La valorizzazione dei territori, una delle leve per padroneggiare il futuro 4.0. Nei territori si consolidano alleanze, centri di alta formazione, competenze, aree di elevata competitività, l’humus sul quale le aziende più avanzate possono continuare a prosperare, anche in un futuro quanto mai incerto, anche in un futuro impossibile.
Le esperienze di Adriano Olivetti, lungi dall’essere datate, sono proiettate ai nostri giorni verso una ritrovata modernità. Aldo Bonomi ha ben riassunto questa modernità inventandosi il mantra di “ciò che non c’è più” e “quel che non c’è ancora” (Aldo Bonomi, Il vento di Adriano, la comunità concreta di Olivetti fra il non più e il non ancora, 2015). Immaginandoci in una “terra di mezzo”, che segna la crisi di questi anni.
Ed è per uscire da questa terra di mezzo, per navigare verso il non ancora che alcuni sognatori del nostro tempo hanno ideato il Distretto Informatico Romagnolo (DIR). Il quale lungi dall’essere l’ennesima istituzione burocratica, designa un cammino, il percorso verso la costruzione di una Comunità Concreta di Territorio.
Confucio 2.500 anni fa ci avvertiva: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”, questo è un po’ il significato e soprattutto l’orizzonte del DIR.
Il DIR vuole dare una risposta da oggi e per il prossimo decennio, sull’impatto e il ruolo che avrà l’informatica sull’innovazione. Con robotica ed elettronica, che sono sempre più dense di informatica, a ruota.
Lo strumento operativo è la comunità, nel solco dell’esperienza olivettiana, un sistema coordinato dal Campus di Cesena che vede interagire università, scuole superiori, imprese, organizzazioni imprenditoriali, e persone.
L’ambito è il territorio romagnolo, lo scopo è diventare un modello di riferimento per l’Italia che produce e progetta il futuro.
La formazione è la radiazione di fondo che pervade il territorio, è con la conoscenza che si supera la “terra di mezzo” e si va verso il non ancora che diventerà sempre più il nostro presente.
Formazione, ma anche impresa, perché la cultura possa trovare nell’impresa il veicolo per realizzarsi.
Si creano posti di lavoro, le persone riscattano la conoscenza con la dignità del lavoro, uno di quei nuovi lavori difficili persino da immaginare, che oggi non ci sono.
Ci sono milioni di opportunità che attendono, ma che richiedono una visione originale e la disponibilità a fallire per rinascere continuamente dalle proprie ceneri. Solo così passando dal terziario al quaternario (come ama definire questo periodo di opportunità Alberto De Toni, rettore della Università di Udine), si uscirà dalla crisi verso un nuovo periodo di prosperità e di felicità.
Questo passaggio non riguarda solo la Romagna o l’Italia intera, riguarda il Mondo e il DIR nel suo territorio ha posto le premesse per fare la propria parte in questo gioco del futuro verso quelli che taluni definiscono la quarta rivoluzione industriale.
La visione apocalittica dell’uomo disoccupato, mentre in fabbrica i robot sono lì che lavorano, può essere superata se si guarda al futuro, non come il prolungamento inevitabile del presente, ma come qualcosa di originale e diverso. Se si accetta che lavori e professioni del passato possano terminare e che si possa dar vita a nuovi lavori e a nuove professioni.
Il raggiungimento di questo nobile obiettivo non può nascere dalla trovata di un uomo solo, seppur geniale. È necessario coinvolgere, coordinare e finalizzare un numero elevato di attori che fino ad ora (in Romagna) hanno agito ciascuno per proprio conto. Ora come si dice è giunto il momento di “fare sistema”. Il DIR è l’infrastruttura che finalizza le energie di tanti verso l’obiettivo di comunità.
Lo scorso 23 gennaio, c’è stato un incontro fra gli esponenti del DIR (che è stato costituito due mesi fa, nell’autunno del 2019) e la Fondazione Adriano Olivetti, per voce del suo Segretario Generale, Beniamino de’ Liguori, nipote di Adriano.
La Lezione Olivettiana che ne è scaturita, nel solco della esperienza di Adriano Olivetti, una autentica icona del made in Italy, ha evidenziato come è possibile dar vita ad una impresa rivolta al futuro, e sentirsi allo stesso tempo parte di una comunità più consapevole, più democratica e culturalmente più evoluta.
Questo è il DIR che opera nel territorio romagnolo, ma il concetto di comunità può essere esteso all’intero paese. 10, 100, 1000 comunità che si occupano di futuro, si occupano di coordinare le energie di chi si applica nella divulgazione e nell’apprendimento della cultura, e chi utilizza questa cultura per inventare, per produrre, per operare nel prossimo futuro, che inizia già da domani.
Papa Francesco – Jorge Mario Bergoglio – ha recentemente ricordato l’esperienza degli antichi cinesi che ci avverte e ci insegna: «Se fai progetti per un anno, semina grano; se fai progetti per dieci anni, pianta alberi; se fai progetti per cento anni, educa le persone». È il pensiero di un poeta cinese, Kuang-Tsen, e noi abbiamo tanto da imparare dal nostro passato per progettare un futuro originale, inconcepibile e apparentemente impossibile.
Papa Francesco ci ha esortato ad affidare all’educazione il compito di “far rinascere i criteri morali perduti e ridare vitalità ai valori spirituali per riportarli alla magnificenza e all’eminenza erose da un materialismo senza limiti, da un consumismo sfrenato e da una ricerca di profitto continua e disonesta”.
Alla base del progetto DIR, c’è dunque la formazione: scolastica, post-scolastica, formale, informale, sistematica, esperienziale ecc. C’è l’Università di Bologna, ci sono i Fab Lab, gli Istituti Tecnici Superiori, l’Alta Formazione, fino ad ora ciascuno ha seguito i propri programmi e risposto a precise finalità didattiche, ma da oggi in avanti non sarà più così. Raccordati dal progetto di Comunità, il coinvolgimento delle imprese, prima quelle specializzate in informatica, poi tutte le imprese del territorio e le loro organizzazioni. Le organizzazioni che, ciascuna per proprio conto, hanno svolto in passato anch’esse una funzione culturale e formativa.
Ecco, il primo passo della Comunità è questo: finalizzare, raccordare, coordinare tutti gli attori in campo e poi nel percorso verso il non ancora si vedrà quante altre cose emergeranno.
I risultati dipenderanno dalla capacità di lavorare assieme, dalla capacità di dialogo, di non percepire il territorio come luogo dove vivono i nostri concorrenti, ma come il luogo delle opportunità, l’humus sul quale un sempre maggior numero di aziende possano prosperare.
Questa è un’esperienza romagnola, ci auguriamo che sia un primo esempio cui ne seguiranno molti altri, anche diversi, con il comune obiettivo di progettare e realizzare un futuro sostenibile e felice.
Maurizio Cattaneo