In questo secondo editoriale dell’anno, continuo a concentrare l’attenzione sull’evoluzione verso la gestione degli Asset industriali, prospettabile con la visione dovuta a molteplici fonti, tecniche e scientifiche, sull’Asset Management.
I cambiamenti – nell’organizzazione, nelle risorse umane, e nelle tecnologie impiegate – sono connaturati al processo evolutivo, e una gestione accorta del futuro (prossimo) potrà garantire di restare al passo coi tempi. Per tale ragione, sento l’esigenza di scrivere un editoriale che vuole essere un ulteriore contributo a complemento dei messaggi portati dall’editor del mese, Ettore Martinelli, e da Bruno Sasso, con un articolo pubblicato in questo mese. Ne approfitto, per inciso, per ringraziare Bruno per l’incoraggiamento che mi sta di recente dando, per stimolare nuove prospettive sul modo di intendere ed attuare la manutenzione. Per queste nuove prospettive, parto da due termini che dovrebbero (…)1 essere già noti e anche attuati, l’Ingegneria di Affidabilità e l’Ingegneria di Manutenzione.
Dando una prospettiva personale sulla conoscenza già consolidata attorno a Ingegneria di Affidabilità e Ingegneria di Manutenzione, voglio citare le fonti, pensando ad alcuni libri della mia biblioteca personale, letti da tempo e sempre base di consultazione quando mi trovo a spiegare ai futuri Ingegneri, in un corso di laurea, cosa voglia dire fare l’Ingegnere in questi ambiti operativi industriali. È ovvio che le referenze non sono complete, né in senso generale di revisione della letteratura, né tanto meno per la dotazione della mia biblioteca. Ciò non dimeno, penso sia utile citare alcune referenze (del passato) per prepararsi a una riflessione sul processo evolutivo prospettabile per il futuro (prossimo).
Il primo libro che voglio citare è dovuto ad Alessandro Birolini, Professor Emeritus di Reliability Engineering all’ETH di Zurigo (Swiss Federal Institute of Technology Zurich). Lessi il suo libro intitolato Reliability Engineering: Theory and Practice nella sua quarta edizione, pubblicata nel 2004 (occorre sottolineare che la prima edizione del libro in tedesco è datata al 1985).
Un altro libro di rilievo è dovuto a Andrew K.S. Jardine, Professor Emeritus della University of Toronto, e Founding Director del centro C-MORE (Centre for Maintenance Optimization & Reliability Engineering). Quando ebbi la fortuna di leggere il libro di Jardine, co-autorato con Albert H.C. Tsang, dal titolo Maintenance, Replacement, and Reliability: Theory and Applications (seconda edizione pubblicata nel 2013), lo feci per una attività quasi routinaria da accademico: leggere un libro per farne una review da pubblicare. Quella review fu come un fulmine a ciel sereno: il libro è per me un riferimento per lezioni teoriche e conoscenze pratiche su tematiche varie, nell’ampio spettro delle decisioni che definirei un obiettivo che deve esser indirizzato nella mansione di un ingegnere di manutenzione.
Non si può, poi, dimenticare, nella bibliografia, il Manuale di manutenzione degli impianti industriali e servizi (seconda edizione pubblicata nel 1999), a cura di Luciano Furlanetto, che i lettori della rivista naturalmente ricorderanno (io stesso ricordai la conoscenza e vicinanza con Luciano in un paio di editoriali in questi due anni di direzione). Del manuale, tra i vari insegnamenti, ricordo sempre un distillato di conoscenza portata avanti da Luciano che prefigurava, ben in anticipo nei tempi, la creazione della funzione di riferimento che è l’ingegneria di manutenzione, con “responsabilità sulla progettazione, controllo e miglioramento della manutenzione”.
Ultima nota bibliografica riguarda il mio contributo personale, nello scrivere un libro sull’Ingegneria della Manutenzione. Strategie e metodi, con Luciano Furlanetto e Marco Garetti.
Perché questa premessa bibliografica? Non già per dare suggerimenti sui libri da leggere (ogni lettore avrà i suoi nella biblioteca personale, magari anche quelli citati, oggi o in futuro), quanto per rimarcare un fatto concreto che ritengo importante: l’Ingegneria di Affidabilità e di Manutenzione ha una storia che è passata attraverso uno sviluppo della conoscenza progressivo che, come per ogni disciplina d’ingegneria, è un connubio di teoria e pratica, di strategia e metodi, di tecniche e tecnologie trattate con approccio ingegneristico2.
Il tempo però porta l’Ingegneria a mutare nella sua genetica, perché le condizioni al contorno van cambiando. Le esigenze del mondo odierno e del mondo futuro stanno sempre più portando a sistemi caratterizzati da elevata complessità, sia per le conoscenze tecniche e tecnologiche che ne sono il fondamento, sia per la molteplicità di interessi espressi da parte dei diversi portatori di interesse (stakeholders). I sistemi sono, poi, individual Assets ed Asset systems, all’interno dell’Assets portfolio, e devono essere gestiti nella vita, dalla concezione e progettazione sino al fine vita, comprendendo anche opzioni di estensione della vita. È quindi naturale pensare che, nelle condizioni al contorno sia odierne sia future, la risoluzione di problemi applicativi possa richiedere sempre più multidisciplinarietà per essere, alla fine, competitivi di fronte alle pressioni del business.
