia natura, che al momento ritardano o impediscono lo sviluppo di queste tipologie di business. Ciononostante, anche per recuperare competitività, quasi tutte le imprese asseriscono che è per loro imperativo il potenziamento del business dei servizi, e che sono pronte a lavorare a strategie comuni e a mettere a disposizione budget per la sperimentazione e lo sviluppo dei servizi più attrattivi. Affrontare queste sfide richiederebbe però un maggiore coordinamento tra i vari attori, in particolare i policy maker e il mondo della finanza, che agendo di concerto potrebbero mettere a punto meccanismi abilitanti e funzionali allo sviluppo della servitizzazione, con grandi benefici per il sistema Paese. Per approfondire e capire come avviare questa trasformazione – www.asapsmf.org.

 

Ringraziamenti:

I dati di questo articolo sono tratti dalla ricerca di Digital Industries Word in Collaborazione con il Centro interuniversitario ASAP.