Tecniche di indagine diagnostica

Questo numero di Manutenzione avrà un focus particolare, incentrato sulle tecniche di indagine diagnostica che possiamo far rientrare nel cosiddetto “condition monitoring”, un insieme di controlli non distruttivi e poco invasivi per misurare lo stato

  • Marzo 23, 2022
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  • Lo Spectroil ha dimostrato una grande duttilità d'impiego, spaziando dall'ambito militare a quello civile, grazie alla estrema semplicità d'uso. (Foto cortesia di Aeronautica Militare 4° Laboratorio tecnico di controllo)
    Lo Spectroil ha dimostrato una grande duttilità d'impiego, spaziando dall'ambito militare a quello civile, grazie alla estrema semplicità d'uso. (Foto cortesia di Aeronautica Militare 4° Laboratorio tecnico di controllo)
  • Tecniche di indagine diagnostica
    Tecniche di indagine diagnostica

Questo numero di Manutenzione (ricalcando la scaletta dello scorso anno) avrà un focus particolare, incentrato sulle tecniche di indagine diagnostica che possiamo far rientrare nel cosiddetto “condition monitoring”, un insieme di controlli non distruttivi e poco invasivi per misurare lo stato di salute dei nostri assets strategici. L’elenco delle prove è molto vasto e in continuo sviluppo e affinamento. Diverse industrie nel mondo, la cui Ingegneria di Manutenzione non può più prescindere dalla “Predittiva”, ricorrono a un mix di strumenti e tecnologie di monitoraggio personalizzato, per preservare l’integrità dei propri assets. Nel corpo della rivista riportiamo alcune esperienze concrete, direttamente “dal campo”, da parte di chi opera quotidianamente per garantire la continuità operativa e la Sicurezza gestionale degli impianti.

La frontiera del conditions monitoring: l’esperienza del mondo automotive italiano

In questa prefazione vorrei provare a narrare una particolare esperienza legata ai controlli dei lubrificanti in esercizio, in ambito automobilistico, ma non solo. Teniamo presente che oltre che per autotrazione le motorizzazioni endotermiche assolvono a svariati “task” e in particolare nelle taglie fino a 1,5 - 2,0 MeW possono soppiantare le più complesse turbogas in ambito cogenerazione, specie in aree geografiche poco sviluppate.

Il nostro racconto inizia molti anni fa, quando nel secondo dopoguerra si cominciò a esaminare il comportamento di un lubrificante circolante all’interno di un macchinario strategico per cercare di cogliere le infinitesimali trasformazioni chimico-fisiche intervenute nel tempo. Esisteva (a quell’epoca) anche un certo alone di mistero attorno alle tecniche di indagine esperite; addirittura, alcuni documenti relativi alle procedure di analisi risultavano veri e propri “segreti militari”.

Le tecnologie allora disponibili risultavano alquanto laboriose e il vastissimo, eterogeneo campo di impiego potenziale (mentre la raccolta dei singoli dati avveniva ancora su supporti cartacei) rendevano complesse le procedure sin dalle fasi iniziali. Si intravedevano tuttavia le grandi potenzialità di una indagine raffinata, tesa a identificare le “cause prime” di un guasto ricorrente, attraverso controlli periodici sul degrado del lubrificante in esercizio. La variazione del dato analitico al passare del tempo, o dei km di impiego, mi consentiva di valutare il “trend” di un parametro metallico significativo (confrontandolo con il valore/range medio), per circoscrivere un’anomalia incipiente, oppure programmare con anticipo la sostituzione di ingenti volumi di olio.

Il settore militare (e in particolare il DoD dipartimento della difesa USA) dette i natali a tali controlli, successivamente integrati in quello che sarà riconosciuto a livello mondiale come “JOAP” (Joint Oil Analysis Program di Pensacola in Florida), col compito di coordinare le attività di analisi e controlli sui meccanismi particolarmente critici in uso presso i vari reparti di Esercito, Marina, Aeronautica. Uno sforzo non trascurabile di coordinamento tra enti molto diversi, con logiche gestionali ed impieghi assai differenziati. Da ciò scaturisce un insieme di manuali molto curati in cui è possibile trovare descritti i dettagli della “usura” specifica di singoli componenti, raggruppati per classi di severità; dal livello “fisiologico” per rodaggio, a moderato, fino a “grave” con conseguente allarme. Un simile certosino lavoro fatto di rigide procedure, di raccolta dati e successiva sintesi, ha gettato le basi per il sempre più diffuso conditions monitoring dei lubrificanti; universalmente riconosciuto come uno degli strumenti più potenti di indagine ai fini di Manutenzione predittiva oggi disponibile.

Le prime “cavie” da sottoporre a controllo sono state le grandi motrici ferroviarie, destinate al traffico merci sulle rotte del Midwest USA abitualmente su tratte a binario singolo. Un guasto imprevisto avrebbe potuto compromettere la logistica dei trasporti in rete, per diversi giorni. Pur trattandosi di motorizzazioni giganti (per i tempi) da diverse migliaia di Hp e un volume di olio circolante consistente, il totale dei metalli rilasciati in termini di “ppm” (parti per milione) era sempre esiguo. Per cui, la minima variazione % della presenza di alcuni metalli o leghe poteva allertare la direzione del tronco, facendo scattare le necessarie misure di contenimento del guasto ancora “in divenire”.