In questa evoluzione, la Manutenzione, funzione trasversale per sua natura, rappresenta un fulcro importante sul quale l’Asset Management può appoggiarsi almeno per disporre di una leva operativa; ma ciò non è per niente sufficiente. Nello specifico delle sue mansioni, non è sufficiente che il raggio di azione di Manutenzione sia solamente la vita operativa dell’Asset già costruito. Manutenzione deve essere coinvolta, e anche sentirsi coinvolta, in tutte le fasi del ciclo di vita dell’Asset. Inoltre, Manutenzione deve essere capace di collaborare con altre funzioni aziendali, proprio con le finalità di gestione del ciclo di vita dell’Asset (non solamente di manutenzione del costruito …), e nella prospettiva di multidisciplinarietà che è richiesta oggi.
Con questo, non ritengo di portare un messaggio nuovo. Rafforzandomi con alcuni spunti tratti dai contributi di Martinelli e Sasso, posso ricordare ad esempio alcune affermazioni:
l’Ingegnere di manutenzione “è una figura trasversale che ha la capacità di collaborare con tutte le aree dell’azienda per lo sviluppo e la gestione degli Asset industriali” (cit. Ettore Martinelli);
è oggi in atto un cambiamento dell’Ingegneria di manutenzione “verso una forma di Ingegneria che potremmo definire di affidabilità e disponibilità dell’Asset e che quindi deve essere presente in tutte le fasi del ciclo di vita” (cit. Bruno Sasso) (tra l’altro, Sasso cita una norma UNI 11454, non certamente nuova, che esemplifica il legame tra manutenzione e progettazione).
Come ulteriore appoggio, mi permetto di rubare anche le parole di un editoriale redatto lo scorso anno, sempre dall’editor della tematica di questo mese:
“Partendo quindi da un’analisi strutturata degli Asset, attraverso metodologie proprie dell’Ingegneria di Manutenzione, durante la fase di “Middle of Life” del ciclo vita di un bene, è fondamentale implementare una standardizzazione tecnica che tenga conto dell’utilizzo di un bene nei processi produttivi specifici per la propria realtà industriale. Lavorando in anticipo, diventa altrettanto importante pensare a decisioni nel “Beginning of Life”, facendo tesoro delle esperienze e dei dati a disposizione all’interno dell’azienda, e allargando la prospettiva a temi di natura affidabilistica in fase di progettazione di impianto” (cit. Andrea Ferrero).
In conclusione, prima di tutto, oggi ho scritto questo editoriale soprattutto sulla base di varie fonti autorevoli e, di conseguenza, ho preparato il terreno per lanciare un messaggio chiave, che cerco di enucleare in alcuni punti, che saranno, nei miei migliori auspici, utili per ulteriori riflessioni:
- l’Asset Management richiede un Ingegnere capace di affrontare le sfide odierne e future con un bagaglio di conoscenze, attitudini e competenze molto esteso, necessario per risolvere i problemi applicativi che le decisioni di gestione nella vita dell’Asset richiedono;
- l’Ingegnere deve, quindi, essere dotato di una capacità progettuale che si manifesta sia all’inizio della vita, sia per portare alle giuste scelte lungo la vita operativa, sino alla dismissione; in altre parole, l’Ingegnere deve portare la sua capacità sin dall’inizio della vita, perché è proprio lì che inizia l’attuazione di un insieme di decisioni strategiche che l’Asset Management rappresenta; l’Ingegnere deve, quindi, continuare a seguire l’Asset nella sua vita, per garantire una logica di gestione “ingegnerizzata” degli Asset.
Pertanto, mi sento di affermare che Manutenzione deve imparare a lavorare in un contesto più ampio all’interno del quale non può non esserci un Ingegnere; inoltre, l’Ingegnere non si può limitare all’ingegneria di manutenzione, così come tradizionalmente intesa, ma deve avere una professionalità più estesa che viene messa a servizio della generazione del valore nella vita degli Asset gestiti.
Note
1 Uso il condizionale perché sono consapevole dello stato di attuazione in diversi settori industriali.
2 È ovvio ma è sempre utile, a mio parere, ricordare una definizione di base. In tal caso, riporto l’estratto della definizione nella enciclopedia Treccani, nella quale Ingegneria è definita “Insieme di studi e tecniche che utilizzano le conoscenze delle varie branche delle scienze (fisica, chimica ecc.), unite a quelle tecnologiche (per es. materiali), per risolvere problemi applicativi e per progettare e realizzare opere di diversa natura (edili, meccaniche ecc.). I campi di applicazione dell’ingegneria si sono allargati da quelli tradizionali della costruzione di manufatti e di trasformazione della materia alla soluzione di problemi aventi per oggetto sia la materia organica e inorganica sia processi di carattere più teorico e astratto (ingegneria economica, ingegneria finanziaria, ingegneria costituzionale, ingegneria della gestione aziendale, ecc.)”
Prof. Marco Macchi, Direttore Manutenzione T&M