La crescente complessità degli impianti e dei sistemi che operano nell’industria manifatturiera, le esigenze di integrazione dei processi, l’aumentare del livello di automazione e il frequente ricorso alla robotica, comportano una evoluzione dei fabbisogni di manutenzione, sia in tempestività, sia in qualità.
Il tempo per attuare i processi diagnostici si riduce e lo svolgimento del compito è più complicato e non sempre all’aumentare delle criticità dei sistemi, aumentano di pari passo le ridondanze e la strumentazione a disposizione. In definitiva è l’intelligenza del manutentore a fare la differenza (Alexander Hill, Predictive analytics isn’t useful for predictive maintenance) e ciò rende la manutenzione un arduo compito per iniziati.
Una via maestra per affrontare questo compito è certamente l’intima conoscenza dei meccanismi di funzionamento del sistema da riparare, la disponibilità di schemi e procedure di caccia ai guasti, eccetera (Maurizio Cattaneo, Manutenzione, una speranza per il futuro del mondo). Ma è possibile lavorare anche sulla intelligenza diagnostica del manutentore che può essere allenata e potenziata.
Il Pensiero Computazionale ci viene in aiuto.
Il pensiero computazionale sviluppa l’attitudine a risolvere problemi più o meno complessi, stimolando approcci inediti ai problemi e alla loro soluzione. Alla base di tutto c’è la pianificazione di una strategia risolutiva, basata su un approccio algoritmico al problema e su livelli multipli di astrazione.
Con il pensiero computazionale è possibile coniugare il pensiero induttivo, basato sulla intuizione e sulla attenzione ai particolari, con la razionalità deduttiva basata sulle regole.
Il pensiero induttivo viene applicato in diagnostica, ad esempio, con i “cinque perché”, un metodo per identificare la causa radice di un dato evento mediante una catena di perché. Oppure con il cd metodo dei “5W + 1 H”, dove l’indagine viene condotta ponendosi le seguenti domande: Di chi (Who) si tratta? Cosa (What) è successo? Dove (Where) ha luogo? Quando (When) si svolge? Perché (Why) è accaduto? Come (How) è successo? O con sistemi più specifici come l’FMEA/FMECA, Analisi RAMS, RCA, FTA e Il diagramma di Ishikawa (Appunti di Manutenzione, Ottobre 2015).
Il pensiero computazionale, è un processo logico e creativo che comporta la scomposizione di un problema complesso in parti più piccole, e più facilmente gestibili se affrontate una alla volta, usando strategie risolutive basate su algoritmi.
Proprio questi algoritmi sono alla base della didattica sviluppata con il Pensiero Computazionale. Didattica fruibile nel mondo degli adulti nelle più svariate discipline del sapere con lo scopo di migliorare le capacità intellettive sul modo migliore per raggiungere un obiettivo ragionando passo-passo.
Molti educatori considerano il pensiero computazionale una abilità di base come saper leggere, scrivere e contare ed è per questo che sempre più spesso viene inserito nei programmi della scuola primaria.
Come utilizzare il Pensiero Computazionale per fare più velocemente diagnosi più accurate?
Il processo diagnostico, può sembrare simile ad un meccanismo di tentativi ed errori, dove per esclusione si arriva alla causa prima e quindi alla risoluzione efficiente dell’anomalia di funzionamento (guasto). Modalità dove si sono rivelati più abili gli strumentisti o i manutentori esperti di robotica, rispetto ai meccanici, meno avvezzi a ragionare in astratto.
Il pensiero computazionale si sovrappone a questo processo introducendo il valore di una strategia risolutiva (algoritmo), quindi i tentativi ed errori si svolgono non in maniera casuale, o secondo intuizione, ma seguendo l’algoritmo che può essere modificato ed adattato, e anche, verificata la sua efficacia, riutilizzato più volte, nel contesto dell’evento corrente o anche in eventi successivi.
In qualche modo così il tempo speso per la diagnosi non è un qualcosa che riparte da zero ogni volta o che si basa solo sulle crescenti esperienze del manutentore, ma lo posso convenientemente riutilizzare. Il concetto del riutilizzo del tempo è un modo da un lato per valorizzare l’impegno del manutentore e ripartirne il costo su più episodi, e da un altro lato per rendere sempre più rapido ed efficiente il processo diagnostico dato che con il pensiero computazionale il manutentore è in grado di apprendere in modo strutturato e tesorizzare l’esperienza.
E qui si gettano le basi per creare un sistema dei sistemi risolutivi, ossia per imparare dall’esperienza degli algoritmi usati, e quindi anche mettere a punto degli automi che coadiuvino o si sostituiscano al processo diagnostico operato dal manutentore.
Il pensiero computazionale, applicato durante il processo diagnostico, comporta anche importanti effetti collaterali, come una maggiore conoscenza del sistema dovuta all’analisi svolta.
Esemplificando. Un sistema analizzato sotto il profilo dei comportamenti che possono generare anomalie di funzionamento, allo scopo di individuare gli algoritmi che mi portano a conoscenza delle cause dei guasti, è come una “black box” che imparo a conoscere non tanto perché visualizzo di cosa è fatta dentro, ma piuttosto perché comprendo come reagisce a dei comportamenti e quindi posso capirne anche le deviazioni e le anomalie di esercizio. E poi forse riesco a fare una simulazione e magari anche ad addestrare altri manutentori.
Ai fini della manutenzione, non avendo come scopo primario la costruzione dell’oggetto ma il suo mantenimento in efficienza, tali comportamenti e deviazioni sono una informazione preziosa per comprendere quali politiche manutentive e quali strategie operative risultano più efficaci. Inoltre avendo il focus sulla manutenzione, nella astrazione del sistema si può ignorare tutto ciò che non ha interesse per il mantenimento.
Il processo diagnostico svolto a questo livello, diventa anche una fase per attuare politiche di manutenzione migliorativa (o proattiva) perseguendo il mantra zero guasti, zero fermate, zero difetti, zero infortuni, che è alla base del WCM (World Class Manufacturing).
Chi ha provato ad applicare questo mantra sul campo, si sarà reso conto di quanto sia difficile indurre il personale a ragionare secondo questo schema, soprattutto perché a fronte della semplicità nella sua enunciazione si trovano innumerevoli difficoltà applicative.
Il pensiero computazionale crea anche quell’effetto ludico che agevola il coinvolgimento del personale con analogo successo a quanto si è ottenuto nella scuola primaria dove i bambini si lasciano sedurre dalle piccole sfide che tale processo comporta e dalla soddisfazione di aver raggiunto l’obiettivo. E se raggiungono l’obbiettivo, hanno imparato come fare.
Maurizio Cattaneo