Tutto ciò accadeva nelle grandi praterie (scenari da Far West), mentre i velivoli a turbogetto solcavano i cieli, impegnandosi in sfide tecnologiche legate a dinamiche da “guerra fredda” molto spesso trascurando (a vantaggio della velocità assoluta) le norme di sicurezza più elementari. Alcuni modelli, con macabra ironia definiti “bare volanti” avevano prestazioni eccezionali, ma i componenti meccanici erano davvero molto stressati, con cedimenti strutturali dalle conseguenze talvolta infauste. Le analisi dell’olio turbina potevano “prevedere” con notevole margine l’insorgenza di una grave avaria. Le azioni correttive scaturite da simili analisi di guasto e le conseguenti migliorie procedurali e costruttive hanno mitigato il rischio del volo, militare e civile.

Il motore 4 tempi

I propulsori endotermici (con alimentazione diesel o benzina) di vecchia data, ma anche le versioni più recenti si comportano – dal punto di vista della usura di vari componenti – in maniera molto prevedibile. Possiamo definire quindi il motore per “antonomasia” indipendentemente dalla taglia, come il settore di impiego più idoneo per l’applicazione estensiva di simili raffinate metodiche per lo studio e la prevenzione del guasto meccanico. La sua costruzione (riducendo all’essenziale i componenti) prevede molteplici elementi volventi, in cui tra ingranaggi, punterie/camme, cuscinetti a rotolamento e bronzine lisce, avvengono continui attriti, con ablazione di metalli e leghe, il cui destino è di essere immediatamente “rimacinati” sotto forma di frammenti minuscoli, di pochi micron di spessore. Ne consegue una grande precisone analitica, a seguito della omogeneità delle particelle disperse, tenute in sospensione, anche grazie al potere detergente/disperdente dei vari additivi presenti nei lubrificanti per il mondo autotrazione. Lo Spectroil M nato per uso militare e convertito per l’occasione ad usi civili (attualmente usato da quasi tutti i players del settore automotive) non temeva rivali in una tale sfida diagnostica!

Nuove tecniche di indagine nella motor valley italiana

Per uno strano connubio tra il mondo della Qualità e il settore affidabilità/post vendita, attorno alla metà anni ‘90 del secolo scorso, siamo stati precettati per una serie di test mirati alla comprensione delle eventuali incompatibilità metallurgiche dei componenti volventi e delle nuove – per l’epoca – leghe antifrizione dai nomi ancora sconosciuti, in funzione della additivazione dei lubrificanti più diffusi. Da qui è scaturita una vicenda abbastanza interessante, i cui risvolti sono tutt’oggi di grande attualità. Si è trattato di una grande sfida diagnostica, ma soprattutto intellettuale. Alcuni tecnici legati al settore R&D di reparti sviluppo propulsori in F-1 ebbero l’ardire di interrompere alcuni “stress test” al banco prova, prendendo per buoni (ovvero come allarmi dirompenti) i “segnali deboli” emersi da un’analisi spettrometrica di un campione di olio. Se un propulsore a pieni giri (con potenze in gioco di diverse centinaia di Hp) subisce una minima crisi a livello bronzine o segmenti e tale criticità non viene corretta rallentandolo o addirittura fermandolo per tempo, il rischio palese (e ai tempi accettato supinamente) era una catastrofica rottura in cui quasi nulla rimaneva integro, con l’impossibilità di ricostruire un rapporto consequenziale di “causa/effetto” del danno subito. Dato che in linea di principio la “storia” di un determinato campione di olio è legata al tipo di impiego all’interno di un meccanismo lubrificato (meglio se la circolazione è dinamica, forzata da una pompa di mandata) conosco il volume totale del fluido in gioco, la tipologia (Viscosità espressa in cST) e le ore di impiego. A tali ore di esercizio al banco, nell’uso tradizionale corrispondono migliaia di Km o Miglia nautiche percorse, oppure MeW erogati dall’impianto di generazione elettrica. Per cui (stanti tutti gli altri parametri) al variare del tempo posso assistere al contemporaneo variare (come incremento percentuale) di alcuni parametri chimico/fisici, capaci di disegnare un certo quadro diagnostico. In estrema sintesi il “trend” dei metalli (in una situazione fisiologica, post rodaggio) si dovrebbe mantenere stabile, con minime variazioni al rialzo di alcuni elementi caratteristici per quel determinato propulsore. In determinati contesti (ricerca e sviluppo in prima battuta) tale strategia di indagine è andata col tempo sempre più raffinandosi; e oggi in certe fasi di test si procede con analisi di trend a intervalli molto ravvicinati. In certi casi si parla addirittura di pochi minuti, tra un prelievo ed il successivo. La difficoltà intrinseca ed anche la scarsa “robustezza” di un tale approccio, viene mitigata dall’ampiezza della platea di campioni processati giornalmente. In pratica anche centinaia di campioni tra sé omogenei, per tipologia di asset esaminato compongono il quadro finale di tale indagine. Ne consegue che alcuni elementi metallici (singolarmente o in relazione tra sé) vengono verificati a livelli infinitesimali (quantità <1,0 ppm); grazie alla economicità e rapidità di tale metodica analitica. Le ricadute positive di tali metodiche sono oggi disponibili per tutti gli utenti, e l’affidabilità dei motori odierni è un fatto assodato, anche grazie a questo passaggio ritenuto ai tempi “fantascientifico” avvenuto nel distretto produttivo di Modena al centro di quella che è stata ribattezzata, con una punta di orgoglio patriottico, la “Motorvalley” italiana.

Giuseppe Adriani, Coordinatore Regionale A.I.MAN. Toscana